Recensione: Complessità: un’introduzione semplice
È facile riempirsi la bocca parlando di sistemi complessi e millantando chissà quali sviluppi avremo in breve, anzi brevissimo tempo. È molto meno facile capire cosa sta succedendo davvero, e come si possa trattare la complessità in un contesto dove siamo abituati all’irragionevole efficacia della matematica… che però in questi casi non funziona mica così bene. Insomma, che si fa? Il fisico Ignazio Licata ha scelto un approccio interessante, che ha riportato nel libro Complessità: un’introduzione semplice riedito recentemente da Di Renzo in una versione aggiornata e ampliata (pag. 184, € 16, ISBN 9788883233647).
Licata sa benissimo che non abbiamo risposte puramente matematiche ai sistemi complessi, e ritiene che non potremo mai averle; i sistemi “mesoscopici”, quelli che sono a metà tra i microscopici e i macroscopici, sono infatti caratterizzati dalla presenza di caratteristiche emergenti che non possono essere catturate da un modello puramente riduzionistico che pure ha portato tanti risultati validi da Galileo fino ad oggi. Decide così di girare la frittata, prendendosi beffe dei grandi proclami che arrivano per esempio nel campo delle neuroscienze. Ecco che cosa scrive:
Quello delle neuroscienze è un campo in cui si notano curiose inversioni esplicative. Un esempio è fornito dall’ennesima notizia tratta dai giornali: “Quando attraversiamo la strada il nostro cervello risolve migliaia di equazioni differenziali complicatissime”. Ora è chiaro che le cose stanno esattamente al contrario: le equazioni differenziali sono un nostro modo di modellare dinamiche complicate, che nel cervello sono scritte (e consultabili gratuitamente e rapidamente!) dall’eredità evolutiva del gioco predatore-preda. (pag. 72)
Ecco, pensateci un po’ su. È più logico pensare che il cervello risolva equazioni differenziali oppure che usi un altro sistema per arrivare alla soluzione? Tutto questo non significa che le equazioni differenziali siano il male, intendiamoci: Licata si limita a far notare che sono utili per fare un modello, ma che il modello in questione non sempre può cogliere tutti gli aspetti della realtà. Lui parla di costruttivismo, ma in un senso diverso da quello usuale: per lui «in qualche modo, noi non fotografiamo il mondo, ma prendiamo impulsi e li rimodelliamo continuamente in base alla nostra esperienza.» (pag. 54), e lo stesso facciamo con le teorie. In pratica,
Semplicemente […] un sistema complesso non può essere “zippato” in un singolo sistema formale. Questo vuol dire che lo potete osservare da vari punti di vista e potete costruire modelli mirati ad aspetti diversi, ossia modelli differenti per descrivere giochi di relazione diversi. (pag. 97)
Il segreto della complessità è insomma tutto qui: comprendere che l’interazione tra le parti di un sistema ha un risultato molto diverso dalla somma delle singole parti – di nuovo, una critica di base al riduzionismo – e che quindi occorre una visione multivariata del sistema, a seconda di quello che interessa di più in un certo momento. Attenzione: non si parla di olismo, come potrebbe sembrare a prima vista. Licata è in un certo senso eracliteo, e ritiene che sia più utile vedere il fluire del processo, sapendo che ci sono molte vie diverse che arrivano a situazioni che sono sì distinte ma in un senso più generale equivalenti, un po’ come sulla termodinamica. C’è però una differenza di base, e di nuovo Licata esce dal pensiero mainstream. Come fa notare, gli scienziati tendono inconsciamente a pensare che i fenomeni casuali siano esprimibili per mezzo di gaussiane, ma a ben guardare i sistemi complessi hanno una distribuzione più legata alla legge di potenza; vediamo sempre più spesso strutture a hub, che hanno una capacità adattativa maggiore – se si rovina un hub il resto della struttura può riorganizzarsi, anche se a fatica. I cigni neri di Taleb, che sono il risultato di eventi al di fuori della zona confortevole di una gaussiana, diventano pertanto “cigni grigi”, pericolosi ma non così rovinosi.
A proposito di distribuzioni, di probabilità – Licata ha un’ammirazione sconfinata per l’approccio soggettivo di Bruno de Finetti, che in effetti si associa bene alla sua idea di un sistema complesso come formato da tante facce soggettive nessuna delle quali può catturare la totalità di un sistema complesso – nel libro si accenna anche alla presente dittatura dei Big Data. Anche qua il suo punto di vista è peculiare:
Un dato non è mai così grezzo come sembra, ma non è ancora un dato osservabile. Questi ultimi sono definiti all’interno di una teoria. […] Il problema dei grandi flussi di dati è invece proprio quello di classificarli e cercare relazioni tra le diverse classi. (pag. 153)
In definitiva, non è vero che basti buttare dentro il calderone del computer tanti, tantissimi dati per trovare dei “nuovi” risultati. Quando lo facciamo, abbiamo sempre in mente una teoria, anche solo in abbozzo, nella quale inserire questi dati. Altrimenti arriviamo al fiasco di Google Flu Trend, che volendo dare una risposta totalmente agnostica ha avuto per un po’ buoni risultati per poi fallire di colpo. Se volete, tutto questo non è altro che il buon vecchio detto “correlation does not mean causation” visto non più come frase apodittica ma con un suo contesto.
Come dicevo all’inizio, il libro non dà né vuole dare risposte, ma vuole piuttosto indurre il lettore a farsi delle domande; credo che riesca bene nel suo intento, anche per lo stile di scrittura di Licata che accompagna argutamente il lettore nel corso del testo. A parte lamentarmi che la Risposta non è 7,41 ma 42, l’unica nota negativa al libro, almeno per quanto mi riguarda, è la lunga introduzione al libro scritta dal filosofo della fisica Silvano Tagliagambe. Mi sa che se Benedetto Croce fosse ancora vivo scuoterebbe la testa dicendo che è ovvio che un ingegno minuto quale io sono non può approcciare certi temi; vi confesso che non ho capito una parola del suo testo.
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