Quel pasticciaccio brutto di piazza Baldissera

Piazza Baldissera a Torino a inizio 2021 ( © OpenStreetMap contributors )
Sono vent’anni che vivo a Milano, ma io mi sento ancora un expat torinese, e quindi seguo quello che succede là, anche se ammetto senza troppa costanza. Però la notizia di quella che potrebbe essere la sistemazione definitiva di piazza Baldissera (la potete leggere su Repubblica, La Stampa, Corsera) era troppo ghiotta per non mettermi a commentarla.
Prima che io me ne andassi via da Torino, piazza Baldissera era il posto dove partiva la ferrovia Torino-Ceres, dove c’era stato il primo locale in cui suonava Fred Buscaglione, e dove passava il tram 10 (e il 12, prima che venisse soppresso); in direzione ovest-est c’era un buffo sovrappasso con rotonda e due corsie molto strette, in direzione nord-sud c’era la ferrovia e due strade pomposamente chiamate “corsi” (corso Venezia e corso Principe Oddone) che in realtà erano stradine a una corsia per senso di marcia. Per amor di precisione, corso Venezia non finiva nemmeno direttamente sulla piazza ma sbucava in via Stradella. Cosa è poi successo? Hanno costruito il passante ferroviario, la ferrovia è stata interrata, il sovrappasso è stato buttato giù, piazza Baldissera – senza tram causa prolungarsi degli scavi per il Passante – è stata rifatta come un’enorme rotatoria, e infine corso Venezia e corso Principe Oddone sono diventati dei veri vialoni di scorrimento a tre corsie per senso di marcia più controviali.
È proprio quest’ultimo punto che ha portato al patatrac. Non appena la nuova sistemazione della piazza fu completata e i vialoni aperti al traffico, cominciarono a esserci ingorghi lunghi chilometri, a qualunque ora del giorno e della notte. Nulla di così strano per chi conosce il paradosso di Braess… Ne avevo scritto tanti anni fa qui sul Post. In pratica, esistono dei casi in cui creare nuove strade (o allargare quelle preesistenti) rallenta il traffico globale. Come è possibile? Semplice. Strade più larghe portano più traffico, ma il maggior traffico rallenta la velocità media, e quindi il risultato è l’ingorgo. Aggiungete il fatto che una rotatoria fluidifica il traffico solo quando non è superiore a una certa soglia, e un errore di progettazione nel mettere gli attraversamenti pedonali troppo vicini alla rotatoria, e ottenete il caos.
In questi due anni sono state fatte varie proposte più o meno valide. L’unica che ha avuto un qualcoe risultato è stata ridurre artificialmente il numero di corsie sui vialoni, cosa che ha ovviato al paradosso di Braess. Probabilmente il Politecnico di Torino che è stato contattato sapeva quello di cui si parlava. Certo che proporre di controllare via satellite il traffico per far fare deviazioni mi è parsa un’idea piuttosto balzana: a questo punto bastava un banale Waze…
Ad ogni modo si direbbe che si è scelto di eliminare la rotatoria e ricreare le due direttrici principali, con una batteria di semafori per gestire il traffico. Sarà davvero la soluzione definitiva? Credo che sarà un miglioramento, ma che continueranno a esserci ingorghi. Ma non si può certo ritornare alla situazione iniziale… Passi chiudere i vialoni, ma chi ricostruisce il sovrappasso?


A Giulio Gallera indubbiamente piace snocciolare i numeri. Se ricordate, lo scorso maggio si era lanciato 




Quando Roberto Natalini mi ha detto di avere scoperto che in Italia praticamente nessuno sa chi sia stato Vito Volterra sono rimasto basito. È vero che io gioco in casa, con la mia laurea in matematica: ma per me il nome di Volterra è legato a tantissime cose, culminate con l’essere stato uno dei dodici professori universitari (su più di milleduecento…) che nel 1931 rifiutò di prestare giuramento al regime fascista. Probabilmente è stata proprio la damnatio memoriae voluta da Mussolini che ha contribuito alla rimozione del suo nome, almeno in Italia visto che all’estero è ancora oggi ben noto.
“Le due culture”. La locuzione è ormai entrata nell’immaginario collettivo, almeno tra chi ha una “cultura scientifica” – qualunque cosa ciò voglia dire. Il breve saggio eponimo scritto da Charles Percy Snow nel 1959 ha definitivamente messo nero su bianco il tema dell’incomunicabilità tra scienziati e letterati; il mondo della ricerca scientifica e quello degli studi umanistici si erano irrimediabilmente divisi, e in questi decenni la frattura si è ancora allargata. Eppure Pietro Greco in questo suo ponderoso saggio osa presentare una visione completamente diversa. Secondo lui gli esseri umani sono stati da sempre sia artisti che scienziati; e quando dice “da sempre” lo intende in senso più che letterale, addirittura da quando i primi appartenenti al genere Homo – ecco il perché del titolo di questo libro – sono apparsi sul nostro pianeta. Insomma, questa capacità di unire i due mondi non è nemmeno una prerogativa di Homo sapiens sapiens! 



Supponiamo che
Mentre sto scrivendo non è ancora chiaro chi sarà il prossimo presidente statunitense, anche se probabilmente Donald Trump ce la farà a essere rieletto. Ma anche se Joe Biden acciuffasse all’ultimo minuto la vittoria, resta un fatto: perché i sondaggi davano una vittoria per i democratici che variava da “molto probabile” a “con una valanga di voti”, e questo non è capitato, anzi probabilmente lo scarto tra previsioni e dati reali è ancora superiore a quello di quattro anni fa? Allora si poteva pensare a qualche fattore che non era stato considerato, ma stavolta non c’è più la scusa della sorpresa… Cosa c’era di sbagliato nei numeri che ci hanno sparato fino a ieri?