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matematto non praticante

Open Encyclopedia of Cognitive Science

MIT Encyclopedia of thil sitoNel 1999 il MIT pubblicò la MIT Encyclopedia of the Cognitive Sciences, che raccoglieva informazioni sullo stato dell’arte nel campo delle scienze cognitive. È passato un quarto di secolo, sono arrivati i nuovi modelli di intelligenza artificiale, e anche il MIT si è adeguato: così hanno creato la Open Encyclopedia of Cognitive Sciences, contenente vari articoli introduttivi sui vari temi: vecchi (come il test di Turing) e nuovi (come gli LLM). Buona lettura!

che vorreste dai mercoledì matematici?

È quasi un anno che di mercoledì cerco di postare regolarmente qualcosa che parli di matematica. Nulla di particolarmente originale, scopiazzo altri blog di lingua inglese: ma cerco comunque di aggiungere qualcosa di mio. Chiaramente lo faccio perché sono un matematico, anche se non praticante, e a me la matematica piace: postare con regolarità mi aiuta a non impigrirmi.

Detto questo, c’è qualcuno tra i miei ventun lettori che legge quei post? E che ne pensa in generale? C’è qualche sottotema preferito? Scrivete, scrivete :-)

Facile come 1+1


C’è una battuta che gira da decenni nella quale si spiega che gli ingegneri trovano la formula 1 + 1 = 2 troppo poco elegante, e preferiscono usare delle semplici trasformazioni algebriche per giungere a

$\begin{align}
& \ln\left(\lim_{z\to\infty}\left(\left(\left( \overline{X}^T \right)^{-1} – \left( \overline{X}^{-1} \right)^{T}\right) + \frac{1}{z}\right)^2 \right) + \sin^2(p) + \cos^2(p) = \\
&\qquad = \sum_{n=0}^{\infty}\frac{\cosh(q)\cdot\sqrt{1 – \tanh^2(q)}}{2^n}
\end{align}$

(no, non si può applicare la stessa cosa ai matematici. Se a un matematico chiedete quanto fa 1 + 1, con buona probabilità vi risponderà semplicemente “dipende”).

Ho scoperto che due anni fa Neel Nanda ha studiato come un trasformatore ha “costruito” la formula per l’addizione modulo n di due numeri. Il risultato è quello che vedete qui nell’immagine in alto. Quello che è successo è che il modello di intelligenza artificiale ha “calcolato” la somma modulare di due numeri usando la trasformata di Fourier discreta e alcune identità trigonometriche. Evidentemente dal suo “punto di vista” (o forse avrei dovuto mettere le virgolette intorno a “suo”) quelle operazioni erano più facili da salvare rispetto a quelle che avremmo usato noi, oppure il materiale di addestramento aveva molte più istanze da usare. In ogni caso credo che la lezione sia abbastanza chiara: anche chi ritiene che i LLM “pensino” non può negare che il loro pensiero sia completamente diverso dal nostro… (a meno che non crediate che i nostro sistema neurale sappia usare DFT e trigonometria a manella)

MATEMATICA – Lezione 24: l’analisi complessa

copertina L’analisi matematica è una brutta bestia. L’analisi complessa lo è ancora di più? Beh, dipende. Sicuramente le formule che ci troviamo sono ancora più complicate; però, come Paolo Caressa ci fa vedere in questo volume, i vincoli che abbiamo rendono più semplice la trattazioni di temi come le funzioni olomorfe, la cui struttura è molto più rigida. Questo volume permette insomma di capire come il passaggio ai numeri complessi (e l’impossibilità di disegnare il graico di una funzione che richiederebbe quattro dimensioni…) non renda insormontabili i problemi.
Sara Zucchini racconta di Vito Volterra, grande matematico italiano e uno dei pochi professori universitari a non firmare il giuramento di fedeltà al regime fascista; io nei giochi matematici sfrutto il principio di induzione.

“in the best interest of my party and the country”

la lettera di rinuncia di Biden
Hanno già scritto più o meno tutto sulla rinuncia di Joe Biden. Al limite posso dire che mi viene da sorridere al pensiero di Vance che l’altro giorno diceva “se Biden non si ricandida allora deve anche dimettersi”: la cosa mi sembra un autogol, perché a questo punto Kamala Harris avrebbe tre mesi di tempo da presidente per ribaltare la situazione attuale. Ma è un’altra la cosa che ho notato.
Come potete leggere, in generale Biden nel suo messaggio ha parlato agli americani. Ci sono solo due punti dove parla del suo partito: il ringraziamento doveroso a quelli che hanno lavorato per lui, verso la fine del testo, e la frase del titolo. Che il suo ritirarsi sia “nel miglior interesse del suo partito” è lapalissiano; ma io non l’avrei assolutamente scritto, e mi sarei limitato a dire “non potendo essere certo al 100% di poter servire la mia nazione per i quattro prossimi anni, ho coscienziosamente deciso”. Mi chiedo se la differenza è dovuta al fatto che io non capisco una cippa di politica (il che ovviamente è vero) oppure c’è proprio una differenza di pensiero tra un europeo e uno statunitense.

