L’obsolescenza della matematica
“Tutti i metodi matematici che ho studiato all’università sono diventati obsoleti nel corso della mia carriera”. Non lo dico io, che di carriera non ne ho fatta, ma il noto matematico e divulgatore britannico (anche se vive negli USA e insegna a Stanford) Keith Devlin. Ne parla in questo articolo, oltre che nel suo blog. La figura qui sotto mostra quali sono gli attuali strumenti che Devlin usa per risolvere un problema matematico, o più precisamente usare la matematica per risolvere un problema matematico: insomma nulla a che fare con i problemi matematici che di solito danno a scuola, come per esempio “quali sono le radici dell’equazione x²+4x−5=0?”.
Ora che vi ho fatto saltare sulla sedia, posso entrare più nel dettaglio e raccontarvi cosa dice davvero Devlin (che è della classe 1947, per la cronaca, quindi non proprio un giovincello). Quando si laureò nel 1968 aveva imparato tutti i “ferri del mestiere” dei matematici: un arsenale di strumenti che erano stati sviluppati nei millenni per risolvere i problemi che man mano arrivavano loro. In pratica, una conoscenza procedurale: “se devo risolvere questo problema, devo fare così e cosà”. Un po’ come quello che si fa di solito a scuola. L’idea di Devlin (e di tutti gli altri, a dire il vero) era che nei decenni successivi si sarebbe potuto ideare qualche altro strumento, ma la strada era quella. E in effetti per buona parte della sua carriera Devlin ha sfruttato i suoi ferri del mestiere.
Solo che poi è successo qualcosa di inaspettato. Il primo scossone è stato dato dalla diffusione a partire dalla fine degli anni ’60 delle calcolatrici elettroniche. Certo, per fare i conti prima si poteva usare un regolo calcolatore, ma i risultati erano molto approssimati. Ora non servivano più tutte le tecniche per fare i conti a mente. Il secondo scossone dipende dai personal computer. Gli spreadsheet permettono di fare rapide simulazioni senza bisogno di imparare a programmare; ma i computer sono diventati sempre più bravi anche con il calcolo simbolico, fino ad arrivare a Mathematica che al prezzo di 160 euro più Iva l’anno (edizione personale, uno studente paga meno della metà) ti fa tutti i conti anche formali per risolvere un problema specificato abbastanza bene. Se serve giusto risolvere un problema ogni tanto puoi anche andare su Wolfram Alpha e fargli fare i conti. In pratica, tutta la matematica procedurale sviluppata con tanta fatica a partire dagli assiro-babilonesi è ormai demandabile al computer. Che resta allora da fare a un matematico?
Tantissimo. La differenza è che sono cose diverse da quelle del passato. Un po’ di conoscenza procedurale serve sempre, ma solo perché rende più facile comprendere come funzionano le procedure, e quindi ci dà la possibilità di sfruttare i computer perché riusciamo a dirgli esattamente cosa vogliamo. I conti se li faccia lui, l’hanno costruito apposta. Quello che secondo Devlin è fondamentale nel ventunesimo secolo – per tutti, non solo per chi voglia dedicarsi alle materie scientifiche, le cosiddette STEM – è un senso matematico (“number sense” nell’originale), qualcosa che non ha nulla a che fare con la precisione a cui siamo abituati a pensare quando si parla di matematica. Noi esseri umani non siamo bravi a fare i conti, ma rispetto ai computer possiamo capire cosa vogliamo, e avere un’idea di quale può essere il risultato che cerchiamo. Ci penseranno poi i calcolatori elettronici a verificarlo; ma come dicevo sopra, per far verificare un risultato da un computer bisogna saperglielo spiegare bene.
Devlin è favorevole al cosiddetto Common Core, l’insieme delle nozioni che dovrebbero essere conosciute dagli studenti americani, proprio perché va in questa direzione. Il problema è che un lavoro che passi dalla proceduralità alla creazione di un senso matematico non è per nulla facile, senza contare che ci sono anche dei problemi a misurarlo: un conto è vedere se gli esercizi propinati hanno la risposta corretta, controllando al più che lo studente non abbia nascosto uno smartphone a cui dare in pasto il testo; altra cosa è per esempio assegnare problemi reali e soprattutto aiutare i ragazzi a trovare le strade possibili per arrivare a una soluzione. Devlin, che qualche mese fa ha tenuto un minicorso in una scuola per ragazzi sopra la media, ha chiesto loro di stimare qual è l’algoritmo che UPS ha usato per spedire i pacchi con il materiale didattico dal suo ufficio a lì; ma è chiaro che quell’approccio non è scalabile.
Quello che tutti noi possiamo fare è però cominciare a pensare ogni tanto in modo matematico: aprile, oltre che il mese più crudele come diceva Eliot, è anche il mese della consapevolezza matematica (niente battute sulla possibile correlazione, grazie) e quindi è il momento giusto. In fin dei conti molti degli strumenti di Devlin, da Quora a Wikipedia, da Math Exchange a Linkedin, sono legati alla collaborazione. Non è più il tempo in cui i matematici lavoravano fondamentalmente da soli: ormai la collaborazione è indispensabile, non foss’altro che per evitare di rifare il lavoro di qualcun altro. Se ho un problema e c’è chi l’ha già risolto, o almeno ne ha risolto uno simile, perché non posso sfruttare il suo lavoro? Certo, prima devo capirlo, e quindi torniamo al punto di partenza…
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