Cosa c’è di reale nella matematica?
Due più due fa quattro. Se usiamo le regole standard dell’aritmetica direi che tutti siamo d’accordo che questa affermazione matematica sia vera, a meno di non essere tra quelli che dicono che la somma fa tre per valori sufficientemente grandi di tre. Ma questa è solo una faccia della medaglia. Il “due” e il “quattro” (e perché no, il “più”) esistono davvero? E in caso affermativo, cosa significa che esistono? La domanda non è così stupida come potrebbe sembrare a prima vista, e matematici (di meno) e filosofi (di più) ci stanno discutendo su da due millenni e mezzo, dando risposte più o meno condivisibili.
La posizione storicamente più apprezzata dai matematici che sono stati a pensarci un po’ su è quella cosiddettia platonista. Gli enti matematici esistono per conto loro (ricordate l’iperuranio?) e noi non facciamo nient’altro che scoprirli, non certo inventarli. Occhei, dovremmo prima metterli d’accordo su cosa significa “esistere”; possiamo infatti dire che esiste un leone (abbiamo qualcosa di tangibile); oppure che esiste il liocorno (ne possiamo parlare, quindi è un’esistenza per così dire locutoria); oppure che esiste la legalità (qualcosa di intangibile, ma che può essere definito con precisione). Probabilmente la risposta che hanno in mente i platonisti è la terza, visto che tanto per dire non me lo vedo certo un modello fisico di un numero primo; ma la cosa non è poi così importante. I detrattori della posizione platonista propongono Gedankenexperimenten come quello di un’entità diffusa che non abbia la possibilità di vedere nulla di distinguibile, e pertanto non possa neanche avere il concetto di numero; la cosa non mi torna molto, ma magari è perché io non sono un filosofo.
Naturalmente ci sono anche altri punti di vista: per esempio i formalisti sono convinti che non c’è nulla di vero, e che la matematica è semplicemente un giochino divertente, tipo il Lego, che si fa seguendo un insieme di regole prefissate. In genere il campione del formalismo è considerato Hilbert, che scrisse che non sarebbe cambiato nulla se invece che di punti, rette e piani si fosse parlato di tavoli, sedie e boccali da birra: Hilbert del resto era un noto frequentatore di birrerie e quindi vi si trovava a suo agio esattamente come nelle aule universitarie. Però credo che il primo ad apprezzare questo punto di vista sia stato Eulero, che manipolava formalmente le serie numeriche senza preoccuparsi della liceità di quello che faceva, tanto alla fine controllava se il risultato avesse avuto un senso fisico e altrimenti buttava tutto via dicendo «vabbè, ci ho provato». E forse anche Cardano e Ferrari che tirarono fuori i numeri immaginari, che per loro non esistevano affatto ma servivano per trovare le soluzioni reali delle equazioni di terzo e quarto grado in fin dei conti sono stati formalisti, no? Occorre anche dire che l’approccio formalista hilbertiano aveva una sua bella filosofia dietro, quella di riuscire a fare una Rifondazione Matematica a partire da un gruppo di premesse il più lontano possibile dalla matematica “reale”; anche i Principia Mathematica di Russell e Whitehead seguivano più o meno questa via. Il teorema di incompletezza di Gödel ha inferto un colpo durissimo alla fazione formalista; solo Bourbaki in Francia (che tanto non esisteva…) è andato avanti su quella strada. Oggidì però molti matematici sono ritornati ad essere formalisti, o perlomeno a studiare strutture matematiche senza nessun significato reale almeno per il momento e chissà per quanti secoli a venire.
C’è infine un terzo polo: i costruttivisti – intuizionisti. Come ogni terzo polo che si rispetti, ci finiscono dentro idee piuttosto diverse tra loro, anche se con qualche punto in comune. Leopold Kronecker concedeva a Dio di aver creato i numeri interi, ma rivendicava per l’uomo tutto il resto della matematica; Luitzen Brouwer andava anche oltre, dicendo «se non posso costruire qualcosa, questo non esiste». Con questo approccio non si parla assolutamente di infinito in matematica, se non come qualcosa di inconoscibile e quindi irreale all’atto pratico; però i numeri primi che costruiamo sono effettivamente reali, proprio perché li abbiamo costruiti.
Dopo tutto questo, qual è la mia posizione? Beh, sono fondamnentalmente un platonista, anche se non puro e duro; credo che molte delle strutture matematiche emerse soprattutto nell’ultimo secolo siano state create, ma la creazione sta nell’organizzazione di qualcosa che comunque esiste di suo. È un po’ come se noi ci mettiamo a raccogliere le pietre di due colori; la scelta di considerarle importanti è nostra, ma le pietre c’erano già da prima, no? E ad ogni buon conto vi garantisco che la notte ci dormo tranquillamente su, al limite sono i miei due unenni che mi svegliano!
Ah: se preferite una seconda opinione più seria potete ad esempio leggere Dioniso oppure Roberto Natalini (parte uno e due)
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