Muore la musica o l’infografica?
Cominciamo con una non-notizia, anzi con due non-notizie: i discografici si lamentano perché l’industria della musica è stata rovinata dalla pirateria digitale, e gli americani sono assolutamente convinti che il “mercato globale” sia quello dei loro cinquanta stati – via, facciamo cinquantadue col District of Columbia e Puerto Rico. Quindi non si peritano di pubblicare dati come quelli mostrati nell’infografica qui sotto, “analizzati” dalla società di consulenza Bain ∧ Company. Dalla figura si evince che il mercato continuava a crescere amabilmente fino a che è arrivata la musica digitale; e anche quella che viene comprata con i fruscianti dollaroni, o meglio dando i dati della carta di credito a iTunes e compagni, non serve certo a frenare l’emorragia.
Ma voi crederete mica a quello che dicono i discografici? Spero proprio di no. Oh, intendiamoci: hanno perfettamente ragione a dire che il mercato sta avvizzendo, però lo dicono barando. Avete capito dove sta il problema? I dati mostrati sono grezzi, e non tengono conto di due fattori. Il primo è l’aumento della popolazione, che di per sé peggiorerebbe ancora i dati visto che la singola persona compra di meno. In telefonia, per esempio, si usa spesso l’ARPU (Average Revenue Per User) proprio per capire quanto il singolo utente spende in più o in meno. Ma possiamo accettare questa mancanza: in fin dei conti ai discografici interessa soprattutto sapere quanti soldi in tutto gli arrivano.
Il secondo fattore che non è stato considerato è però molto più importante, e non può essere tralasciato. I dati mostrati sono infatti assoluti, non tengono cioè conto dell’inflazione. A me non è che piaccia tanto se il mio stipendio è raddoppiato da quando sono stato assunto, se nel frattempo il costo della vita è triplicato, no? E se il mio stipendio è raddoppiato esattamente come è raddoppiato il costo della vita, il mio potere d’acquisto è rimasto esattamente lo stesso e l’unica fregatura è che devo usare numeri più grandi per fare i conti. Ecco quindi che Michael DeGusta in un suo articolo su Business Insider ha ridisegnato l’infografica in modo da visualizzare i “dollari 2011”; il nuovo grafico è mostrato qui sopra.
È immediato accorgersi che la crisi del mercato è persino peggiore di quanto si evincesse dal primo grafico; a parità di potere d’acquisto, nel 2009 è stato raggiunto il minimo assoluto di valore di vendite pro-capite. Anche non facendo l’aggiustamento relativo alla popolazione (trovate la cartina nel post di DeGusta) si è comunque eguagliato il minimo fatturato dei primi anni ’80. Inoltre questa seconda cartina mostra che in effetti i CD sono stati la gallina dalle uova d’oro, gallina che però oramai è diventata un vecchio cappone e non produce più come una volta.
Non tenere conto dell’inflazione dà molti problemi anche per visualizzare altri trend di crescita. D’accordo, questo non è il momento migliore per parlare di prezzi del petrolio; ma se andate a vedere la cartina qui a fianco dove vengono mostrate le fluttuazioni del prezzo del petrolio a partire dalla fine della seconda guerra mondiale vi accorgerete che la bolla del 2008 fu sì un massimo, ma non troppo maggiore del picco raggiunto intorno al 1980 (non so se ci sia correlazione con il calo dell’acquisto di musica… probabilmente no, però), anche se i numeri grezzi sembravano completamente diversi. E il grafico sarebbe stato ancora diverso se avessimo calcolato i prezzi in euro invece che in dollari!
Insomma, come ho già scritto una buona infografica è un ottimo modo per avere con una sola occhiata un’idea di cosa sta succedendo; ma il rischio di sbagliare – volontariamente o no – la visualizzazione è sempre dietro l’angolo. Siti come inflationdata.com da cui ho tratto la cartina dei prezzi di petrolio fanno pertanto un ottimo lavoro; dovremmo averne di più anche da noi.
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