Gli assiomi dimenticati da Euclide
Abbiamo visto come la geometria iperbolica prima e quella ellittica poi sono state definite per conto proprio e si siano affiancate alla geometria euclidea. Ma non tutti erano poi così convinti della cosa; spesso capita che un insieme di definizioni a prima vista coerenti portino a un certo punto a una contraddizione, e magari il fatto che il rapporto tra diametro e circonferenza non sia costante sarebbe potuto essere la chiave di volta per affermare la realtà della geometria euclidea per rappresentare il nostro spazio, o almeno per poter stabilire quale delle tre geometrie fosse quella naturale.
Ma proprio la circonferenza sarà in un certo senso alla base della risposta – negativa – alla domanda se si possa decidere quale delle ormai tre geometrie possibili fosse quella “vera”. Il trucco è stato quello di trovare un modello delle altre due geometrie; detto in altro modo, una costruzione deve punti, rette, circonferenze non sono affatto quelli a cui siamo abituati ma qualcosa di diverso. Anche questa sembra un’eresia, vero? Però basta tornare agli assiomi di Euclide e accorgersi che lui non aveva mica definito come era fatta una retta, se non dicendo che ha una sola dimensione. Qualche decennio dopo quel gaudente di David Hilbert, che conosceva bene sia la geometria che i ristoranti, sentenziò «Man muß jederzeit an Stelle von “Punkten, Geraden, Ebenen”, “Tische, Stühle, Bierseidel” sagen können.», cioè «Si può sempre dire, al posto di “punti, rette, piani“, “tavoli, sedie, boccali di birra”»; ma per il momento ci accontentiamo di usare enti geometrici solo un po’ diversi da quelli usuali.
Il modello per la geometria ellittica riemanniana ce l’abbiamo sotto gli occhi; è la superficie terrestre. Se costruiamo il triangolo sferico con l’equatore e i meridiani 0° e 90° vediamo subito che ha ben tre angoli retti: un’esagerazione! Per far funzionare questa geometria su una superficie sferica, occorre definire come “punto” una coppia di punti agli antipodi, come “retta” un cerchio massimo e come “piano” la superficie sferica. Facendo così, tutti gli altri postulati euclidei sono verificati tranne l’ultimo, visto che due “rette” qualsiasi si incontrano sempre in un “punto”. Ma come, mi direte, se faccio una ferrovia circumterrestre dove un binario è l’equatore non ho forse due rette parallele? La risposta è no; sapete dirmi cosa abbiamo invece?
Per la geometria iperbolica il modello è un po’ più complicato: come “piano” si prende un cerchio (il disco di Poincaré) senza la sua circonferenza esterna, e si definiscono “rette” gli archi di circonferenza che tagliano perpendicolarmente il bordo del cerchio. Almeno i punti sono quelli soliti a cui siamo abituati. Ma stavolta le “rette” hanno davvero una lunghezza finita! E invece no, perché la distanza tra due punti si misura in modo diverso dal nostro, e decresce esponenzialmente avvicinandosi alla circonferenza esterna (che non c’è perché è all’infinito, dal punto di vista degli abitanti bidimensionali del piano iperbolico) In pratica, anche se a noi sembra che i triangoli disegnati nel piano iperbolico oltre ad essere storti si rimpiccioliscano man mano, un omino iperbolico che camminasse su quel piano li vedrebbe tutti con i lati diritti e della stessa lunghezza. Il piano iperbolico piacque moltissimo a Mauritz Cornelius Escher, che lo usò come base per alcune delle sue opere come i quattro Circle Limit (vedi qua per i disegni)
Il fatto che si possa creare un modello della geometria ellittica e di quella iperbolica all’interno dello spazio euclideo ha come conseguenza che se la geometria euclidea è consistente allora anche le altre due lo sono. Notate che non si dice nulla sulla consistenza assoluta; nessuno è stato in grado di dimostrare che gli assiomi euclidei siano consistenti e non è nemmeno detto che sia possibile farlo, anche se tutti i matematici sono convinti di sì. Quello che si dice è che le tre geometrie hanno la stessa valenza, e il sogno di Saccheri e di tutti quelli come lui di trovare una contraddizione viene così brutalmente infranto. L’unico modo per scoprire qual è la geometria dello spazio è quello empirico provato anche da Gauss: trovare un triangolo sufficientemente grande e misurare la somma dei suoi angoli. Oppure, se proprio si è teorici dentro, si può definire un universo che richieda una certa geometria: è quello che fece per esempio Einstein con la relatività generale, dove quella che noi crediamo essere la forza di gravità è in realtà una distorsione dello spazio-tempo e quindi una geometria variabile da punto a punto.
Ma più che queste cose, la vera utilità delle geometrie non euclidee è forse stata il rendersi conto che gli Elementi di Euclide non erano poi quel concentrato di precisione come si era creduto nei due millenni successivi. I cinque più cinque assiomi e postulati scelti dal matematico greco infatti non sono affatto sufficienti; per esempio nel 1882 il matematico svizzero Moritz Pasch notò che da essi non discendeva affatto la proprietà che una retta che tagliava un lato di un triangolo doveva necessariamente tagliare un lato diverso (oppure il vertice comune agli altri due lati). Questo e altri assiomi, come quelli relativi all’ordinamento dei punti su una retta, vennero aggiunti da Hilbert; gli assiomi di Hilbert sono venti e non dieci, e a quanto pare riescono finalmente ad assiomatizzare completamente la geometria. È stato un duro lavoro, ma qualcuno lo doveva pur fare…
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