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23/02/2022 Uncategorized

Chiamatemi pi greco: un estratto

Domani, 24 febbraio, sarà pubblicato il mio nuovo libro, Chiamatemi pi greco, per i tipi di Dedalo. Nel seguito potete leggere alcune pagine del capitolo 6, “L’Europa ricomincia a fare matematica”, con un protagonista che probabilmente non avreste mai associato al pi greco…


Come abbiamo visto, anche dopo i tempi di Archimede in Asia e nel vicino Oriente si continuava a studiare matematica e si trovavano nuovi risultati: gli studi sul pi greco furono solo una piccola parte delle loro scoperte, e mentre i Greci erano dei grandi esperti di geometria e si dilettavano con quella che oggi chiamiamo teoria dei numeri, i matematici asiatici si interessarono pure di aritmetica e inventarono l’algebra.

In Europa le cose andarono in maniera ben diversa, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente. Le conoscenze dei Greci e persino quelle molto inferiori dei Romani erano state dimenticate quasi del tutto. D’altra parte, l’unica matematica che serviva alla gente nella vita quotidiana era l’aritmetica di base, usata per comprare e vendere: cerchi e circonferenze non facevano parte di queste necessità e furono lasciati da parte.

Quando andava bene, si usava per pi greco il valore 22/7 credendo che fosse quello esatto; lo faceva anche Gerberto di Aurillac, uno dei primi uomini di scienza che si rivolsero ai testi arabi per riportare in Europa nozioni di matematica e astronomia. Gerberto, però, non è molto noto come matematico, anche perché fece carriera in un altro campo: divenne infatti papa Silvestro II. Ma nei documenti delle abbazie medievali, gli unici posti in cui si conservava ancora un po’ di cultura, troviamo che veniva anche usato il valore 25/8 suggerito da Vitruvio, o addirittura quello egizio 256/81; questo ci fa capire che i monaci non erano poi così interessati a quale fosse davvero il suo valore. Possiamo almeno dirci fortunati perché non gli veniva in mente di usare il valore 3 che si trovava nella Bibbia…

Per avere i primi risultati matematici di una qualche importanza dobbiamo aspettare il XIII secolo, quando un ragazzo, figlio di mercanti pisani, fu mandato dall’altra parte del Mediterraneo per imparare il mestiere dei genitori: il suo nome era Leonardo Fibonacci. Fibonacci fu uno studente modello, e una volta rientrato in Italia divenne famoso come maestro d’abaco, vale a dire insegnante di matematica. La sua opera più famosa è il Liber Abaci, pubblicato per la prima volta nel 1202: per più di un secolo questo fu il testo su cui gli europei studiavano la matematica.

Fibonacci è celebre ancora oggi per due motivi. Il primo è che fu lui a rendere davvero note in Italia e in tutta l’Europa le cifre arabe, quelle insomma da 1 a 9, e in più lo 0 (o “zefiro”, come lo chiamava lui), che non era proprio considerato ancora un numero a tutti gli effetti, però era sicuramente utile. Ma la vera fama del matematico pisano è data dai numeri di Fibonacci, che aveva presentato in uno dei problemini piazzati qua e là nel suo libro per mantenere desta l’attenzione dei lettori. Il problema diceva più o meno questo: “Immaginate di avere una coppia di conigli neonati, un maschio e una femmina. Sapete che a partire dal loro secondo mese di vita essi genereranno due figli una volta al mese, sempre un maschio e una femmina. Anche questi coniglietti naturalmente cominceranno ad avere figli da quando avranno due mesi, e così via. Se nessun coniglio muore, quanti conigli avremo alla fine di un anno?”.

Il disegno seguente mostra cosa succede nei primi mesi. All’inizio dell’anno c’è solo una coppia di conigli appena nati. Dopo il primo mese i conigli sono adulti; quindi alla fine del secondo mese ci saranno la coppia iniziale e due conigli neonati. Alla fine del terzo mese ci saranno tre coppie: quella originale, quella dei primi figli ormai cresciuti e una nuova coppia di figli. Alla fine del quarto mese le coppie sono cinque, tre adulte e due neonate. Col passare del tempo il numero di coppie cresce seguendo questa successione: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, 233… Il 31 dicembre avremo pertanto 144 coppie di conigli, che il mese dopo saranno diventate 233. È proprio vero che i conigli si riproducono a una velocità incredibile! Si spera che i loro padroni abbiano delle gabbie abbastanza grandi per contenerli tutti…

i conigli di Fibonacci

I numeri di Fibonacci appaiono molto spesso in natura, e si potrebbe scrivere un altro libro solo su di essi. Ma noi stiamo raccontando del pi greco; lasciamo dunque da parte questi numeri e passiamo a un’altra opera meno nota di Fibonacci, la Practica Geometriae, che scrisse una ventina d’anni più tardi del Liber abaci. Come dice il nome, mentre nella sua opera precedente Fibonacci si era dedicato ai conti, in questo caso parla di geometria, ed è naturale che si metta anche lui a calcolare il valore di pi greco.

