Gramellinitudine

Ieri non ho parlato del rapimento di Silvia Romano, perché non avrei sapto cosa dire né riguardo a lei né all’ONG che l’ha mandata in Kenya (da sola?). Non ho nemmeno parlato del Caffè di Gramellini, perché non credo che abbia molto senso discutere di quello che in fin dei conti non è tanto diverso da un blog qualunquista se non per il numero di persone che lo leggono.

Visto che però oggi Gramellini è tornato sul luogo del delitto, posso sprecare anch’io qualche parola. Nella rassegna stampa di stamattina a Radio Popolare Gianmarco Bachi ha esplicitato quello che è anche il mio pensiero: se tu dici che ieri stavi difendendo la giovane e nessuno ti ha capito – ma neppure al Corriere, se sono stati costretti a ingaggiare il terzista per antonomasia quale è Pigi Battista per un controcanto – allora hai un problema di comunicazione. E la cosa è davvero grave: saranno quarant’anni che tu fai il giornalista, e le parole dovresti saperle usare. Per completezza, ecco qua le ultime righe del suo Caffè di ieri, quelle che non sarebbero state lette dalle “centinaia di gabbiani da tastiera”:

Silvia Romano non ruba, non picchia, non spaccia. Non appartiene alla tribù dei lamentosi e tantomeno a quella degli sdraiati. La sua unica colpa è di essere entusiasta e sognatrice. A suo modo, voleva aiutarli a casa loro. Chi in queste ore sul web la chiama «frustrata», «oca giuliva» e «disturbata mentale» non sta insultando lei, ma il fantasma della propria giovinezza.

Ragazzi, è un trucco retorico vecchio come il cucco. Stai formalmente difendendola, dicendo che la vera colpa è nostra che rimpiangiamo la nostra giovinezza, ma in realtà insinui il dubbio che un po’ “oca giuliva” lo sia davvero. Controprova: i miei ventun lettori sono tipicamente un po’ più giovani del pubblico medio del Corriere, ma non proprio teneri virgulti. Avete rimpianti per non essere andati voi da giovani in missione? Il problema insomma non è tanto l’incapacità di pensare figlia dei socialcosi, quanto l’incapacità di scrivere in modo che anche i socialcosisti capiscano, tipo con l’altro trucco retorico vecchio come il cucco di scrivere tutto il testo contro la cooperante e terminare con “O no?”. Prima di parlare di “dittatura dell’impulso”, insomma, forse Gramellini dovrebbe provare a ripensare a come ha scritto il pezzetto di ieri. “Cosa” ha scritto è una sua scelta che io non sindaco, ma sul come se ne può parlare eccome.

Ultimo aggiornamento: 2018-11-23 12:17

2 pensieri su “Gramellinitudine

  1. Licia

    Totalmente d’accordo: Gramellini sa benissimo che ogni parola porta con sé connotazioni, rimandi, associazioni. Scelte come soddisfare la sua smania, ricalcata da un’infilata di sibilanti, non sono certo casuali.

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