Vaccinarsi aumenta la probabilità di contagiare?
Ho letto parecchi novax affermare che loro – proprio perché devono essere testati ogni due giorni con un tampone per avere il green pass – hanno una minore probabilità di contagiare altre persone di coloro che invece hanno avuto il vaccino e possono essere portatori sani, non essendo generalmente controllati. Secondo voi, questa loro affermazione è vera o falsa?
Ok, la domanda è un trabocchetto. Almeno per quanto mi riguarda, la risposta è “non lo so”. Per esempio, è abbastanza accertato che un vaccinato infettato rimane infettante per un tempo minore, e quindi c’è un fattore di riduzione che potrebbe o non potrebbe cambiare le carte in tavola. Ma c’è una domanda a cui posso dare almeno in parte una risposta, e che penso sia più interessante. La vera domanda è “Come si potrebbe scoprire se questa affermazione è vera o falsa?”
Premetto che anche in questo caso io non saprei dare una risposta nemmeno se avessi a disposizione i dati che servono. Non possiamo certo fare tamponi a tutta la popolazione italiana ogni due giorni, quindi occorrerà trovare un modello statistico adatto; io però non sono uno statistico, e le mie competenze non sono certo sufficienti. Però posso almeno avere un’idea di quali dati servirebbero, e di come si potrebbero ottenere.
Il primo metodo, quello che sarebbe il più facile da implementare, sfrutterebbe i dati dei tamponi che vengono già fatti. Perché uso il condizionale? Perché i dati che vengono regolarmente inseriti nelle tabelle fornite dalla Protezione Civile non hanno la granularità necessaria. Noi non sappiamo se i tamponi sono fatti in presenza di sintomi, per verificare se l’infezione è terminata oppure per una qualunque altra ragione (e qui si possono mettere insieme sia i novax che coloro che devono fare un tampone prima di un’operazione chirurgica, per andare in una struttura ricettiva che li richiede, o per qualunque altra ragione). Ciò che ci interessa è la terza categoria: i dati che otterremmo sarebbero comunque falsati, perché ci sarebbe una preponderanza di “tamponi green pass” che sono fatti più frequentemente, ma avremmo comunque una prima idea del comportamento. Chiaramente non ci sarebbe nessun problema di privacy, considerando che stiamo trattando dati aggregati.
Il secondo metodo, che almeno in teoria sarebbe il migliore, è fare una campagna di tamponi indipendente da sintomi o no: si calcolano quanti tamponi al giorno bisogna fare per avere un campione significativo anche da un punto di vista demografico, e li si fa. Questo sistema darebbe sicuramente risultati molto migliori da un punto di vista statistico, però ha vari problemi. Il primo che mi viene in mente è che per come è costruito violerebbe la privacy delle persone, visto che devono dire se e quando sono vaccinate; il secondo è che non è detto che la gente (almeno quella vaccinata…) amerebbe farsi fare un tampone così per l’amore della scienza. Per questo secondo punto non avrei nessuna idea pratica su come ovviare, anche se probabilmente chi fa sondaggi ha qualche trucco nella manica; per il primo la risposta più semplice sarebbe anonimizzare i risultati, dato che per fare i conti bastano i dati aggregati e non quelli delle singole persone. Riconosco però che a differenza del primo metodo questo sarebbe molto difficile da mettere in pratica. Con ciascuno dei due metodi però si avrebbe la possibilità di stimare la percentuale di infetti nelle due popolazioni “vaccinati”/”non vaccinati”; non sarebbe comunque quello che cerchiamo, che sarebbe la percentuale di infettanti, ma come “proxy” (termine tecnico in statistica per una variabile che ne sostituisce un’altra non osservata) andrebbe abbastanza bene.
Nel caso foste scettici sulla possibilità di stimare gli infetti con un semplice campione statistico e pensaste che sarebbe semplicemente meglio raccogliere tanti dati, vi lascio il link a questo post che riprende un articolo di Nature. In pratica, il tasso di vaccinati stimato da un sondaggio a campione ha un tasso di errore molto maggiore di quelli ottenuti mediante i famigerati Big Data con un numero di risposte date che è due ordini di grandezza maggiore, ma è molto più vicino ai dati reali come misurati dal CDC americano. Come mai? Probabilmente perché le persone vaccinate tendono a comunicare di più la loro scelta rispetto ai non vaccinati.
Qual è la morale di tutto questo? Beh, innanzitutto che prima di partire con risposte automatiche è meglio farsi un’idea dei vari casi possibili, in modo da non avere dei pre-giudizi; ma soprattutto che prima di fidarsi dei numeri occorre sapere come sono stati presi e trattati. Inoltre ci possiamo chiedere se la mancanza di dati al giusto livello di aggregazione sia dovuta al fatto che nessuno ci abbia pensato oppure ci siano chissà quali altre ragioni. Ah, sì: infine, ognuno deve fare il proprio mestiere. Io non mi metto a pontificare sulle mutazioni di SARS-COV-2, e vado coi piedi di piombo anche quando devo parlare di numeri, che pure conosco meglio: ma come dicevo qua sono comunque al di fuori del mio campo. Evitiamo però per favore lo sconfinamento epistemico e le comparsate televisive seriali…
Aggiornamento: (15 dicembre) Ho trovato questo articolo di NewScientist che riporta alcuni studi secondo i quali i vaccinati infetti – almeno prima di omicron – infettavano il 63% in meno dei non vaccinati. Non dovrebbe essere necessario rimarcarlo, ma l’articolo fa notare che questi dati non tengono conto del fatto che i vaccinati si contagiano di meno.
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