Le connessioni dati sono più veloci di quelle wifi?

È appena apparso un rapporto di OpenSignal che afferma che ormai in molte nazioni la velocità di download con una rete mobile è maggiore di quella con wifi. Per l’Italia non è ancora così, anche se i valori sono vicini: se ci limita però al 4G il sorpasso c’è stato anche da noi.

Come mai? Una possibilità è che le frequenze radiomobili sono licenziate, quindi gli operatori hanno pagato per averle ma poi le possono gestire per conto loro, mentre quelle wifi sono in bande libere, e quindi ci sono molte interferenze soprattutto nelle grandi città (a casa mia è sempre una lotta avere un segnale decente). Quello che però il rapporto non segnala sono due cose: la prima è che un piano dati fisso tipicamente ha una banda a disposizione illimitata a differenza di quelli mobili, e soprattutto che mentre per un telefonino può a volte essere meglio scaricare con la connessione mobile, per un PC la scelta migliore continua a essere un bel cavo ethernet attaccato al router, come io faccio sempre.

Insomma, prendete sempre i grafici con beneficio di inventario!

Remixing Luciano Floridi

Tiziano Bonini su cheFare lancia un gioco: come rispondereste voi alle sei nuove domande che Bonini avrebbe fatto a Luciano Floridi dopo le sue risposte alle domande originali? Provo anch’io a rispondere, forte della mia esperienza di outsider datato.


1. Che differenza c’è tra le logiche editoriali dei vecchi intermediari e le logiche algoritmico-editoriali dei nuovi intermediari?

Io vedo due differenze fondamentali. La prima è che i vecchi intermediari avevano in genere una visione (bella o brutta, accettabile o inaccettabile che fosse), e quindi muovevano le cose in modo da portare il pubblico verso quella visione. Attenzione: non era necessario mentire, bastava anche solo scegliere quali notizie da dare con maggiore enfasi e presentarle usando “le parole giuste”. I nuovi intermediari hanno come logica di base quella di fare soldi, il che tipicamente significa tarare gli algoritmi per favorire testi di qualità più bassa che sono i più apprezzati. Ma questo capita anche con i vecchi intermediari: si pensi al Daily Mail oppure alla colonna infame di Cor&Rep. La vera fregatura è che gli algoritmi macinano enormi quantità di dati, il che porta all’arrivo di comportamenti emergenti, nel senso che non sono prevedibili a priori a partire dai dati. In questo senso c’è il pericolo di non avere nessuna logica umanamente comprensibile.

2. Cosa pensate voi delle filter bubbles, qual è il vostro immaginario sul funzionamento degli algoritmi di facebook o altri social media?

In parte ho risposto sopra. Il mio immaginario è che gli algoritmi vadano più o meno per conto loro, anche se ci sono alcuni punti fissi: come Paolo Artuso e io abbiamo scritto in Scimmie digitali, a parte i post sponsorizzati Facebook tratta come più importanti i post di persone con cui noi interagiamo di più e quelli che hanno raccolto molte interazioni in breve tempo. Il concetto di filter bubble esiste, ma è leggermente sopravvalutato, nel senso che nella bolla ti tieni quello che ti trova d’accordo, ma anche quello con cui non sei per nulla d’accordo ma guardi per riderci su e non per pensarci su. Tecnicamente è sempre una bolla come risultato finale, ma il suo contenuto è diverso da quanto veniva previsto teoricamente.

3. Cosa avete imparato dal vostro uso quotidiano delle piattaforme sui regimi di visibilità e invisibilità imposti dagli algoritmi? Cosa fate nella vita quotidiana per rendere la vostra timeline più diversa o per rendere i vostri contenuti più visibili?

