Archivi categoria: socialcosi e internet

Internet Archive se la vede brutta

logo internet archive Anche la corte d’appello americana ha dato torto a Internet Archive sulla sua policy di prestito libri. L’unico punto su cui la sentenza è stata cambiata è che è stato escluso il fine di lucro da parte di archive.org.
Se non ho letto male la sentenza, il punto di scontro è che se io prendo in prestito un libro digitale da una biblioteca gli editori ricevono un micropagamento, e quindi non è vero che il Controlled Digital Lending dei libri sia “un fair use di trasformazione che opera come una biblioteca tradizionale e quindi non viola la legge sul copyright”. O almeno questo è quanto appare… a meno che la frase “IA was threatening to ‘destroy the value of [their] exclusive right to prepare derivative works'” non intenda qualcos’altro, che però non mi è chiaro. I libri presi in prestito da IA sono protetti da Adobe Digital Edition esattamente come quelli presi da un altro negozio; gli editori non possono ammettere che i testi possono essere craccati, e quindi hanno cercato una strada diversa per non dire che la vera differenza è che da IA è più facile recuperare un testo.
Poi io mi accontenterei di poter “prendere in prestito per un’ora” un testo, con l’unica possibilità di leggerlo online con il triste browser di archive.org, il che sarebbe in effetti equivalente a quello che mi è capitato di fare in biblioteca quando cercavo una citazione…

Ultimo aggiornamento: 2024-09-16 10:10

Guterres, quanto hai pagato LinkedIn?

LinkedIn mi propone di seguire Guterres Io non uso praticamente LinkedIn. Scelta mia. Però ogni settimana o giù di lì il signor LinkedIn mi invita a seguire il segretario generale ONU, cosa della quale non mi può importare di meno. Non che io segua altri politici, del resto. E allora perché dovrei seguire lui?

Addio agli URL shortener goo.gl

la pagina interstiziale che arriverà da agosto con l'avviso della dismissione
Gli URL Shortener sono quegli indirizzi web “accorciati”: in pratica, invece che avere un lungo nome come https⁠://xmau.com/wp/notiziole/2024/07/22/addio-agli-url-shortener-goo-gl/ avete https⁠://bit.ly/3xVVSeD. A che ci serve avere un link corto? Beh, dipende. In alcuni libri che ho scritto, ho usato link brevi personalizzati (quindi non con caratteri apparentemente a caso come quello che vedete qui sopra, ma con un testo facile da memorizzare) per tutta la sitografia, in modo che chi aveva una copia cartacea del mio libro potesse digitarlo con facilità. Però ormai l’uso direi essere residuale: molto più semplice mettere un QR-code da fotografare col furbofono, e non so quanti digitino ancora un URL a mano.

Google aveva un suo servizio di creazione di URL shortener, della forma https://goo.gl/; dal 2018 non permetteva più di creare nuovi accorciatori, e ora (meglio, dall’agosto 2025) anche i vecchi collegamenti non funzioneranno più: per un anno se cliccheremo sopra uno di essi ci arriverà una pagina che ci avviserà della cosa, con un link da cliccare per arrivare alla pagina voluta. Con grande senso del ridicolo, poi, gli sviluppatori di Google hanno detto «se non volete far vedere quella pagina aggiungete il parametro “si=1” all’url».

Io penso di capire perché Google avesse creato il servizio: otteneva senza troppa fatica un insieme di URL, e soprattutto aveva un’idea di quanto si accedesse a quelle pagine. Per un’azienda che nasceva come motore di ricerca quei dati erano utili. Penso anche di capire perché avessero smesso di accettare nuovi shortener: Google è sempre meno un motore di ricerca. Ma perché eliminare del tutto un servizio che non mi pareva così costoso rispetto al numero di query che si fa a Google e che non aveva costi di manutenzione (mica doveva controllare se i link funzionavano davvero)?

È vero che Google non si è mai fatta grandi problemi a terminare prodotti e app e che come ben sappiamo un centesimo risparmiato è un centesimo guadagnato (cit.), però la cosa mi stupisce, soprattutto per il lunghissimo periodo di transizione. D’altra parte magari il motivo è sempre lo stesso: le informazioni in rete sono sempre meno persistenti, e quindi il concetto stesso di URL non può essere visto come un’àncora (sapete, vero, perché in HTML i link sono all’interno di un tag <a>?) ma come un qualcosa di usa e getta.

PS: non credo di avere mai creato un link goo.gl, e d’altra parte non potevo neppure raggiungerli mentre ero in ufficio perché il BOFH locale ce li bloccava temendo si arrivasse chissà dove.

Chi sta bloccando annas-archive?

intestazione del sitoSe guardate la voce Wikipedia su Anna’s Archive, almeno mentre sto scrivendo, troverete un avviso che afferma che la voce pare promozionale. Ma soprattutto non vi sarà chiaro che cosa sia questo “motore di ricerca”: quello che fa è dirti dove trovare libri piratati. Ma c’è un’altra cosa che il sito fa, e probabilmente è sconosciuta ai più: la sua sezione “metadata” contiene appunto i metadati per i libri, anche quelli di cui non si trovano copie piratate.

Il fatto che il sito oggi non sia raggiungibile potrebbe non essere dovuto alla collezione di link a siti pirata (cosa che per esempio in Italia, ma credo anche in altre parti del mondo, è vietata) ma proprio ai metadati. Leggo infatti che OCLC, che gestisce WorldCat, avrebbe aperto un procedimento ingiunzione contro Anna’s Archive perché (in più di un anno…) quest’ultimo si sarebbe scaricata tutta la base dati di 700 milioni di record, per qualche terabyte di dati. Vediamo che succederà, ma ho il sospetto che non ci sarà molto di buono per Anna’s Archive.

