Mi è arrivato il report sulle ricerche Google che sono arrivate al mio sito, e ho scoperto come mai a febbraio ci fosse stato un picco di accessi a questa mia pagina. Le cinque stringhe più gettonate che hanno portato al mio sito (a parte il “lanciacazzi” che avevo esaminato…) sono infatti state “indovinello 100 prigionieri cappelli”, “100 prigionieri cappello bianco nero”, “indovinello 100 prigionieri”, “indovinello 100 cappelli”, e nel seguito ci sono altre varianti.
Mi fa un po’ rabbia non essere riuscito a trovare la fonte primaria, quella cioè che ha portato la gente a cercare in rete la risposta all’indovinello. Quello che però mi infastidisce di più è che per scoprire la chiave di ricerca ho dovuto aspettare che Google si degnasse di inviarmi questi highlight. Una volta bastava guardare le statistiche del sito per ottenere queste informazioni: ma a Mountain View si sono fatti furbi e adesso le nascondono quando fanno fare le query ai vari browser, per l’ottima ragione che in questo modo si tengono per loro i dati – e immagino che per averli in formato utilizzabile si debba pagare eccome. Ma ormai il mondo va così. Inoltre la preponderanza delle ricerche fatte via Google fa sì che quando una pagina comincia ad essere acceduta arriva un effetto valanga (“a chi ha, sarà dato”). Questo significa che in pratica le classifiche delle ricerche risultano falsate, con un piccolo numero di pagine che continua a crescere. D’accordo che non faccio SEO, ma vi rendete conto del fastidio?


Leggere questo libro, che parte come una biografia di Paolo Boringhieri ma vira molto rapidamente verso una storia dell’editrice Einaudi tra il 1945 e il 1957, con un’appendice sui primi anni della Boringhieri, lascia una sensazione di déjà vu per chi come me ha un po’ bazzicato il mercato editoriale italiani. Le difficoltà economiche erano già allora le stesse di oggi, esattamente come la difficoltà nel riuscire a rispettare i tempi di traduzione (ecco, forse allora le traduzioni erano più ruspanti di quanto lo siano oggi, almeno nell’editoria di qualità). Ma è anche bellissimo (ri)scoprire un Pavese-factotum che praticamente mandava avanti da solo la casa editrice, vedere la quantità di consulenti di primissimo piano che Einaudi aveva – come nota personale, non avrei mai pensato che Luigi Radicati di Brozolo fosse stato uno di loro – e soprattutto accorgersi dell’organicità al PCI. Forse la mia generazione era meno politicizzata, o forse sono io che vivevo nell’iperuranio: ma leggere della cellula del Partito in Einaudi, o scoprire come l’affare Lysenko vedesse una triangolazione tra Mosca, Torino e Roma per l’eventuale pubblicazione delle sue opere in italiano mi ha lasciato basito. Una storia, anzi tante storie parallele, davvero interessante!