Non faccio nulla :-) In realtà non uso praticamente Twitter, e il mio Facebook contiene le cazzate con i miei amici e alcune liste dove so che si litiga ma portando argomenti e non slogan. Rendere visibili i miei commenti? Siamo matti? Non è un caso che io continui a scrivere sul blog. Sono convinto che i commenti nei luoghi generalisti servano a poco o a nulla, quindi li salto a pie’ pari; allo stesso modo non credo che commentare in quei luoghi serva a qualcosa. In pratica, insomma, i miei commenti sono visibili solo da parte di chi è interessato ad essi (non necessariamente d’accordo)

4. se tra voi ci sono degli antropologi di formazione, andate nei gruppi WhatsApp con lo spirito dei primi antropologi e raccontateci cosa avete visto con quella profondità di sguardo e analisi che Clifford Geertz chiamava “thick description”. Cosa vi arriva nelle chat di whatsApp? Da chi vi arriva?

Non sono un antropologo, quindi non posso rispondere :-)

5. Mi fate degli esempi di piattaforme cooperative dei media, forme diverse di gestione dei dati, utopie future che immaginate possibili?

Premessa: non credo che una piattaforma cooperativa sia scalabile. Wikipedia funziona decentemente perché chi si occupa davvero di essa è un numero relativamente minuscolo di persone (meno di un centinaio per it.wiki) Onestamente non capisco questo interesse per “la gestione dei dati”. Guardo con interesse a progetti tipo Solid, ma di nuovo non penso che possano avere una diffusione generalizzata, perché il problema non è affatto percepito. Insomma, da questo punto di vista sono piuttosto pessimista. La massima utopia che riesco a immaginare è tante piccole reti sottotraccia che si nascondono all’interno di un sistema “totalitario” e che sono tollerate perché estirparle non darebbe alcun risultato pratico.

6. Che uso politico fate delle piattaforme? Cosa (quali app) e quanto usate queste piattaforme per prendere decisioni collettive o per auto-organizzarvi?

Nessun uso politico :-) Il massimo di decisioni collettive che posso prendere avviene via Telegram e/o scrittura di documenti condivisi (su Google Docs oppure Pad), ma stiamo parlando di casi davvero così poco globali che non vale la pena approfondire.


Una domanda però l’aggiungo io. Quanta parte di un dibattito del genere tocca (direttamente o indirettamente) la stragrande maggioranza di chi usa la rete? Mi sa ben poca. In pratica sono meri esercizi intellettuali onanisti (“seghe mentali”, se preferite un termine più concreto). Nulla in contrario, tanto che anch’io ho indulto. Basta non pensare di riuscire a cambiare il mondo: le rivoluzioni non partono mai a tavolino.

I miei libri

Ho cominciato a scrivere libri molto tardi, il che è stata una fregatura – per me, almeno – perché il mercato si stava contraendo. Alla fine però ho accettato l’idea che non sarò mai famoso, ma ho continuato a scrivere perché in fin dei conti mi diverto ancora.

Ieri ho rimesso a posto la mia “pagina dei libri” a https://xmau.com/bipunto/libri.html e ho scoperto che ridendo e scherzando ne ho già scritti undici. Occhei, due magari non contano perché autoprodotti ma tutti gli altri hanno avuto un editore in un modo o nell’altro… Adesso mi tocca solo pensare a qualcosa di diverso da scrivere :-), oltre che naturalmente trovare il tempo per farlo. Ad ogni buon conto, l’anno prossimo un nuovo libro (ufficiale) uscirà, almeno spero!

Quizzino della domenica: dimezzare

Dividete in due parti della stessa area – non necessariamente identiche – la figura qui sotto. Dovete però rispettare due vincoli: dovete tracciare una linea spezzata che segua i lati dei quadretti oppure la loro diagonale, e questa linea deve essere lunga al massimo cinque unità (i quadretti sono di lato 1).


(un aiutino lo trovate sul mio sito, alla pagina http://xmau.com/quizzini/p350.html; la risposta verrà postata lì il prossimo mercoledì. Problema di Serhiy e Peter Grabarchuk, da WSJ Brain Games.)