Non è chiaro se Fibonacci avesse conosciuto il metodo di Archimede attraverso la traduzione latina delle versioni arabe delle opere greche, oppure l’avesse ricavato autonomamente; di sicuro, però, era al corrente di altri suoi lavori. In ogni caso ha anch’egli applicato il procedimento ai poligoni di 96 lati per ottenere un’approssimazione.

Il suo modo di lavorare mostra tuttavia tre grandi differenze con quello del grande siracusano, ed è per questo che potrebbe essere originale. La prima è che lui ha a disposizione i numeri dell’aritmetica decimale, sicuramente più facili da gestire di quelli greci.

La seconda è che, proprio perché può usare questi numeri, Fibonacci sceglie di utilizzare un procedimento diverso: anziché portarsi per strada le radici quadrate e approssimarle solo alla fine con una frazione, lui fa le operazioni in modo da salvare a ogni passaggio un certo numero di cifre decimali. Beh, non è proprio così: mi sono dimenticato di dirvi che, a dire il vero, i numeri con la virgola non erano stati ideati all’epoca. Ricordate quando abbiamo trovato dei valori per pi greco sotto forma di una frazione con un denominatore molto grande e con parecchi zeri, come per esempio 62832/20000? In realtà quei matematici dicevano più o meno “se un cerchio ha un diametro pari a 20000 unità, allora la sua circonferenza è lunga 62832 unità”. Fibonacci ha fatto la stessa cosa, partendo da un diametro con un grandissimo numero di unità e terminando i conti quando noi al suo posto avremmo cominciato a usare la virgola e calcolare le cifre decimali; un po’ come se quando facciamo una divisione col resto buttassimo via il resto e ci tenessimo solo il quoziente. Per sua fortuna gli è andata bene e gli errori non si sono sommati, ma si sono più o meno annullati a vicenda.

Quella che però è davvero importante è la terza differenza. Mentre Archimede era più interessato a trovare dei limiti inferiori e superiori che a esprimere quel numero con una frazione, Fibonacci aveva l’atteggiamento mentale di un commerciante che ha bisogno di avere dei valori ben specifici. Cosa ha fatto allora? Ha preso i due valori che aveva trovato, quello per il poligono circoscritto e quello per il poligono inscritto, e calcolato la loro media aritmetica: proprio come aveva fatto Kashani in Persia. In questo modo ha ricavato la frazione 864/275, che equivale a circa 3,141818. Fibonacci non è quindi arrivato alla precisione dei risultati cinesi e indiani dei secoli precedenti, e nemmeno a quelli dei suoi contemporanei arabi. La sua stima era comunque migliore del vecchio 3 + 1/7 che era di moda a quei tempi; oggi diremmo che aveva trovato una cifra decimale corretta in più. Insomma, possiamo dargli come incoraggiamento un voto un po’ più alto di quello che avrebbe meritato per il suo risultato…

Per un paio di secoli dopo Fibonacci, la matematica europea ristagnò di nuovo. L’unico grande matematico di quel periodo fu il francese Nicola d’Oresme che visse nel XIV secolo, ma non si dedicò allo studio del pi greco e quindi non fa parte della nostra storia. Diciamo che teologia e filosofia erano considerate le uniche materie teoriche che valeva la pena studiare, e per la matematica necessaria nella vita di tutti i giorni le approssimazioni di pi greco viste finora andavano più che bene.

Le cose cominciarono a cambiare con l’Umanesimo e il Rinascimento. In quel periodo iniziarono ad arrivare in Europa non soltanto le versioni delle opere dell’antichità tradotte in arabo, ma anche molti scritti originali greci che venivano tradotti in latino, la lingua franca usata da tutti gli intellettuali fino al Settecento e oltre. Queste opere, che in pochi anni tornarono a disposizione degli studiosi, fecero nascere una vera e propria infatuazione per i saperi del passato. Non andavano più bene le conoscenze attuali; bisognava fare tutto alla maniera degli antichi Greci. E visto che i Greci si erano occupati anche di matematica e non solo di filosofia, gli umanisti dovevano saper fare di tutto. Ecco dunque che la ricerca del vero valore di pi greco ripartì. Purtroppo, però, la buona volontà era tanta, ma i risultati non erano sempre validi!

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