Ultimo aggiornamento: 2024-07-11 12:56

privatizzazione dei “mi piace”

x - mi piace Twitter (o come dice Elonio, X) mi segnala che posso mettere like a quello che voglio, e lui non dirà nulla a nessuno, salvo “rendere migliore la cronologia”. Io lo leggo “ti manderemo più pubblicità che i nostri algoritmi reputano simile, probabilmente sbagliando”; ma forse io penso male e questa è semplicemente una mossa per bloccare le utentesse “nudes in my profile” che mettono like sperando che qualcuno le guardi…

Delle visualizzazioni di X

Massimo Mantellini nota come un suo post di ieri su X «ha mostrato quel post a 31 dei 55.593 follower». Per curiosità ho guardato le visualizzazioni dei miei post. Come vedete, l’ultimo mercoledì matematico ha avuto 326 visualizzazioni; in genere sono tra le 100 e le 150, con qualche raro picco (La recensione di L’amico ritrovato ha superato le 600. Per confronto, io ho 1486 follower.

È possibile che Mantellini sia shadowbanned: dal punto di vista di Elonio, è meglio cercare di cavare dei soldi da chi ha una buona base di seguaci e quindi è almeno apparentemente interessato a monetizzare questa base. (Non sto dicendo che sia il caso di Massimo.) È possibile che agli algoritmi di Elonio non sia piaciuto il linguaggio di quel tweet. È possibile, anche se improbabile, che quei numeri siano messi lì più o meno a caso: non ho la possibilità di verificare che gli analytics siano veri. Ma io, dal basso dei ventun lettori del mio blog, continuo a pensare che dannarsi l’anima su queste cose sia inutile. O vuoi davvero fare soldi (complimenti a chi ci riesce), e allora devi immaginare di darne un po’ alle piattaforme proprio come uno scrittore paga un agente per far vendere i suoi libri a un editore, oppure ti metti il cuore in pace.

Ultimo aggiornamento: 2023-12-29 11:14

Todos expertos (per Linkedin)!

"You’re part of an exclusive group of new experts"
Io LinkedIn lo uso ben poco. Posto le recensioni di libri, i quizzini della domenica, e ora anche i mercoledì matematici: una volta al mese o poco più può capitare che faccia un commento. Eppure venerdì scorso mi è arrivato un messaggio da “The LinkedIn Team” con questo testo:

You’re part of an exclusive group of new experts

Hi maurizio, we’re bringing together top experts to share their knowledge in an exciting new way: collaborative articles. Because of your expertise, we’ve selected you to be one of the early contributors.

Join in by adding an example from your experience, sharing a different opinion or expanding on an idea, contributing directly into the body of one of these articles:

How can you use mobile technology to improve project scheduling? [link]

What KPIs should you track to measure mobile payments success? [link]

Maria from The LinkedIn Team

Ho controllato. Il mio profilo LinkedIn dice «quadro at Telecom Italia – M.NSP.SS, divulgatore matematico, portavoce di Wikimedia Italia». Non avevo neppure verificato la mia mail lavorativa. Non che del resto saprei rispondere a quelle domande, se non con qualche supercazzola. Occhei, forse in qualche modo potrebbero avere scoperto che lavoro nel mobile, ma da qui a venire selezionato come esperto ce ne vuole. Detto in altri termini, voi vi fidereste di articoli collaborativi dove la gente è scelta così?

PS: Spulciando la mia home visto che tanto ero lì, ho scoperto che due giorni prima ero stato selezionato come uno dei pochi esperti invitati all’articolo collaborativo How can you balance workloads when automating IaaS? (articolo “Powered by AI and the LinkedIn community”). Ho capito, è tutta colpa delle AI)

Fine della pubblicità comportamentale in Europa?

logo edpb Ho finalmente trovato il motivo per cui Facebook e Instagram hanno introdotto l’abbonamento a pagamento. A fine ottobre l’European Data Protection Board aveva emesso una “decisione urgente vincolante” che imponeva a Meta di abbandonare l’uso della pubblicità comportamentale, quella che cioè guarda cosa hai visitato per suggerirti pubblicità che dovrebbe interessarti. La cosa interessante è che la procedura che ha portato (dopo sette mesi…) alla decisione d’urgenza. La cosa buffa è che invece la procedura è partita dal Garante norvegese! In effetti Islanda, Liechtenstein e Norvegia fanno parte dello Spazio Economico Europeo e su alcuni temi, come appunto la protezione dei consumatori, seguono le stesse regole dell’Unione Europea, e quindi l’EDPB ha al suo interno anche quelle tre nazioni (non la Svizzera che pure fa parte del SEE; non parliamo del Regno Unito che dopo Brexit ha deciso di proteggersi per conto suo). La procedura imponeva entro due settimane di fare qualcosa, e Meta l’ha fatto.

A questo punto resta però da capire se la scelta “sei libero di pagare e non avere nessuna pubblicità, quindi nemmeno quella comportamentale” farà o no partire un’altra procedura. A rigor di logica probabilmente la soluzione immaginata dall’EDPB era il dover far chiedere se uno vuole la pubblicità comportamentale, un po’ come fa per esempio Microsoft condendotela in maniera insinuante “se non la vuoi avrai lo stesso numero di annunci pubblicitari, ma probabilmente non ti interesseranno”. Diciamo che il prossimo futuro ci potrebbe dare nuove soddisfazioni!