I numeri negativi
Abbiamo visto che i numeri naturali, che probabilmente sono usati da decine di migliaia di anni, sono stati formalizzati solo da poco più di un secolo e mezzo; nel frattempo però i matematici hanno continuato a usare numeri di tutti i tipi, anche se spesso non erano poi così convinti che fossero davvero numeri. Non per nulla ad alcune categorie di essi sono state affibbiate etichette che denotano la precisa volontà di non concedere loro un vero diritto di esistenza. Questa volta non parlo tanto dei numeri irrazionali, che pure avranno diritto al loro momento di gloria qui nel blog: come ho scritto altrove, il significato matematico e quello nella vita di tutti i giorni arrivano sì entrambi dal latino ratio, ma per due strade diverse. Stavolta è il turno dei numeri negativi.
Come sappiamo, i numeri sono nati per contare. Il pastore può avere dieci pecore, ma non ne può avere “meno dieci”; pertanto egizi e babilonesi non sentivano alcun bisogno di numeri negativi. Ma neppure i greci li concepivano: quando un numero non era altro che un segmento, e al più si poteva pensare ai “numeri aree” e ai “numeri volume” – concetti oramai persi, la matematica è sempre la stessa ma ogni epoca la vede in maniera diversa – il pensiero di un segmento o di un’area negativa non si affacciava proprio alla mente dei matematici di allora.
Ancora nel Rinascimento la repulsione verso i numeri negativi era totale: i mercanti dovevano certo tener conto di crediti e debiti, ma se li tenevano rigorosamente separati fino alla fine, scrivendoli al più con inchiostro di colore diverso, e solo dopo aver fatto tutte le somme verificavano che sperabilmente il primo totale fosse maggiore del secondo. Persino l’algebra risentiva di questo pregiudizio. a parte che le notazioni algebriche a cui siamo abituati non esistevano ancora, per un matematico dei primi del Cinquecento “censo e tre volte la cosa son 28” (per noi, x2 + 3x = 28) e “censo è tre volte la cosa più quattro” (per noi, x2 = 3x + 4) erano due tipi di equazione distinti, con metodi di risoluzione distinti. Peggio ancora, la seconda equazione, che per noi ha le due soluzioni x = 4 e x = −1, per loro aveva solo la prima; come potete immaginare, la teoria era molto più frammentata del necessario, il che impediva il suo rapido svilupparsi.
Ancora nel Settecento ci sarebbero stati matematici anche importanti come D’Alembert che – perdonatemi il bisticcio – negavano la reale esistenza dei numeri negativi; ma ormai la loro accettazione stava diventando generale, anche perché una volta disegnato il quadrante positivo degli assi cartesiani non ci voleva poi molto ad estenderlo a tutto il piano e definire la retta orientata, che porta naturalmente ad avere i numeri positivi da una parte dell’origine e quelli negativi dall’altra. Un modello intuitivo è sempre il modo migliore per fare accettare un concetto matematico!
Oggi insomma i numeri negativi sono accettati, anche se inconsciamente si cerca per quanto possibile di evitarli; insomma sono riusciti a ottenere la cittadinanza e la parità di diritti, anche se spesso sono guardati di sbieco. È comunque andata loro meglio che per altri tipi di numeri, come vedremo!
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