Partner e statistica
C’è un tipo di sondaggio che fa capire abbastanza facilmente perché i sondaggi non potranno mai funzionare: quello che misura il numero di partner sessuali di maschi e femmine. Il risultato finale è schiacciante: i maschi affermano di avere avuto molti più partner delle femmine, tipicamente il doppio. Ne parla anche questo articolo di Pagina99, dove Stefano Casertano spiega (bene) perché questo risultato è matematicamente implausibile. Visto che mi è stato chiesto di parlarne, provo ad aggiungere qualcosa, concentrandomi non tanto sui risultati quanto sul procedimento, per vedere se è possibile accorgersi che c’è qualcosa che non va senza dover fare chissà quali conti.
La prima cosa che bisogna sempre fare quando si parla di statistiche è stabilire esattamente di cosa stiamo parlando, vale a dire la popolazione di riferimento. In questo caso abbiamo (a) persone eterosessuali che (b) non si dedicano alla prostituzione. Questo è importante non tanto per chissà quale pruderie, ma perché altrimenti i risultati finali possono essere falsati da altri dati; se per esempio aggiungiamo anche gli omosessuali e scopriamo che i gay hanno molti più rapporti che le lesbiche, questo fatto può portare al maggior numero di partner per i maschi che per le femmine. Immaginate una situazione ipotetica con 10 donne che formano cinque coppie monogame e 10 uomini che invece tendono a essere promiscui, e trovate subito il risultato. La seconda cosa da fare è vedere il bilanciamento dei gruppi: è vero che le statistiche calcolano per definizione una media e quindi si potrebbe pensare che le differenze vengano smussate, ma questo non è affatto vero in generale. Facciamo un altro esempio immaginario: la nostra popolazione è composta da due soli maschi e dieci femmine. È immediato vedere che le donne non possono avere avuto più di due partner per mancanza di materia prima, mentre di per sé gli uomini ne possono avere avuti molto di più. Questa distorsione è nota come moltiplicatore di Petrie; ne ho parlato nel mio Matematica in pausa pranzo. Tutto questo però non capita nel mondo reale: il rapporto tra il numero di uomini e di donne è sostanzialmente paritario, quindi non ci sono le ipotesi del moltiplicatore di Petrie.
In definitiva, facendo i conti, possiamo dire che se i maschi sono M, le femmine sono F, ogni maschio ha avuto in media rapporti con f femmine e ogni femmina ha avuto rapporti con m maschi, il numero totale di accoppiamenti viste “dal lato maschile” è Mf e quello visto “dal lato femminile” è Fm; i due valori dovrebbero essere gli stessi, visto che ci siamo limitati a contare la stessa cosa in due modi diversi. Visto che come detto sopra M è circa uguale a F, possiamo semplificare e ottenere f ≈ m, cioè che il numero di partner dovrebbe essere circa lo stesso. Un qualunque rapporto diverso dice che c’è qualcosa che non va. A questo punto la matematica non ci aiuta più e dobbiamo passare alle scienze sociali: magari i maschi tendono a esagerare il numero di conquiste e le femmine a minimizzarlo, oppure ci sono due definizioni diverse di “partner”, un po’ come Elio e le Storie tese raccontano in “Servi della gleba”. Ma per l’appunto le altre spiegazioni possono essere proposte solo dopo avere eliminato gli errori sistematici, ed è qui che entra in gioco la matematica: lo sforzo di verificare che il modello che stiamo facendo sia corretto è ampiamente ripagato dall’eliminazione di ipotesi magari attrattive ma inesorabilmente errate.
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