Geometrie non euclidee
Abbiamo visto in precedenza come il quinto postulato di Euclide ha generato per secoli e secoli discussioni e libri che in un modo o nell’altro cercavano di dimostrarlo partendo dagli altri assiomi e postulati, il tutto senza ottenere alcun risultato. Come capita spesso, arriva un momento in cui i tempi sono maturi e più persone, ciascuna per conto proprio, arrivano a proporre una rivoluzione. Per la geometria questo punto di svolta è l’inizio del XIX secolo.
L’approccio di Saccheri, partire cioè dalla negazione del quinto postulato per derivare una contraddizione, seguiva comunque la via matematica usuale. Però il fatto stesso che i teoremi dimostrati da Saccheri fossero strani ma coerenti fece sì che alcuni matematici osassero immaginare l’inimmaginabile; che cioè non fosse obbligatorio accettare il quinto postulato, ma lo si potesse sostituire con un altro essenzialmente diverso.
A posteriori possiamo affermare che il primo ad avere scritto qualcosa al riguardo fu János Bolyai. Il cognome vi ricorda nulla? Ebbene sì, János è il figlio di Wolfgang o Farkas che dir si voglia, l’amico di Gauss a cui il principe dei matematici scrisse nel 1799 dicendo che era meglio lasciar stare quei temi. János sviluppò la sua teoria tra il 1820 e il 1823; è di quel periodo una sua lettera al padre in cui scriveva «Dal nulla ho creato un altro, nuovo universo». Solo nel 1832 però vennero pubblicate le sue scoperte, nella Appendice che espone in maniera assoluta la vera scienza nello spazio che come dice il nome stesso era l’appendice a un manuale scolastico di matematica scritto dal padre. Bolyai figlio nutrì sempre un risentimento verso Gauss, che a suo dire voleva rubargli la paternità della scoperta.
Ma la prima pubblicazione che parlò esplicitamente di geometrie non euclidee non fu di Bolyai, bensì del matematico russo Nikolaj Ivanovič Lobačevskij che inizialmente scrisse una breve nota in francese nel 1826, e nel 1829 completò la sua trattazione intitolata “Sui principi della geometria”, dove veniva esposta quella che in seguito verrà definita geometria iperbolica per motivi che vedremo tra un po’. Il guaio di Lobačevskij fu l’essere ben lontano dai centri nevralgici della matematica della prima metàdell’Ottocento: avesse almeno pubblicato nei rendiconti dell’Universitàsi san Pietroburgo la notizia si sarebbe sparsa più in fretta, mentre così ci vollero parecchi anni prima che i suoi scritti diventassero di dominio comune. Lo stesso, se non peggio, accadde per il povero Bolyai: chi volete leggesse l’appendice di un manuale per studenti ungheresi? Probabilmente nemmeno gli studenti stessi!
Una volta rotta la diga che teneva ferma l’unicità della geometria, le cose sono poi andate avanti per conto proprio. Nel 1854 Bernhard Riemann, quello più noto per la sua ipotesi sulla distribuzione dei numeri primi, per ottenere la nomina a Privatdozent discusse una dissertazione dal titolo Sulle ipotesi che giacciono alle fondazioni della geometria. Il suo relatore era l’ormai anziano Gauss, che sarebbe morto l’anno successivo; il grande matematico colse l’occasione di avere un brillantissimo allievo per fargli riprendere tutto quello che lui aveva studiato ma non pubblicato più di mezzo secolo prima. Riemann stupì tutti definendo un approccio alla geometria completamente diverso da quello ritenuto inevitabile per quasi venticinque secoli; da lì tirò tra l’altro fuori una geometria del piano ancora diversa, quella in cui non esistono rette parallele a una retta data per un punto esterno.
Ma come? L’altra volta non avevo scritto che già Saccheri aveva elimitato quell’ipotesi perché andava contro l’assioma secondo cui una retta è infinita? Se avete pensato a qualcosa del genere avete una memoria ottima, ma non troppo. Euclide non aveva affatto detto che una retta è infinita, ma che la si poteva prolungare a piacere. Bene, esistono esempi di linee illimitate ma non infinite; pensiamo ad esempio a una circonferenza. La circonferenza è indubbiamente una curva finita, ma come mostrato delle 24 ore di Le Mans ci si può girare su a piacere senza mai vederne la fine, per l’ottima ragione che non c’è nessuna fine.
Abbiamo così trovato tre geometrie essenzialmente diverse. A seconda che di parallele per un punto a una retta ce ne siano nessuna, una, o più di una abbiamo per esempio che la somma degli angoli di un triangolo è minore, uguale o maggiore a un angolo piatto; che il rapporto tra circonferenza e diametro di un cerchio è maggiore, uguale o minore di pi greco (e quel che è peggio, nei casi non euclidei varia al variare del diametro della circonferenza); e via discorrendo. Kant per sua fortuna era morto e sepolto, e non doveva più chiedersi quale fosse la “vera” geometria del nostro spazio. Altri però volevano sapere la risposta: magari c’era un modo per dimostrare la contraddittorietà di una delle tre geometrie. Vedremo un’altra volta perché non potrà essere il caso.
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