Parole matematiche: incognita
La parola di oggi è sicuramente conosciuta a tutti, come è anche conosciuta la sua versione al maschile: a chi di noi non è mai capitato di leggere che qualcuno si presenta in incognito a un appuntamento? La caratteristica interessante è appunto che in questo caso per passare dal significato usuale a quello matematico la parola ha dovuto subire un cambiamento di sesso!
La parola “incognito” deriva chiaramente dal latino: l’aggettivo incognitus significa infatti “non conosciuto”, e viene usato, tanto per cambiare, da Dante nella Divina Commedia (Purgatorio 7,81 e Paradiso 17,141). La parola è rimasta lì, più o meno nascosta, fino alla fine del XIX secolo, quando Giuseppe Rigutini, che con Pietro Fanfani compilò nel 1875 il Vocabolario italiano della lingua parlata, scrisse «Viaggiare in incognito, detto di Principe: più italianamente Viaggiare incognito. I Francesi presero da noi la voce Incognito e la scrivono con forma italiana: ma noi poi prendemmo da loro l’uso sostantivato di questa voce, e le maniere Serbare l’incognito, e In incognito». Insomma, l’aggettivo si è ormai perso, tanto che il De Mauro lo definisce di uso letterale, ma perlomeno ci è rimasto il sostantivo. Ah: non c’entra molto, ma a me ha sempre fatto ridere che l’ambasciata italiana in Norvegia si trovi in Inkognitogaten; qualcosa vorrà ben dire.
E per la parte matematica? il primo uso del termine con questo (debole) slittamento di significato nasce indubbiamente dopo che Cartesio iniziò a usare la geometria analitica e quindi le incognite. E anche in questo caso la parola era un aggettivo (“quantità incognita”) e non un sostantivo: Maria Gaetana Agnesi scrive infatti nel 1748 «Le quantità cognite e date soglionsi denominare […] con le prime lettere dell’alfabeto; le incognite, e che si cercano, con una delle ultime». Le “cognite” non sono mai riuscite a prendere piede, ma le incognite sì: pochi anni dopo Jacopo Riccati usò tranquillamente il termine come sostantivo.
Un’ultima curiosità: come mai le incognite standard sono x e y, e non la scelta più logica z e y visto che si doveva partire dal fondo dell’alfabeto? Secondo David Sacks nel suo The Alphabet, sembra che la colpa sia dello stampatore che nel 1637 pubblicò il Géometrie di Cartesio. Nel manoscritto del fondatore della geometria analitica in effetti i nomi usati per le variabili erano z e y, ma lo stampatore si lamentò di non avere abbastanza z per comporre le pagine e chiese al grande matematico francese se poteva sostituirle con delle x, ricevendo una risposta del tipo «massì, non cambia nulla». Visto come la storia può modificarsi per eventi assolutamente banali?
Leave a comment