_Infinito_ (libro)

Quando ho comprato questo libro (Umberto Bottazzini, Infinito, Il Mulino 2018, pag. 278, € 15, ISBN 9788815267351, link Amazon) avevo qualche timore. Non certo sulle competenze di Bottazzini, figuriamoci: quanto per il fatto che altri suoi libri, come la sua Storia della matematica, erano piuttosto pesanti da leggere. Per fortuna i miei dubbi si sono rapidamente fugati. Innanzitutto la trattazione, più che storica, è filosofica, e soprattutto non segue gli schemi classici. Certo, un capitolo su Zenone non può mancare, come non manca quello su Cavalieri e gli indivisibili (che segue le linee di Aczel); ma Bottazzini ha scelto un percorso forse più lontano dalla matematica pura, con autori e citazioni che mi erano completamente sconosciute. Carina l’idea di partire in medias re con la gara indetta dall’accademia di Berlino per spiegare la metafisica dell’infinito, gara che più avanti nel testo scopriamo essere stata vinta da un carneade svizzero mai sentito. L’unica parte dove ci sono un po’ di formule matematiche è quella che mostra perché Cantor si fosse interessato ai numeri transfiniti, anch’essa relativamente meno nota delle sue costruzioni. In definitiva, un libro consigliato non solo ai matematici, ma anche ai curiosi che vogliono capire come nascono i concetti matematici.

Sushi Shop

Tipicamente una volta al mese ordiniamo un menu sushi a domicilio. Stante la difficoltà di trovare qualcuno che fa consegne in zona nostra – manco abitassimo chissà dove, siamo tra Maciachini e Niguarda – scegliamo Sushi Shop, nonostante la sua francesità che traspare non solo dalle quantità abnormi di Philadelphia nei maki ma anche dal sito che ogni tanto sbaglia lingua. Vabbè.

Solitamente gli ordini li fa Anna col suo account: oggi però era in aula e così l’ho fatto io con il mio account. Alle 18:30 compilo l’ordine e chiedo la consegna per le 20.45, perché prima rischiamo di non essere a casa. In effetti arriviamo per le 20.30, diamo da mangiare ai novenni… e poi aspettiamo. Alle 21.15 telefono per sapere perché non si è ancora visto l’ordine. Risposta: “Eh, con la pioggia c’è stata tantissima gente che ha chiamato e siamo un po’ in ritardo. Ma il fattorino è uscito 10-15 minuti fa”. Già qui ho cominciato a incazzarmi. Certo, piove, e quindi in tanti avranno fatto un ordine al volo. Ma tu sapevi da due ore che c’era un ordine pronto, e non fai passare avanti gli altri. (Ti dicono che l’ordine può arrivare in un intorno di 15 minuti dall’ora richiesta, ma se parti più di 15 minuti dopo non funzionerà mai). E comunque, anche se ci fossero state le cavallette, tu Sushi Shop hai il mio numero di telefono e la mia email. Mandare un messaggio avvisando del ritardo è il minimo sindacale.

Continuo ad attendere: alle 21.30 (tre quarti d’ora dopo l’orario previsto) finalmente arriva il fattorino. Peccato che in ascensore gli si sia rotto il sacchetto di carta prerogativa del negozio e il sushi box si sia rovesciato per terra. Nuova telefonata, con il titolare che ci ha proposto (a) di reinviare l’ordine (al che gli ho risposto “sì, così mi arriva alle 11”); (b) di farci un buono per il prossimo ordine. Alla mia replica “no, io voglio indietro i soldi” la risposta dopo un po’ è stata “sì, se proprio vuole le rimborsiamo l’ordine, però con gli ordini online ci vogliono tre giorni perché ci arrivino i dati dell’ordine e altri tre per processarlo” e probabilmente qualche scappellamento a destra che non ho sentito, perché gli ho urlato che io mi aspetto quei soldi subito e ho buttato giù il telefono.

Sicuramente Sushi Shop avrà un cliente in meno: posso accettare tante cose ma non un servizio al cliente così pessimo. Sapete consigliarmi qualche altro ristorante che consegni sushi al domicilio?

Aggiornamento (30 novembre) Mi è appena arrivata una mail che afferma
Ci scusiamo per il disguido e come richiesto dal direttore del punto vendita qui sotto la richiesta di storno dell'operazione.

