Ricondursi al caso precedente
Inizio con l’esporvi un problema matematico. Prendete un mazzo di (52) carte, mischiatelo, e poi girate le carte a due a due. Un bravo prestigiatore è capace a fare in modo che tutte le coppie siano composte da una carta rossa e una nera; ma immaginate che il mazzo sia stato mischiato bene e quindi le coppie siano scelte in maniera davvero casuale. Qual è allora la probabilità che tutte le ventisei coppie siano formate da una carta rossa e una nera?
Prima di passare a risolvere il problema, così avete a disposizione un po’ di tempo in più per pensarci, ecco una “barzelletta matematica”. A un matematico e a un fisico viene chiesto di specificare tutte le operazioni da fare, avendo a disposizione un pentolino, un uovo, un fornello, un rubinetto e un orologio, per cuocere un uovo sodo. Entrambi rispondono “si riempie il pentolino d’acqua, si accende il fuoco, si aspetta che l’acqua bolla, si mette l’uovo nel pentolino, si aspettano quattro minuti, si spegne il fuoco e si prende l’uovo”. Come seconda domanda viene chiesto di specificare cosa fare se il pentolino è pieno d’acqua. Il fisico risponde “si accende il fuoco, si aspetta che l’acqua bolla, si mette l’uovo nel pentolino, si aspettano quattro minuti, si spegne il fuoco e si prende l’uovo”; il matematico “si svuota il pentolino e ci si riconduce al caso precedente”.
A chi ha pensato “che stupido il matematico!” faccio amabilmente notare che la sua spiegazione è più breve di quella del fisico :-) Parlando più seriamente, il ricondursi al caso precedente ha parecchi punti di contatto con il concetto informatico di subroutine: una parte di codice scritta una volta per tutte e che si può utilizzare come se fosse un mattoncino compatto, senza doversi preoccupare di cosa c’è dentro. Ma quello di subroutine è un concetto recente, di pochi decenni orsono: i matematici fanno la stessa cosa da duemilacinquecento anni o giù di lì. Il salto concettuale è avvenuto con gli ellenisti: Euclide con i suoi Elementi ha codificato una volta per tutte il concetto che la matematica non è una semplice raccolta di informazioni, come facevano già egizi e babilonesi, ma un edificio che si costruisce man mano a partire da quello che è già noto. Una volta dimostrato un teorema, quello è a disposizione esattamente come i postulati per la dimostrazione di nuovi teoremi: a differenza delle scienze, la matematica è come il maiale e non si butta via nulla, tanto che la dimostrazione euclidea del teorema di Pitagora continua ad essere vera. Può venire sostituita da dimostrazioni più semplici, certo: ma non per questo diventa falsa. Ma torniamo al nostro problema, prima che qualcuno si spazientisca.
Questo problema sembrerebbe di tipo combinatorio: si contano tutti i possibili modi per dividere il mazzo in ventisei coppie, si guarda quanti di essi hanno tutte le coppie di colore diverso, e si fa il rapporto. Inutile dire che la cosa è improponibile anche con un computer; quindi occorre trovare un metodo più intelligente. Un’utile tecnica per risolvere problemi di questo tipo è partire con casi più semplici, e vedere se il caso generale si può ricondurre a uno di questi casi più semplici. Qual è l’esempio più facile che si possa fare? Beh, quello con un “mazzo” di due sole carte, una rossa e una nera. Sono certo che anche chi afferma di essere completamente negato per la matematica risponderà che la probabilità che prendendo una coppia di carte da questo “mazzo” esse siano di colori opposti è 1, cioè la certezza. Passiamo ora a un caso appena più complicato: un mazzo di quattro carte. Prendiamo la prima coppia: qualcuno potrebbe immaginare di dover separare i casi in cui la prima carta è rossa da quella per cui è nera, ma basta pensarci su un attimo per accorgersi che non importa: per ragioni di simmetria si può tranquillamente assumere la prima carta rossa. Peschiamo ora la seconda carta: la probabilità che sia nera è 2/3. Ma se abbiamo fatto una coppia di colore opposto, quello che ci è rimasto è un mazzo di due carte, una rossa e una nera; e quel problema lo sappiamo risolvere. Ci siamo insomma ricondotti al caso precedente. La risposta per un mazzo di quattro carte è pertanto (2/3)×1 = 2/3. Lo so, moltiplicare per 1 è pleonastico: ma noi stiamo cercando un pattern, e quindi ci teniamo anche questo pezzo perché non si sa mai.
Passiamo a sei carte: presa la prima, la probabilità che la seconda sia di colore opposto è 3/5; a questo punto ci siamo ricondotti al caso precedente, e quindi possiamo calcolare la probabilità complessiva come (3/5)×(2/3)×1. Con otto carte avremo (4/7)×(3/5)×(2/3)×1; direi che a questo punto è facile intuire, e non troppo difficile dimostrare, che con 2n carte la probabilità complessiva sarà data da
(n×(n−1)×…×2×1)/((2n−1)×(2n−3)×…×3×1), cioè 2n(n!)2/(2n)!
(il passaggio dalla penultima all’ultima formula può non essere immediato, anche se garantisco sono tutti conti formali: ma non preoccupatevi, qui non siamo a scuola e non è importante che voi sappiate farli. La parte davvero matematica di tutto il ragionamento è quella precedente, l’ultimo passaggio serve solo per non prendere un votaccio a scuola)
Un’ultima nota: come avete visto, il ricondursi al caso precedente può sembrare molto simile al ragionamento per induzione: anche lì si comincia con un caso base e poi si prosegue passo passo, usando il caso precedente come punto di partenza. Filosoficamente parlando, però, c’è una differenza fondamentale! Il metodo di induzione usa infatti una conseguenza fideistica – non per nulla è uno degli assiomi di Peano: e un assioma è fideistico per definizione, no? Nell’induzione facciamo infatti un salto dal finito all’infinito, affermando che il fatto che una proprietà valga per n allora vale anche per n+1 implica che valga per tutti gli interi. Qui abbiamo solo un numero finito di casi da considerare: l’infinito per fortuna non c’entra.
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