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25/08/2010 Uncategorized

Aritmetica con gli ordinali

Abbiamo visto come i numeri ordinali corrispondano a un insieme di numeri “messi in ordine”, a differenza dei numeri cardinali che dell’ordine non si curano e sono quelli che usiamo di solito: se ho cinque caramelle in genere non mi interessa sapere qual è la prima, a meno che io non voglia iniziare con quella che mi piace di più. Finché ci limitiamo ai numeri finiti non ci sono grandi differenze; quando però si passa all’infinito non si sa mai cosa possa capitare, e il fatto che il più piccolo ordinale transfinito, ω, abbia un nome diverso dal più piccolo cardinale transfinito, ℵ0 dà qualche sospetto. E in effetti…

Sappiamo che possiamo rappresentare un numero ordinale come un insieme ordinato, e che c’è un ordinamento canonico che viene associato. L’ordinale standard per 5 è così (1,2,3,4,5), mentre quello per ω è dato da (1,2,3,4,…). Attenzione, però: (1,2,3,4,5), (5,4,3,2,1), (42, 314, 1, π, “pippo”) sono in realtà lo stesso numero ordinale. Non importa infatti quali etichette vengono associate agli elementi dell’insieme; ciò che conta è che ce n’è uno che non ha nessun elemento alla sua sinistra, un altro che ne ha uno, un altro ancora che ne ha due, e così via. Andiamo ora avanti a definire le operazioni aritmetiche standard.

La definizione di somma di due ordinali è la loro giustapposizione, il che sembrerebbe ovvio. Proviamo allora a sommare 1+5: se scriviamo i numeri in forma canonica abbiamo (1) e (1,2,3,4,5) che non è bello perché ci sarebbero due numeri uguali nell’insieme somma, e non sappiamo bene che farci. Per semplicità userò un carattere diverso, e avremo così (1) e (1,2,3,4,5) che danno (1,1,2,3,4,5) che possiamo riscrivere come (1,2,3,4,5,6), cioè 6. Non ci credevate, vero? Ripeto, nel caso di numeri finiti non c’è nulla di strano, e tutta questa storia sembra un’inutile complicazione.

omega*omega

visualizzazione grafica di ω·ω (da Wikipedia)

Passiamo ora a sommare 1+ω; otterremo (1,1,2,3,4,…) che riscritto in maniera canonica è evidentemente ancora ω. Anche qui nulla di strano, per noi che siamo ormai abituati all’aritmetica dei numeri transfiniti. Proviamo però a sommare ω+1. No, non è la stessa cosa di prima; nessuno ci assicura che valga la proprietà commutativa dell’addizione, che cioè a+b=b+a come capita nella nostra aritmetica usuale. La somma è (1,2,3,4,…,1); il secondo 1, quello scritto in corsivo, appartiene a una classe di numeri diversa dagli altri, visto che non ha nessun predecessore: ricordatevi che non esiste il “numero infinito”! Abbiamo scoperto due cose: che nella somma di ordinali infiniti non vale la proprietà commutativa dell’addizione e che c’è un nuovo numero ordinale, ω+1, la cui cardinalità è ℵ0 proprio come ω. Beh, ce ne saranno almeno infiniti altri, visto che ω+2, ω+3, …, ω+ω, ω+ω+1, … sono tutti diversi.

Ma è ora di passare alla moltiplicazione. Il prodotto di due ordinali è l’insieme formato dalle coppie (ordinate) di un elemento del primo e uno del secondo insieme. Così 2·3, cioè (1,2)·(1,2,3), è dato da ((1,1),(2,1),(3,1),(1,2),(2,2),(3,2)), che tanto per cambiare vale 6. Forse avete già capito come va a finire; se calcoliamo 2·ω otteniamo ((1,1),(1,2),(2,1),(2,2),(3,1),(3,2),…) che è sempre ω, ma se calcoliamo ω·2 otteniamo ((1,1),(2,1),(3,1),…,(1,2),(2,2),(3,2),…) che è tutta un’altra roba, ed equivale a ω+ω; “due volte infinito”, che naturalmente ha sempre ℵ0 come cardinalità ma è però diverso come numero ordinale. Vi risparmio tutte le definizioni di moltiplicazione sinistra e destra e cose del genere; se proprio volete vedere cosa succede, come sempre Wikipedia è la vostra amica. I disegnini che vedete qui nel testo arrivano da là, tra l’altro.

omega^omega

visualizzazione grafica di ωω (da Wikipedia)

Come ω+ω dà ω·2, possiamo anche pensare all’esponenziale; ω·ω dà ω2. Si può proseguire, arrivare a ω3, ω4, …, ωω, un ordinale piuttosto grande la cui cardinalità è… ℵ0. Se ci pensate su, non è poi così difficile crederlo. È un po’ come la storia dell’albergo di Hilbert; gli infiniti bus che arrivano ciascuno con infiniti passeggeri corrispondono a ω2, ma anche se ci fosse un infinito numero di caratteristiche diverse il Bravo Direttore d’Albergo potrà comunque trovare un buon ordinamento e assegnare a ciascuno degli ospiti una stanza tutta per lui, fregandosi le mani per i soldi guadagnati.

Nessuno ci obbliga a fermarci qua, ovvio; acendo una torre infinita di potenze ω, ωω, ωω), … si arriva a un nuovo numero ordinale, denominato ε0. Sì, proprio epsilon, la lettera greca che in genere indica un numero piccolo a piacere. Ma in effetti ε0 è il più piccolo numero che non può essere costruito a partire da ω con un numero finito di operazioni di addizione, moltiplicazione ed esponenziazione; oppure se preferite la più piccola soluzione dell’equazione k = ωk – un’altra di quelle cose che con i numeri cardinali non erano possibili, visto che la cardinalità di 2k è sempre strettamente maggiore di quella di k. ε0 è anche importante perché è il primo ordinale che… Chi è stato laggiù in fondo a dire “che ha la cardinalità del continuo?” Beh, ha sbagliato. Anche ε0 ha cardinalità ℵ0. Esistono ordinali di cardinalità diversa, come ω1 che è formato dall’unione di tutti gli ordinali di cardinalità ℵ0, ma che io sappia non si usano molto, anche perché nessuno saprebbe come fare un buon ordinamento di questo insieme. L’importanza di ε0 sta nel fatto che non si può applicare il metodo d’induzione (transfinita, per la precisione) per arrivarci; ne escono fuori conseguenze interessanti come il teorema di Goodstein che è un esempio pratico del teorema di indecibilità di Gödel.

Certo che parlare di “esempio pratico” è probabilmente una presa in giro; nulla di quanto scritto ha un qualsivoglia uso nella vita di tutti i giorni. Cantor sviluppò la teoria degli ordinali per avere una grana un po’ più fine quando si tratta con gli insiemi infiniti; gli ordinali hanno il loro spazio nella teoria dei giochi (intesi come “plays”, non “games”) ma anche in questo caso effetti pratici ce ne sono pochi. È però interessante accorgersi che spesso è possibile fare generalizzazioni (nel nostro caso dal finito all’infinito, mediante cardinali e ordinali) completamente diverse ed entrambe valide. La matematica permette anche una certa libertà, insomma.

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