Insomma, ci è voluta davvero una settimana per stornare un’operazione. Viva il digitale.

Fatture elettroniche

Occhei, Anna è una libera professionista e quindi che esistano le fatture elettroniche lo so (come so che all’atto pratico è praticamente impossibile gestirsele da soli e quindi è nata una simpatica nicchia di aziende che vendono abbonamenti per il loro software che interagisce con l’AdE). Però mi ha lasciato abbastanza perplesso scoprire che il Garante per la privacy ha avvertito l’AdE ai sensi del GDPR che il sistema da essa preparato non garantisce la “privacy per design” come richiesto: tradotto in italiano, è stato mal progettato e quindi inerentemente poco sicuro.

Giusto per essere chiari: l’attuale governo non c’entra nulla. La valanga è partita già da un pezzo, e comunque sono due anni e mezzo che il GDPR esiste, anche se è entrato in vigore solo a maggio. La patata bollente è però loro e non so cosa penseranno di fare: un ennesimo rinvio? Un decreto attuativo che diminuisca la privacy? (difficile, ma non impossibile con loro). Più che altro mi chiedo perché un sistema di per sé giusto come quello della fatturazione elettronica sia stato implementato così male in ogni senso. Il vero guaio è quello.

Ps: mi stanno già arrivando i primi messaggi di posta elettronica con gli adempimenti che *io* (semplice cittadino) devo fare per acquistare per esempio una copia di un quotidiano online. Sarà un delirio.

Gramellinitudine

Ieri non ho parlato del rapimento di Silvia Romano, perché non avrei sapto cosa dire né riguardo a lei né all’ONG che l’ha mandata in Kenya (da sola?). Non ho nemmeno parlato del Caffè di Gramellini, perché non credo che abbia molto senso discutere di quello che in fin dei conti non è tanto diverso da un blog qualunquista se non per il numero di persone che lo leggono.

Visto che però oggi Gramellini è tornato sul luogo del delitto, posso sprecare anch’io qualche parola. Nella rassegna stampa di stamattina a Radio Popolare Gianmarco Bachi ha esplicitato quello che è anche il mio pensiero: se tu dici che ieri stavi difendendo la giovane e nessuno ti ha capito – ma neppure al Corriere, se sono stati costretti a ingaggiare il terzista per antonomasia quale è Pigi Battista per un controcanto – allora hai un problema di comunicazione. E la cosa è davvero grave: saranno quarant’anni che tu fai il giornalista, e le parole dovresti saperle usare. Per completezza, ecco qua le ultime righe del suo Caffè di ieri, quelle che non sarebbero state lette dalle “centinaia di gabbiani da tastiera”:

Silvia Romano non ruba, non picchia, non spaccia. Non appartiene alla tribù dei lamentosi e tantomeno a quella degli sdraiati. La sua unica colpa è di essere entusiasta e sognatrice. A suo modo, voleva aiutarli a casa loro. Chi in queste ore sul web la chiama «frustrata», «oca giuliva» e «disturbata mentale» non sta insultando lei, ma il fantasma della propria giovinezza.

Ragazzi, è un trucco retorico vecchio come il cucco. Stai formalmente difendendola, dicendo che la vera colpa è nostra che rimpiangiamo la nostra giovinezza, ma in realtà insinui il dubbio che un po’ “oca giuliva” lo sia davvero. Controprova: i miei ventun lettori sono tipicamente un po’ più giovani del pubblico medio del Corriere, ma non proprio teneri virgulti. Avete rimpianti per non essere andati voi da giovani in missione? Il problema insomma non è tanto l’incapacità di pensare figlia dei socialcosi, quanto l’incapacità di scrivere in modo che anche i socialcosisti capiscano, tipo con l’altro trucco retorico vecchio come il cucco di scrivere tutto il testo contro la cooperante e terminare con “O no?”. Prima di parlare di “dittatura dell’impulso”, insomma, forse Gramellini dovrebbe provare a ripensare a come ha scritto il pezzetto di ieri. “Cosa” ha scritto è una sua scelta che io non sindaco, ma sul come se ne può parlare eccome.