pi greco, questo sconosciuto
Qualche settimana fa, scherzando ma nemmeno troppo, ho raccontato del Comitato per l’abolizione di pi greco. Chissà, magari qualcuno lo spererebbe davvero, visto che quel benedetto numero lo si trova dappertutto. Sarebbe però un peccato, perché pi greco (π) ha una storia davvero molto interessante.
Innanzitutto π è un numero trascendente, il che non significa che si arrabbia facilmente ma molto più banalmente che non si può ottenere con un numero finito di operazioni aritmetiche usuali (le quattro operazioni) e nemmeno come risultato di un’equazione polinomiale a coefficienti interi. Gli antichi greci non avevano ovviamente idea del concetto di numero trascendente, è già tanto se concepivano un numero non intero; però subodoravano lo stesso che c’era qualcosa di strano nel rapporto tra circonferenza e diametro del cerchio, tanto che assieme alla trisezione dell’angolo e alla duplicazione del cubo la quadratura del cerchio era il terzo dei problemi insoluti della matematica. Quadrare il cerchio non significa naturalmente dargli delle martellate, ma bensì costruire con riga e compasso un quadrato di area pari a quella di un cerchio dato. In teoria lo si poteva anche costruire: la quadratrice di Ippia è lì a provarlo. Ma la quadratrice (il nome è già un programma di suo, vero?) viene costruita con un procedimento continuo, quindi è fuori discussione per i nostri scopi. Ah: per la cronaca, nemmeno la duplicazione del cubo e la trisezione dell’angolo sono possibili con riga e compasso; ma in questo caso i numeri necessari sono più semplici, richiedendo solo l’estrazione di una radice cubica, e quindi basterebbe semplicemente una riga graduata o un compasso che non si richiuda una volta sollevato dal foglio e che quindi permetta di riportare delle distanze. Pi greco no, è un numero davvero ostico.
Il secondo passo da farsi, mentre si dibatteva la possibilità di costruire effettivamente un segmento lungo π unità – la risposta negativa arriverà solamente nel 1882 con Lindemann – era trovare un valore approssimato. Archimede si mise di buzzo buono, da ottimo praticone qual era, e approssimando un cerchio per mezzo di poligoni con un numero via via maggiore di lati arrivò a stabilire che π era compreso fra 3 + 1/7 e 3 + 10/71: nella notazione decimale (che lui non usava ma noi sì) equivale a dire che è circa 3,14. Si possono però fare approssimazioni migliori con poca fatica. Scrivete per esempio due volte di fila i primi tre numeri dispari 113355 e inserite a metà una barra di divisione, lasciando la parte destra sopra e quella sinistra sotto. Ottenete 355/113, che vale circa 3,1415929. Una stupefacente approssimazione di π a ben sei cifre decimali: ben più precisa degli errori che si possono fare con un disegno, dove le linee hanno per forza di cose uno spessore non nullo. Il bello è che questa approssimazione, come dice Wikipedia, era già nota al matematico cinese Zu Chongzhi più di 1500 anni fa!
Il passo successivo, almeno in Europa, arrivò ben dopo il Rinascimento, e consistette nello scoprire che c’erano alcune serie infinite che, se si aveva abbastanza pazienza, permettevano di ricavare π con quante cifre si volesse. La formula di Gregory-Leibniz (conosciuta in India con tre secoli di anticipo…) stabilisce per esempio
π/4 = 1 – 1/3 + 1/5 – 1/7 + 1/9 …
e non serve a nulla in pratica perché la convergenza è troppo lenta: occorre sommare (o sottrarre…) 4000 termini per migliorare la stima di Archimede. Anche la serie di Wallis,
π/2 = 2 · 2/3 · 4/3 · 4/5 · 6/5 · 6/7 …
non serve a molto, ma nel 1706 John Machin ricavò la formula
π/4 = 4 arctan(1/5) – arctan(1/239)
il che, accoppiata alla serie che permette di ricavare arctan(x), risulta convergere in modo relativamente veloce. Così nel 1873 un certo William Shanks riuscì a calcolare ben 707 cifre decimali di π, record che restò imbattuto fino all’avvento degli elaboratori elettronici dopo la seconda guerra mondiale… quando si scoprì che Shanks aveva commesso un errore sulla 528ma cifra (e ovviamente tutte le seguenti). Un corollario di questo errore fu che la “stanza pi greco” del Palais de la découverte a Parigi, dove erano state dipinte sul soffitto le 707 cifre conosciute, dovette ricevere un rapido restauro!
In un certo senso, i computer rovinarono la poesia di π, usandolo più o meno come gargarismo per vedere se i circuiti funzionavano bene. Nel 1949 l’ENIAC calcolò 2000 decimali in 70 ore; nel 1959 si arrivò a 10000 cifre; nel 1961 si sfondò il muro delle 100.000 cifre. Poi ci fu il diluvio. Nel 1989 si calcolarono un miliardo di cifre; dieci anni dopo il record passò a 200 miliardi; e a quanto pare il record attuale è di cinque trilioni (cinquemila miliardi) di cifre, calcolate con un computer casalingo costruito appositamente. Non che serva a molto, come non serve a molto l’orologio mostrato qua. Ma volete mettere?
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