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14/01/2013 Uncategorized

Il paradosso della decimazione

Immaginate che un perverso tiranno decida di uccidere un certo numero di persone in maniera peculiare. Inizialmente una persona viene fatta entrare in una stanza, e si lanciano due dadi. Se l’esito del lancio è doppio sei, la persona viene ammazzata e tutto finisce lì. Altrimenti vengono fatte entrare nove altre persone, e si lanciano nuovamente i dadi. Anche in questo caso, se c’è un doppio sei i nove vengono uccisi e la procedura termina; altrimenti i dieci scampati vengono fatti uscire e altre 90 nuove persone entrano nella stanza. La procedura continua, decuplicando il numero di persone (900, 9000…), fino a che viene lanciato un doppio sei; come sempre in questi problemi assumiamo una popolazione – e una stanza! – infinita, in modo da essere “certi” che prima o poi esca un doppio sei e la procedura termini.

Supponete ora di sapere di essere selezionati per questa mattanza. La vostra probabilità di non riuscire a sfangarla è evidentemente 1/36, meno del 3%: insomma non c’è da essere incoscientemente felici, ma dal vostro punto di vista si può essere moderatamente ottimisti. Alla fine dell’ecatombe, e prima di poter sapere chi effettivamente è stato ucciso, vostra madre viene a sapere che eravate stati selezionati. Dal suo punto di vista, il 90% di chi è stato sottoposto alla procedura è stato ucciso; altro che ottimismo. Chi dei due ha ragione?

Ho trovato il testo di questo paradosso su Futility Closet, che rimanda a un articolo del 1999 che a sua volta nell’abstract cita John Leslie e il Doomsday argument, tema che però mi pare un po’ fuori strada. Non avendo l’articolo a disposizione non posso raccontarvelo: ma nessuno mi vieta di fare elucubrazioni personali. Come si può affrontare questo paradosso, secondo voi?

La prima linea di attacco che mi è venuta in mente è quella del paradosso di San Pietroburgo: è vero che è “certo” che prima o poi appaia un doppio 6, nel senso che la probabilità che il risultato non esca mai è zero; ma è anche vero che non abbiamo una popolazione infinita né una quantità infinita di proiettili, quindi una singola procedura è impossibile. Beh, non necessariamente (ed è per quello, tra l’altro, che secondo me il Doomsday argument non c’entra). Immaginate che la vostra mamma abbia anche saputo che la procedura è terminata al settimo lancio di dadi, cioè con un milione complessivo di persone che vi è stato sottoposto, ma non sappia in quale gruppo voi siete stati selezionati. Qui di infinito non c’è più nulla: però dal punto di vista della mamma resta sempre il 90% di probabilità che voi ci abbiate lasciato la pelle. In questo caso però siete voi che dovreste forse preoccuparvi? Non è che la vostra probabilità di sopravvivenza sia crollata dopo questa notizia?

Nì. Se sapete a posteriori che ci saranno sette lanci prima che esca un doppio 6, o anche che ci saranno al più sette lanci, allora in effetti c’è il 90% di probabilità che voi moriate. Ma ci siamo spostati da una probabilità a priori (prima di entrare nella stanza abbiamo il 3% scarso di probabilità di morire) a una probabilità a posteriori (dopo che si sa che la procedura è terminata, si misurano le vittime). La probabilità a posteriori in un certo senso è l’unica che vostra mamma ha a disposizione, visto che se avesse la possibilità di sapere che la procedura è continuata allora saprebbe che voi siete sopravvissuti e la probabilità (ancora più a posteriori…) sarebbe zero, no?

Insomma, per come la vedo io è vero che di mamma ce n’è una sola, ma il ragionamento della mamma è viziato; non per colpa sua, chiaro, ma perché non ha tutte le informazioni necessarie per calcolare correttamente la probabilità. Voi come la vedete?

(ah: se volete vedere altri modi ancora per definire lo spazio degli eventi del problema, questa discussione può esservi utile)

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