Siamo tutti pedagoghi
Visto che anche quest’anno ci sono state le solite polemiche sulle prove Invalsi di matematica – trovate qua una lunga lettera di Giorgio Israel che è storicamente contrario a questi test per ragioni di principio da lui bene argomentate – ho pensato che posso anch’io buttarmi nella polemica, prendendo come esempio il problema del metro rovesciato che è quello che ha suscitato più polemiche. Ricordo tra l’altro che ho già parlato di questi test.
Eccolo qui il test della discordia. Il testo, pensato per i bambini di seconda elementare, è questo: «Francesca vuole sapere quanto è alta. Nella sua classe c’è un metro che misura da 0 a 150 centimetri posizionato nel modo che vedi in figura. Francesca misura la sua altezza. Quanto è alta Francesca?» Come vedete dalla foto, il metro è posizionato alla rovescia, con la marcatura 150 a terra e quella 0 in alto, e una freccia all’altezza di Francesca con indicato 40. Il bambino avrebbe dovuto capire che l’operazione da compiere era la sottrazione 150-40=110 e rispondere di conseguenza; a quanto pare sono in molti ad avere detto che la cosa era troppo complicata per un settenne.
Mi pare di avere anche sentito in giro che il programma in seconda elementare non prevede di fare operazioni con numeri di più di due cifre: se è effettivamente così, le critiche al problema sono sensate. Ma per il resto parliamone. Non ho purtroppo a disposizione bimbi di sette anni, i miei figli sono tremezzenni e quindi troppo piccoli per fare loro la prova: numeri così grandi proprio non li conoscono. Però mi pare che il quesito non sia così complicato, anche se quel metro messo alla rovescia può rendere difficile vedere le cose. Ma sono ragionevolmente convinto che un bimbo di sette anni sappia di essere alto più o meno un metro, e che 40 centimetri sono davvero pochi: quindi un minimo di controllo di realtà avrebbe dovuto far capire che la risposta “40” era sbagliata, e che bisognava dare un’occhiata più attenta al problema. Ai bambini non si insegna questo tipo di reality check? Questo sì che è un problema, secondo me. Non si è mai troppo giovani per imparare ad azionare il cervello, e comunque non si può fare matematica senza azionare il cervello.
Tutto questo naturalmente è indipendente dalla polemica più generale se ha senso valutare le capacità matematiche, e di comprensione in generale, per mezzo di quiz; quello cioè che è il vero motivo del contendere. Questo tema è sicuramente più dibattibile, partendo dalle banali conseguenze (ma allora ha senso fare i test di ammissione all’università, che sono esattamente dello stesso tipo? Non si rischia di fare un gravissimo errore di valutazione?) e arrivando a considerazioni molto più filosofiche come quelle di Israel (se l’Invalsi è considerato una bibbia, gli insegnanti tenderanno a insegnare a risolvere i quiz, e non a spiegare le cose). Però guardare il singolo problema è come cercare di descrivere una foresta a partire da un albero: il discorso viene indubbiamente sviato, soprattutto in casi come questo in cui “insegnare a risolvere il quiz” richiede sicuramente più creatività che imparare le cose a macchinetta. E voi, che ne dite?
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