Quando i polli di Trilussa non sono quelli giusti
Ieri Bruno Ventavoli, il responsabile di Tuttolibri, ha scritto un accorato appello sulle pagine della Stampa: «Cari editori, stampate meno libri». Ventavoli ha umoristicamente raccontato del grande problema dell’editoria in Italia: si stampano troppi libri (in proporzione al numero di libri letti dagli italiani), ogni uscita trova sempre meno spazio nelle librerie fisiche e viene presto scacciata, e non c’è nemmeno lo spazio per recensire tutti i bei libri che pure sono prodotti: gli uffici stampa degli editori pressano con sempre maggiore insistenza per avere un posticino.
Diciamo che mi sono fischiate parecchio le orecchie: sia in qualità di scrittore (sulla qualità dei miei libri ovviamente non posso spergiurare) che per il tentativo di ottenere lo strapuntino di cui sopra. Diciamo che ci ho messo due anni e sono dovuto arrivare al secondo libro per Codice, oltre che passare da Tuttolibri a Tuttoscienze, per vederli raccontati da me medesimo sulle pagine della Stampa. Ma non è di questo che volevo parlare, quanto di una frase più spiccatamente matematica che si trova nel testo: «Se come dice la statistica la vendita media per titolo è di 160 copie, i polli di Trilussa insegnano che il 90% degli scriventi riesce a piazzare meno di cinque copie (ciò significa che neppure i parenti più stretti, l’amante miciosa, l’ex compagno di banco alle medie, fanno lo sforzo di acquistarlo).» Quando vedo dei numeri il mio cervello parte a fare stime spannometriche (i cosiddetti problemi di Fermi), e quel numero non mi tornava molto.
In casi come questo è difficile trovare dati specifici: sappiamo dall’articolo che l’anno scorso sono stati pubblicati quasi 70000 libri (io ero fermo a meno di 60000, ne stanno uscendo davvero sempre di più) ma le classifiche che troviamo non danno mai il numero di copie dei primi in classifica. O c’è una statistica settimanale con una percentuale rispetto al più venduto, oppure i libri sono ordinati per numero decrescente di copie ma senza indicare il numero di copie effettivamente vendute. Io so solo quante ne vendo io, sul mio blog personale lo scrivo anche: diciamo che nell’anno di pubblicazione posso vendere intorno alle mille copie, il che mi porterebbe nel 10% dei “ricconi”, cosa che non credo proprio. Dovrebbe essere anche chiaro a tutti che dire che il valore medio di vendita è 160 copie non significa che metà dei libri vendono meno e metà di più: quella non è la media ma la mediana, che è tutt’altra cosa. Immaginate di essere in dieci persone, nove con 10 euro a testa e una con 910: in media (quella di Trilussa, stavolta sì) avete cento euro a testa.
Ma come si può allora stimare quanto vende il 90% degli scriventi? per fortuna esiste un modo interessante di calcolarlo: ma prima di presentarlo segnalo alcuni numeri dal Rapporto AIE 2017. Il numero di copie vendute in tutto in Italia è stato 88 milioni e il numero di uscite nuove 66.000, che moltiplicate per una media di 160 copie come scritto da Ventavoli dà circa 10 milioni di copie vendute di libri “nuovi” (ci sta: pensate solo a quante sono le novità in una libreria e quanti libri sono stati pubblicati negli anni passati).
Quello che ci serve è la legge di Zipf. È un risultato empirico, trovato da un linguista del secolo scorso mentre osservava una tabella di frequenze di parole in un corpus molto ampio: se venivano ordinate per frequenza decrescente, quella in posizione n occorreva circa 1/n di volte rispetto alla prima. A volte i valori scendono un po’ di più (per esempio nei Promessi sposi n deve essere elevato alla potenza 1,14); ma il concetto è quello. Se il libro più venduto nel 2017 (Storie della buonanotte per bambine ribelli) è arrivato a 450.000 copie, possiamo dire che chi si è trovato in posizione 6.600 (il 10% del totale, che quindi lascia il 90% sotto) avrebbe venduto 65 copie: insomma amante miciosa ed ex compagno delle medie forse hanno acquistato il libro dei nostri scrittori, magari mugugnando, o perlomeno l’autore è andato in libreria, ne ha ordinato un po’ di copie “per muovere il mercato” e glieli ha regalati. Anche chi si trova a metà classifica avrebbe comunque venduto una trentina di copie…
Questo conto è molto crudo, non tiene conto che molti libri stampati dagli editor a pagamento in effetti fanno pochissime copie (ma per dire io mi sono autoprodotto per divertimento Matematica in relax 2 che si è fatto 70 copie senza pubblicità) e comunque con questa stima il libro meno venduto avrebbe ben sette copie; ma è un buon punto di partenza, che dà un risultato di un ordine di grandezza (dieci volte, per chi non è avvezzo a questa nomenclatura) maggiore di quanto scritto nell’articolo.
Post Scriptum: ovviamente nei miei libri io ho parlato sia dei problemi di Fermi e di media/mediana (in Matematica in pausa caffè) che della legge di Zipf (in Scimmie digitali). Ovviamente Ventavoli non ha colpe per non averli letti: basta vedere la quantità di carta che si trova in ufficio :-) Quello che vorrei fare notare è come sia importante saper scegliere il giusto modello se si vogliono fare stime matematiche: non è una cosa immediata, e purtroppo sono cose che non si insegnano a scuola, ma con un po’ di allenamento non è poi così difficile. Poi sono sicuramente di parte, ma trovo che fare questo tipo di conti sia anche divertente in assoluto, non solo rispetto a quelli scolastici. Purtroppo non riesco a convincere il mondo.
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