Giardini bonsai
Nel weekend ho dovuto far fare i compiti di geometria a mio figlio. Dopo essere arrivati faticosamente al termine del problema mostrato qui sopra, gli chiedo se non aveva notato nulla di strano: purtroppo mi ha risposto di no, a parte l’aver dovuto fare un’equivalenza che per lui è una specie di affronto. E voi, che ne pensate?
La risposta è molto semplice. Come riuscite a mettere una siepe intorno a un giardino i cui quattro lati sono tutti lunghi meno di cinque centimetri?
Lo so, ogni tanto io riscrivo sempre lo stesso tipo di post, lamentandomi dei libri di testo con problemi insensati. Di solito quello che troviamo sono impossibilità matematiche tipo triangoli in cui un lato è maggiore della somma degli altri due, o cose simili: l’estensore dei problemi voleva che gli studenti si esercitassero ad applicare una certa qual formula e ha cominciato a snocciolare numeri senza verificare la loro coerenza interna. Nel mucchio e andando di fretta succede, anche se non deve succedere. Ma in questo caso la situazione è a mio parere ancora peggiore. Il problema aveva perfettamente senso se si fosse parlato di un quadrilatero disegnato su un foglio: ma qualcuno ha pensato che “bisognava fare un esempio più vicino al mondo reale” e ha “dematematizzato” il testo parlando di un giardino. Per chiarire ancora di più che il problema era qualcosa che ti poteva capitare davvero di dover risolvere, ha persino fatto aggiungere il disegno della siepe. Tanto lavoro per poi dimenticarsi di scegliere unità di misura coerenti con quelle di un giardino dove si può entrare a giocare o a passeggiare: alla faccia del mondo reale!
Io non ho nulla contro la dematematizzazione. Spesso quando preparo i miei quizzini della domenica provo a cercare un’ambientazione divertente: non lo faccio sempre e non mi viene sempre così bene, ma di solito ci tento, tanto per fare qualcosa di diverso dal solito. Ma se lo faccio è perché voglio far sorridere il lettore: anzi aggiungo esplicitamente un inciso, quando i numeri che scrivo non hanno troppo senso pratico. Se non hanno per nulla senso, lascio perdere e mi limito a lasciare i numeri nudi. Però io scrivo quizzini matematici, e chi prova a risolverli non si cura più di tanto della loro verosimilità più di quanto lo farebbe leggendo un romanzo.
I problemi che vedo negli approcci come quello del libro di testo di mio figlio sono vari. Il primo e più importante è che problemi di questo tipo hanno il risultato opposto a quello voluto. Lo studente è spinto a fare un lavoro automatico, guardare i dati e cercare la regola da applicare. Che l’ambientazione sia reale o no diventa del tutto irrilevante: in questo caso abbiamo lo studente-robot che dice “ho tre lati e il perimetro, per trovare il quarto lato faccio la somma dei tre lati e la sottraggo dal perimetro”. Che sia una siepe intorno a un giardino o dei bastoncini per terra è irrilevante; ma a questo punto tanto vale eliminare l’ambientazione e lasciare il testo matematico, no? Ma vedo un altro problema più sottile. I pochi studenti che ci mettono un po’ di testa nella risoluzione e si accorgono dell’idiozia di quelle misure rischiano di perdere l’interesse in una materia che evidentemente non ha alcun senso pratico se serve a risolvere problemi di quel tipo.
L’unica cosa che mi viene in mente per riuscire almeno a sfruttare questo tipo di erroracci è che il professore sfrutti la cosa per spiegare agli studenti di fare attenzione a quello che fanno. Sarebbe una lezione che fa imparare molto di più che risolvere un’espressione: nel secondo caso quello che si verifica è la capacità di attenzione, qui la visione del mondo.
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