Propagazione degli errori
In una “barzelletta matematica” si chiede a un matematico e a un fisico quanto fa due più due: il matematico risponde che la risposta esiste ed è unica, mentre il fisico ribatte che la somma vale «3,99 più o meno 0,02». Nella pratica naturalmente non sono quelle le risposte che vengono date, ma la barzelletta racchiude in sé una differenza fondamentale tra i conti che si fanno in matematica e quelli in fisica. Nel primo caso, ammesso appunto che i conti si facciano davvero, il risultato è perfettamente definito; magari non lo si può descrivere con un numero decimale, ma pi greco è comunque un numero ben specifico. In fisica i numeri che si trovano sono ottenuti per mezzo di una serie di misurazioni; e le misure portano inevitabilmente a un errore.
Non parlo degli errori sistematici, come per esempio il caso in cui misuriamo un’intervallo di tempo con un cronometro che è troppo lento, ma di quelli casuali, che a loro volta si possono dividere in due tipi. Il primo tipo di errore capita perché il nostro strumento di misura non ha, né del resto può avere, un numero sufficiente di suddivisioni. Se io misuro il lato un tavolo con un metro da sarta, posso vedere che la sua lunghezza è compresa tra 119,5 cm e 120,0 cm; ma non posso essere più preciso, visto che le tacche sono ogni mezzo centimetro. Certo, posso fare una stima “truch e branca”; ma è appunto una stima. Il secondo tipo di errore si ha perché prendere una misura, anche senza passare alla meccanica quantistica dove la misura cambia a causa del misuratore, può dare risultati diversi in tentativi diversi. Così quattro diverse misurazioni di una sbarretta possono dare come risultato una volta 3,97 cm, due volte 4,01 cm e l’ultima volta 4,00 cm.
Assodato che con gli errori bisogna conviverci, il passo successivo è capire cosa succede quando si fanno operazioni (esatte…) con numeri che possono essere affetti da un errore. In questo caso si parla di teoria degli errori, che è una branca della matematica poco nota al grande pubblico ma molto importante soprattutto in questi decenni, da quando cioè abbiamo iniziato a usare i computer per ricavare soluzioni numeriche a problemi fisici, e calcolare tali soluzioni in modo iterativo, raffinando man mano i risultati ottenuti. Ricordo che quando studiai queste cose all’università mi venne dato da implementare un algoritmo veloce ma numericamente instabile per vedere cosa succedeva; la soluzione formale era una superficie piatta, ma già alla quinta o sesta iterazione dell’algoritmo il grafico che disegnavo sembrava più che altro l’Himalaya!
Senza andare così in profondità nei dettagli, vediamo come si può avere un’idea di qual è l’errore totale nelle operazioni più semplici. Il modo per trovarlo, almeno in teoria, è semplice; l’errore è subdolo, e quindi l’errore complessivo è quello che si ottiene prendendo il caso peggiore possibile degli errori di partenza. Questa affermazione è in contrasto con la saggezza popolare che afferma che gli errori si compensano, tranne che nelle partite di calcio; ma credo che molti di voi arrotondino i prezzi delle merci al supermercato all’euro per avere un’idea del conto totale e qualche volta abbiano scoperto che tutti quei prodotti “virgola 49” abbiano fatto loro sbagliare la somma di parecchio. Mettiamo in pratica il principio sommando due numeri positivi a e b che hanno un errore rispettivo Δa e Δb (il Δ è la lettera greca maiuscola delta e in matematica indica una differenza). Sappiamo che il primo valore è compreso tra a−Δa e a+Δa, e similmente per secondo; se siamo stati sfortunati, abbiamo sbagliato entrambe le volte per eccesso (oppur entrambe le volte per difetto) e quindi l’errore totale di una somma è la somma degli errori. E per la differenza? Non fate l’errore :-) di dire che l’errore della differenza è la differenza degli errori! In questo caso, l’evento più sfortunato ce l’abbiamo se abbiamo sbagliato per eccesso il minuendo e per difetto il sottraendo, e quindi l’errore totale è dato anch’esso dalla somma degli errori.
Nel caso del prodotto (e della divisione) si possono ricavare delle formule un po’ più complesse usando la stessa logica; si fa il prodotto (a+Δa)(b+Δb), cioè il caso peggiore, e si vede la differenza rispetto ad ab. Nella figura qui sopra si può vedere cosa succede in un caso pratico; i rettangoli tratteggiati corrispondono all’errore in un senso o nell’altro, e si intuisce che c’è una parte proporzionale alla misura media di ciascun lato moltiplicato per l’errore della misura dell’altro lato più un pezzettino. In questo caso, però, nella pratica è anche possibile approssimare l’errore parlando di errore relativo (o errore percentuale, che è strettamente correlato). Cominciamo con quest’ultimo, che è più facile da visualizzare perché lo usiamo tutti i giorni. Immaginiamo di dover prendere un chilo di patate da una cesta senza avere una bilancia a disposizione; visto che abbiamo fatto spesso una cosa del genere, siamo fiduciosi di sbagliare al massimo di un etto in più o in meno. Il nostro mucchietto di patate peserà pertanto un chilo con un errore massimo di un etto; però non ci verrà certo in mente di esprimerlo così, ma diremo che il mucchietto pesa un chilo con un errore massimo del 10%. Bene, questo 10% è l’errore percentuale; per ottenere l’errore relativo dobbiamo prendere l’errore percentuale e dividerlo per cento, con la solita contorta logica matematica che quando trova un percento non moltiplica ma divide.
Visto che l’errore relativo o percentuale è fondamentalmente ottenuto moltiplicando un coefficiente per il valore di partenza, potete facilmente immaginare che nel caso del prodotto di due misure con un errore sia più semplice usare questo valore piuttosto che quello assoluto; e in effetti l’errore relativo (o percentuale) del prodotto è la somma degli errori relativi (o percentuali). Magari a qualcuno sarebbe venuto in mente di dire che l’errore del prodotto fosse il prodotto degli errori, ma questo capita solo perché uno non pensa a quello che gli capita tutti i giorni. Se il nuovo formato della scatola di pelati pesa il 10% in più ed oggi è in offerta al 10% in meno del vecchio prezzo, guadagniamo il 20%, l’1% o il 100%? Resta solo da tenere presente che anche se l’errore relativo è effettivamente quello indicato dalla formula, l’intervallo da considerare non è più simmetrico! Ecco un esempio semplicissimo per capire cosa succede. Se abbiamo un quadrato 10×10, l’area è 100. Se però la misura ha un errore percentuale del 10%, i lati misureranno tra 9 e 11; quindi l’area sarà tra 81 e 121. C’è sì un 20% di differenza in più o in meno, ma non dall’area presunta 100 bensì da una non meglio identificata “area media” 101. Un piccolo paradosso che per gli usi pratici non è poi così importante.
Inutile dire che questo è solo l’abc della teoria degli errori; ma è quello che basta in pratica per non sbagliare troppo…
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