Bartali e gli ebrei

È possibile che quando tre anni fa fosse uscito questo pamphlet io ne avessi sentito parlare; ma me ne ero dimenticato fino all’altro giorno, quando mi è passato il titolo sotto gli occhi. (No, non ho letto l’ebook, né penso di leggerlo)

Sei autori per 96 pagine non sono male come mole di lavoro, ma non è quello che mi interessa. Se non ho capito male, “il caso Bartali” consiste nel fatto che mentre la vulgata dice che durante la seconda guerra mondiale salvò centinaia se non migliaia di ebrei il vero numero è tutt’al più di una trentina. Io mi limito a notare alcune cose. (a) Che io ricordi, Bartali non parlò mai della storia se non forse in tarda età (quando comunque non era purtroppo nel pieno delle sue facoltà mentali), quindi non si può dire che si fosse fatto pubblicità. (b) Avesse salvato anche solo una persona la cosa sarebbe stata comunque bellissima. (c) Il titolo è evidentemente un clickbait: non c’è nessun “caso Bartali”. Ma se avessero davvero voluto parlare degli storici antifascisti brutti cattivi (e dell’altra parte), “la vicenda Bartali” sarebbe stata un semplice sottotitolo.

Vabbè, ma si sa che le cose vanno così.

Addio agli URL shortener goo.gl

la pagina interstiziale che arriverà da agosto con l'avviso della dismissione
Gli URL Shortener sono quegli indirizzi web “accorciati”: in pratica, invece che avere un lungo nome come https⁠://xmau.com/wp/notiziole/2024/07/22/addio-agli-url-shortener-goo-gl/ avete https⁠://bit.ly/3xVVSeD. A che ci serve avere un link corto? Beh, dipende. In alcuni libri che ho scritto, ho usato link brevi personalizzati (quindi non con caratteri apparentemente a caso come quello che vedete qui sopra, ma con un testo facile da memorizzare) per tutta la sitografia, in modo che chi aveva una copia cartacea del mio libro potesse digitarlo con facilità. Però ormai l’uso direi essere residuale: molto più semplice mettere un QR-code da fotografare col furbofono, e non so quanti digitino ancora un URL a mano.

Google aveva un suo servizio di creazione di URL shortener, della forma https://goo.gl/; dal 2018 non permetteva più di creare nuovi accorciatori, e ora (meglio, dall’agosto 2025) anche i vecchi collegamenti non funzioneranno più: per un anno se cliccheremo sopra uno di essi ci arriverà una pagina che ci avviserà della cosa, con un link da cliccare per arrivare alla pagina voluta. Con grande senso del ridicolo, poi, gli sviluppatori di Google hanno detto «se non volete far vedere quella pagina aggiungete il parametro “si=1” all’url».

Io penso di capire perché Google avesse creato il servizio: otteneva senza troppa fatica un insieme di URL, e soprattutto aveva un’idea di quanto si accedesse a quelle pagine. Per un’azienda che nasceva come motore di ricerca quei dati erano utili. Penso anche di capire perché avessero smesso di accettare nuovi shortener: Google è sempre meno un motore di ricerca. Ma perché eliminare del tutto un servizio che non mi pareva così costoso rispetto al numero di query che si fa a Google e che non aveva costi di manutenzione (mica doveva controllare se i link funzionavano davvero)?

È vero che Google non si è mai fatta grandi problemi a terminare prodotti e app e che come ben sappiamo un centesimo risparmiato è un centesimo guadagnato (cit.), però la cosa mi stupisce, soprattutto per il lunghissimo periodo di transizione. D’altra parte magari il motivo è sempre lo stesso: le informazioni in rete sono sempre meno persistenti, e quindi il concetto stesso di URL non può essere visto come un’àncora (sapete, vero, perché in HTML i link sono all’interno di un tag <a>?) ma come un qualcosa di usa e getta.

PS: non credo di avere mai creato un link goo.gl, e d’altra parte non potevo neppure raggiungerli mentre ero in ufficio perché il BOFH locale ce li bloccava temendo si arrivasse chissà dove.