Come siamo arrivati al sudoku?
Lo so. Il sudoku non è un gioco aritmetico. Il fatto che gli schemi presentino dei numeri è del tutto ininfluente nella sua risoluzione: sarebbe la stessa cosa se ci fossero delle lettere, dei colori, dei dingbats ✆✈✎✪, oppure delle faccine. Ma un po’ di matematica in fin dei conti è nascosta, e soprattutto la storia di come il gioco è nato (che ho trovato sul libro di David Bodycombe The Riddles of the Sphinx, ma è anche presente su wikipedia, almeno in parte) è abbastanza simpatica da meritare di essere raccontata.
Tutti dicono che la storia nacque con Eulero, ma ad essere onesti non è che lui c’entri molto con il sudoku: nel 1783 si era limitato a studiare i quadrati latini (quelli nxn dove in ogni riga e in ogni colonna erano presenti i numeri da 1 a n) e verificare quando si poteva averne più di uno “ortogonale”, cioè tale che sovrapponendo i due quadrati si ottenessero coppie di numeri tutte diverse, come nell’esempio qui a fianco dove ci sono tre quadrati latini di ordine 4 ortogonali: i numeri neri, rossi e verdi. Eulero congetturò che fosse sempre possibile tranne che nei casi in cui n fosse della forma 4k+2, ma fu smentito clamorosamente alla fine degli anni ’50: solo i casi 2 e 6 sono infatti impossibili. Come potete vedere, con il sudoku c’è davvero poco in comune se non il poter avere un quadrato 9×9.
Dopo questa nouveau espèce di carrés magiques non successe nulla per un secolo. Nel 1892 un giornale parigino, Le Siècle, pubblicò però un quadrato magico 9×9 dove anche i quadratini 3×3 contenevano i numeri da 1 a 9. Non era però ancora il sudoku come lo conosciamo noi, perché per essere risolto occorreva usare della matematica per trovare i numeri giusti da mettere nelle caselle. Dopo questo isolato exploit, non si parlò di questo gioco fino alla fine degli anni 1970, quando gli statunitensi della Dell Publisher pubblicarono il “Number Place”, che nacque quasi esattamente come un attuale sudoku: griglia 9×9 con tre sottoquadrati 3×3, numeri da 1 a 9 tutti presenti su ogni riga, ogni colonna e ogni quadratino. Erano però molto più facili degli schemi attuali, e nei primi esempi c’erano addirittura gli aiutini: caselle con un cerchietto dove venivano specificate quali numeri potevano essere inseriti. Non è certo chi abbia inventato questo gioco, anche se sofisticate tecniche poliziesche ritengono che l’autore sia tale Howard Garns.
Finalmente il Sudoku arriva in Giappone e prende il suo nome: nell’aprile 1984 l’editore nipponico Nikoli scoprì il Number Place e lo riciclò nella sua rivista, con il nome Suuji wa dokushin ni kagiru, che tradotto significa più o meno “i numeri devono essere solitari”. Per comodità il nome venne rapidamente abbreviato in “su-doku”, “numero singolo”, e la Nikoli registrò il termine in Giappone (ma non all’estero! Ecco perché tutti noi lo possiamo chiamare così). Giochi logici di questo tipo sono molto apprezzati in Giappone, dove a causa degli ideogrammi le parole crociate sono virtualmente impossibili, e il sudoku raggiunse il secondo posto, dopo il kakuro (che in effetti è più matematico).
Il penultimo passo avvenne nel 1997, quando un ex avvocato neozelandese, Wayne Gould, durante una vacanza in Giappone vide uno schema di sudoku in un giornale; essendo più o meno l’unica cosa a lui comprensibile lo provò, gli piacque, e nei sei anni successivi lavorò a un software in grado di generare automaticamente schemi di sudoku. Per la cronaca, ci sono 6.670.903.752.021.072.936.960 schemi possibili, circa lo 0,00012% del numero di quadrati magici 9×9; eliminando però gli schemi “essenzialmente identici”, ad esempio quelli ottenibili con rotazioni e riflessioni, o permutando le cifre, oppure scambiando di posto ad esempio le prime due righe, si è calcolato che ne restano “solo” 5.472.730.538; abbastanza per giocarci ancora un po’, direi.
Nel 2004, dopo avere inutilmente tentato di vendere il sudoku negli USA, Gould si rivolse in Gran Bretagna al Times, che accettò i giochi e pubblicò il primo schema il 12 novembre 2004. Ma come nelle migliori tradizioni, gli altri giornali (con l’eccezione del Guardian, che ritenne che il gioco non avrebbe avuto futuro, copiarono subito l’idea: il Daily Mail pubblicò il suo primo schema dopo solo tre giorni! Peccato che gli diedero il nome “Codenumber”, facendo un clamoroso autogol. Il resto è storia :-)
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