Casi Covid: perché non si usano le medie mobili?

In questi giorni i casi di infezione da coronavirus per fortuna non sono molti, e non sembra che stiamo tornando alla crescita esponenziale di marzo. Certo, ci sono ancora tante preoccupazioni perché continuano a essercene, e soprattutto sembra che ora siano i giovani ad ammalarsi: non si sa se perché fanno meno prevenzione, perché gli anziani più deboli sono già morti o cos’altro.

Quello che però non capisco è lo stillicidio dei dati giornalieri. O meglio: capisco che i giornali debbano riempire lo spazio e quindi si mettono a scrivere ogni giorno “aumentati di tot / diminuiti di tot”, ma con fluttuazioni di questo tipo i numeri del giorno non servono a nulla. Sarebbe molto più utile usare la media mobile a una settimana: ogni giorno si tolgono i casi di otto giorni prima e si aggiungono quelli del giorno, dividendo per 7 il totale per avere la media sulla settimana. Una media mobile ha l’indubbio vantaggio di smussare i picchi casuali, oltre a quello di trattare automaticamente i possibili “cali del lunedì” dovuti al minor numero di tamponi effettuati nel weekend. Né è un concetto così alieno: sono somme sottrazioni e divisioni, mica formule esoteriche. E allora perché non vengono usate, se non in contesti specifici?

E noi che pensavamo di poter fare qualcosa

Ricordate le audizioni per la legge di delegazione europea? Avevano portato alla presentazione varie decine di emendamenti: alcuni di quelli riprendevano le nostre richieste. Bene, anzi male: come potete vedere – l’articolo relativo alla legge sul copyright digitale è il 9 – tutti quelli proposti dalla maggioranza, tra cui i “nostri”, sono stati ritirati o trasformati in ordini del giorno che notoriamente non contano assolutamente nulla, o se preferite dirlo in modo più forbito non danno alcun vincolo al governo nel recepire la direttiva.

Detto in altri termini, il governo (probabilmente nella persona del ministro dei Beni Culturali) ha voluto blindare quella formulazione. Provate a chiedervi come mai.

Visite di controllo in tempo di Covid

Sono certo che volete sapere la mia esperienza con la visita di controllo arrivata al volo. Beh, a parte essermi dimenticato a casa la vecchia documentazione (ma avevo tutto salvato sul cloud e quindi recuperato col furbofono) la cosa è semplice. L’appuntamento era alle 11:30 ma mi avevano detto di esserci per le 11: sono arrivato alle 11:05, all’ingresso c’era scritto “controllo temperatura” ma non c’era nessuno, ho preso il numerello all’accettazione che era quello subito dopo l’utente servito in quel momento, si è appalesato un inservente anzianotto che non si sa bene cosa stesse facendo prima che mi ha misurato la temperatura, ho pagato il ticket, sono salito, dopo cinque minuti i medici mi hanno fatto entrare e alle 11:35 ero fuori. Poteva andare peggio.

Ora il problema è la visita oculistica. Al momento sono prenotato per novembre al Gratosoglio :-(

Statistiche, medie (mobili) e mediane

Mi è capitato di vedere questo tweet di Udo Gümpel e di leggere un po’ del dialogo tra sordi nei commenti, comprese le solite schermaglie pseudopolitiche.

Dal mio punto di vista vedo due problemi. Il primo è che non mi è chiaro come sono calcolati questi valori, e temo che la media sia calcolata tra chi è in questo momento in pensione (spero solo tra le pensioni di anzianità e vecchiaia e non quelle di invalidità o sociali). Se è così, la media è trascinata verso il basso dalle pensioni di chi ha smesso di lavorare in passato, e non credo che i paesi frugali (che poi non sono davvero frugali) pensino onestamente che si possa far tornare a lavorare quelle persone. Il secondo è che non mi pare ci si renda conto che per andare in pensione con quota 100 occorrono comunque 38 anni di contributi: un po’ meno di quelli dei “frugali”, ma nemmeno troppo, e sicuramente più dei 31 anni e mezzo attuali.

Scusate se non mi infilo in quella discussione: la vita è troppo breve.

Toh, i blog stanno risorgendo?

Come sapete, questo blog è maggiorenne: il mio primo post è di inizio settembre 2001. Negli anni ruggenti aveva anche 30000 accessi al mese: sì, non erano poi moltissimi, ma io non sono un tipo così famoso e non ho nessuna voglia di perdere tempo con SEO e simili, visto che tanto non ci guadagno nulla. Poi i blog sono passati di moda e il traffico è pesantemente calato. Dal mio punto di vista cambiava ovviamente poco: ho continuato a scrivere quello che mi andava.

La scorsa settimana ho casualmente guardato le statistiche WordPress su base mensile e non giornaliera, e il risultato lo vedete qui sopra. Sì, c’è stato il lockdown (il dato di aprile è falsato per un altro motivo), ma si direbbe che dalla fine del 2019 c’è stata una leggera risalita degli accessi, nonostante le statistiche di Awstat – che però considerano tutto il sito – affermino il contrario. I blog stanno risorgendo? Oppure stiamo parlando di un attacco zombie?

Il lavoro del futuro (libro)

Uno si può chiedere perché mai leggere ora un libro che parla dei trasformazione del lavoro prima che Covid-19 avesse rivoluzionato tutto. Beh, per esempio per vedere quanto ci ha azzeccato, no? In realtà mi sarei stupito se in questo testo (Luca De Biase, Il lavoro del futuro, Codice 2018, pag. 177, € 15, ISBN 9788875787516) ci fosse stato un capitolo dedicato alla formazione a distanza; non era quello che cercavo. Diciamo però che la genesi del libro, nato a partire da una serie di interviste per Il Sole-24 Ore, lo rende piuttosto ostico da seguire: un conto è leggere volta per volta cosa raccontano alcuni CEO e soprattutto CIO, altra cosa è trovarli tutti insieme. Molto opportunamente De Biase raccoglie alla fine le conclusioni su cosa si potrà avere: quindici pagine davvero utili nonostante il terremoto Covid e che consiglio a tutti di leggere con molta attenzione. Però il resto mi lascia un po’ perplesso.

Google e il CoViD

Stamattina mi è arrivata una delle solite mail di scam con testo

Google Inc is compensating you with the sum of $2,500,000.00 Dollars, as one of our active customers, and we are also using this to compensate scam and Coronavirus COVID-19 victims who use our search engine and software in their offices and home. your email was selected through our search engine.

Nulla di davvero strano. Un’ora dopo mi è poi arrivata una mail da Google Play con titolo “Notifiche di esposizione al COVID-19 per la tua area geografica” e testo

Un senso condiviso di responsabilità ha portato Google e Apple a collaborare alla creazione del sistema di notifiche sull’esposizione (SNE), per aiutare i governi e la nostra comunità globale a contrastare questa pandemia tramite il tracciamento dei contatti.

Grazie alle notifiche inviate dalle autorità sanitarie pubbliche tramite il sistema SNE, puoi contribuire a contenere la diffusione dell’infezione adottando provvedimenti in caso di un tuo possibile contatto con una persona che ha contratto il COVID-19.

seguito da link a Immuni. Questo in effetti è un po’ più strano. Google non ha mai fatto troppa pubblicità al suo sistema, se non all’inizio per convincere i produttori di app a sfruttarla. La domanda che mi faccio è “hanno cambiato idea, oppure il governo italiano ha gentilmente chiesto loro di pubblicizzare un po’ l’app ufficiale che evidentemente non si fila nessuno?” (se è stata scaricata da 5 milioni di utenti non serve a nulla anche se la usassero tutti)