Taglia e raddoppia
Mi sa che la vignetta di ieri di xkcd, mostrata qui sotto, abbia lasciato perplessi parecchi degli estimatori di Randall Munroe. Non tanto per le zucche scavate, ché ormai sono state fatte diventare di moda anche in Italia, senza contare tutti gli adepti dello schultziano culto del Grande Cocomero; quanto per l’ultima vignetta. Né probabilmente avrà aiutato il commento che si può leggere passando il mouse sulla vignetta, e che dice «Il teorema di Banach-Tarski fu in effetti enunciato già da Re Salomone, ma i suoi raccapriccianti tentativi di applicarlo bloccarono per secoli l’avanzamento della teoria». Cosa c’è dietro tutto questo?
Tutto incomincia con l’assioma della scelta (ne avevo già accennato in un altro post), come del resto indicato nell’ultima vignetta. Tale assioma nasce nella teoria degli insiemi, e afferma che «Data una famiglia non vuota di insiemi non vuoti, esiste una funzione che fa corrispondere a ogni insieme della famiglia un suo elemento.». Detto in maniera più semplice, immaginiamo di avere tanti sacchetti di biglie, ed essere sicuri che ciascun sacchetto contiene almeno una biglia. Allora posso crearmi la mia collezione di biglie prendendone una per ciascun sacchetto. Tutto qui, direte? Non è forse ovvio? Beh, mica tanto. In effetti la cosa è stata considerata ovvia per secoli, e solo alla fine del XIX secolo qualcuno (Peano e altri) ci ha pensato su un po’ più attentamente e si è accorto che non era proprio così. Per la cronaca, la formula esplicita dell’assioma della scelta è di Ernst Zermelo (anche di lui ho già parlato, a proposito di Chomp) ed è datata 1904.
Specifichiamo ancora meglio la cosa. Se abbiamo un numero finito di sacchetti ciascuno dei quali contiene un numero finito di palline, l’assioma è banalmente vero: metti in fila le palline e prendi la prima della fila. Se hai un numero infinito di sacchetti, ma il contenuto dei sacchetti è distinguibile, chessò in ciascun sacchetto c’è un paio di scarpe, di nuovo non c’è problema; basta che tu decida di prendere la scarpa sinistra da ciascun sacchetto –. Abbiamo insomma una funzione di scelta che si applica una volta per tutte a tutti gli infiniti sacchetti, pardon insiemi. Il guaio si ha quando hai un numero infinito di sacchetti con dentro oggetti indistinguibili, per esempio paia di calzini. Tu puoi scegliere un calzino da un numero finito a piacere di sacchetti, ma non hai nessun modo per definire in un colpo solo quali calzini prendere; il problema è tutto qui.
Ma è davvero un problema? Dipende da quello che intendete per problema. Quando all’università si fa analisi matematica, quasi tutti accettano l’assioma della scelta, non dico con gioia ma almeno senza pensarci troppo su, perché altrimenti di teoremi interessanti se ne dimostrano pochini. Però se uno inizia ad accettare l’assioma della scelta si trova immediatamente su una china che lo porta al paradosso di Banach-Tarski, che paradosso non è affatto essendo un teorema regolarmente dimostrabile. Il Teorema di Banach-Tarski afferma che, se si accetta l’assioma della scelta, è possibile suddividere una sfera in un numero finito di parti (ne bastano anche solo cinque…) tali che, semplicemente spostandole e ruotandole ma senza modificare la loro forma, si possano ottenere due sfere assolutamente identiche alla prima (e tutte piene, non è che ci sia il trucco della sfera con un buco dentro). I due matematici polacchi speravano così di eliminare del tutto l’uso dell’assioma della scelta, cosa che come ho scritto sopra non è loro riuscita, visto che i matematici quando si mettono possono essere davvero testardi. D’altra parte, è stato dimostrato che sia accettando l’assioma della scelta che accettando la sua negazione non si introducono contraddizioni in matematica; la scelta :-) insomma è assolutamente libera, e uno può preferire una posizione all’altra semplicemente perché trova “ripugnanti” i risultati ottenibili, un po’ come è capitato a Saccheri nel suo tentativo di dimostrare il quinto postulato di Euclide.
Perché il paradosso non è un paradosso? Perché in realtà di paradossale non c’è nulla, o meglio c’è solo mantenendo la definizione di paradosso come “qualcosa che sembra impossibile ma in effetti non lo è”. Infatti il numero di punti nelle due sfere è esattamente lo stesso, il numero cardinale c. Inoltre i vari “pezzi” ottenuti non sono dei pezzi nel vero senso della parola, ma possiamo immaginarli (tranne uno che è il singolo punto al centro della sfera originaria) come una specie di nuvola che occupa tutto lo spazio della sfera ma a cui non si può assegnare un volume definito; tecnicamente si dice che sono insiemi non misurabili. Infine, e questa è la cosa più importante, non è possibile scegliere un punto a caso della sfera e dire «questo punto finirà in questa sfera»; le dimostrazioni sono infatti di esistenza e non costruttive. La maggior parte dei matematici insomma scrolla la testa, dice «toh, che strano», e passa a fare dell’altro.
All’inizio ho accennato al fatto che il problema con l’assioma della scelta è legato alla necessità di definire una funzione di scelta; qualcuno potrebbe pensare che basterebbe ordinare tutti gli elementi di ciascun insieme e prendere il primo (non l’ultimo, perché se gli elementi sono infiniti non c’è un ultimo elemento!) per avere la nostra funzione di scelta. E infatti i matematici della fine dell’Ottocento pensavano di fare così, ma poi si sono accorti che nessuno riusciva a definire un buon ordinamento dei numeri reali; mettere cioè tutti i numeri reali in un certo ordine in modo che un qualunque sottoinsieme non vuoto dei reali ha un elemento minimo. Evidentemente non si può usare l’ordine usuale, dire cioè che a è prima di b se a < b; un controesempio è dato dall’insieme dei numeri positivi che non ha minimo perché ci si può avvicinare a piacere a zero. Ma di ordinamenti possibili ce ne sono a bizzeffe: magari uno buono c’è anche… Beh, sì: esiste il Teorema del buon ordinamento che ce lo assicura. Peccato che per dimostrare questo teorema occorra l’assioma della scelta… (e viceversa, se si prende come assioma il buon ordinamento allora si può dimostrare l’assioma della scelta; insomma le due affermazioni sono equivalenti). Nel caso di insiemi numerabili il buon ordinamento è garantito dal principio di induzione matematica, e fin qua i matematici sono tutti d’accordo; quando si passa alla cardinalità del continuo le cose cambiano, come chiosò umoristicamente il matematico americano Jerry Bona che disse «L’assioma della scelta è ovviamente vero, il principio del buon ordinamento è ovviamente falso, e per quanto riguarda il Lemma di Zorn, chi riesce a capirci qualcosa?» (il Lemma di Zorn è una formulazione molto tecnica che vi risparmio)
Insomma, come raccontavo quando parlavo dell’infinito, la storia è sempre la stessa; lavorando con l’infinito spuntano paradossi ad ogni angolo, e quindi non solo bisogna muoversi con i piedi di piombo ma anche decidere cosa si può accettare anche se sembra andare contro la nostra intuizione.
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