Archivi annuali: 2019

Devo le mie scuse a Enzo Mazza

Un anno fa, mentre la direttiva europea sul copyright stava arrivando al dunque, ho partecipato a un panel di persone tecnicamente interessate per una ragione o per un’altra alla direttiva. Io ero naturalmente presente con il cappellino di Wikimedia Italia, e nel mio intervento ho tra l’altro detto che ci mancava ancora che la direttiva vietasse di usare liberamente l’URL di un articolo di giornale, perché in tal modo si romperebbe Internet. Enzo Mazza, che ha parlato dopo di me, ha subito zittito il “ragazzino” affermando che lo stesso si diceva per la musica gratuita, ma alla fine il mercato discografico è riuscito a far valere le proprie (giuste, neh) ragioni e ora si può legalmente ascoltare musica in streaming pagando il giusto compenso. D’accordo, il paragone non c’entrava nulla, perché io non stavo dicendo che si potevano liberamente copiare gli articoli di un giornale, ma non impuntiamoci sui particolari.

Ora, Enzo Mazza è da decenni ai vertici della FIMI, l’associazione dei discografici italiani, e quindi lo pagano – spero per lui bene – per dire queste cose, anche se probabilmente le pensa anche. Nessuno invece mi paga per dire le mie cose, e quindi ho l’inestimabile libertà di poter cambiare idea se mi accorgo di avere sbagliato, e la mia affermazione di allora aveva almeno due errori. Il primo è che avrei dovuto dire “web” e non “Internet”. Il secondo è che quello che romperebbe il web non sono le URL non libere, ma il DNS. Senza DNS non puoi arrivare da nessuna parte (no, non basta l’IP con HTTP/1.1), mentre senza URL libere non cambia molto in assoluto, perché il sito può implementarsele internamente. Quindi Mazza aveva ragione e io torto.

Perché racconto tutto questo solo ora? Beh, mi è tornato in mente leggendo questo articolo di Prima Comunicazione dove si legge che la commissaria alla concorrenza Vestager sta controllando con i francesi il modo in cui Google ha ottemperato alla direttiva copyright (ne avevo parlato, ricordate?) affermando che «può verificarsi un problema di biopotere se un gigante […] impone i propri termini e le proprie condizioni non in linea con ciò che è stato previsto dalla nuova legislazione sul copyright» e quindi pensa a una possibile modifica della direttiva. Nell’attesa che qualcuno mi illumini sul significato di biopotere in quel contesto, mi permetto di suggerire alla commissaria la modifica definitiva. La direttiva specifica già il concetto di ‘press publication’. Basta pertanto emendare l’articolo 13 togliendo i commi dal secondo al quarto (le eccezioni alla richiesta di soldi per fare i link) e per sicurezza aggiungendo un comma che stabilisce una somma minima per questo “ancillary copyright” creato dalla direttiva, in modo che Google e amici vari non possano applicare la loro forza di mercato. Più una regola è semplice, più è difficile trovare dei cavilli; a questo punto gli editori potranno essere certi che Google finalmente smetterà di inventarsi scappatoie e smetterà di indicizzare le loro pagine, e sicuramente il mercato saprà autoregolarsi e trovare qualcun altro pronto a prendere il posto della Grande G.

Votare è pericoloso

[foto dei VVF, http://www.vigilfuoco.it/sitiVVF/milano/]

Oggi si votava per il rinnovo del Consiglio d’Istituto nella scuola dei bambini. Verso le 11:25 Anna e io siamo usciti, abbiamo preso al volo un tram che passava – la domenica mattina ce n’è uno ogni quarto d’ora – siamo arrivati in piazzale Maciachini e svoltato verso l’ingresso laterale della scuola, mentre mi lamentavo di come avessero fatto da cane il marciapiede davanti alla scuola quando la metropolitana arrivò a Maciachini. votato e scambiato due chiacchiere con gli scrutatori, visto che tanto non c’era nessuno. Usciti verso le 11:45, abbiamo guardato dopo quanto tempo sarebbe passato il tram. La palina indicava quattro minuti di attesa: visto che era un momento in cui non pioveva, non valeva la pena di aspettarlo per fare una fermata, massimo due e poi scendere. Direi che abbiamo fatto bene, visto cosa è successo cinque minuti dopo.

(per la cronaca, noi avremmo preso il tram nell’altra direzione, e probabilmente saremmo partiti un minuto prima della caduta dell’albero, quindi non preoccupatevi)

Ultimo aggiornamento: 2019-11-24 16:49

Quizzino della domenica: palline da ping pong

In Matelandia, come ben sapete, tantissimi oggetti iperuranici sono presenti in quantità infinita. Tra questi oggetti con disponibilità a piacere ci sono delle palline da ping pong con impresso un numero intero positivo, da #1 in su. (Nel caso vi chiedeste come mai c’è anche un cancelletto, è perché era il modo più semplice per distinguere il 6 dal 9. Il cancelletto si mette sempre prima del numero). Supponete ora di prendere un numero finito di palline, numerate come volete, e metterle in un contenitore parecchio ampio. A ogni mossa prendete a caso una pallina, guardate il numero che ha, la togliete e aggiungete un numero qualunque (finito) di palline, con l’unica regola che il numero presente su queste palline deve essere strettamente minore di quello della pallina tolta. Questo significa che se estraete una pallina #1 non potete aggiungerne nessuna, ma con una pallina #666 potete rimetterne un milione di #42, e magari un paio di #314 così per sport. Dimostrate che prima o poi svuoterete il contenitore.

[pallina]

(un aiutino lo trovate sul mio sito, alla pagina http://xmau.com/quizzini/p417.html; la risposta verrà postata lì il prossimo mercoledì. Problema di Raymond Smullyan)

_Zerologia_ (libro)

Confesso che mi aspettavo qualcosa di più da questo libro (Claudio Bartocci, Piero Martin, Andrea Tagliapietra, https://amzn.to/36GYZUZ : Sullo zero, il vuoto e il nulla, Il Mulino 2016, pag. 194, € 14, ISBN 9788815260420) dove un matematico, un fisico e un filosofo parlano dell'”assenza” nei loro rispettivi campi. Il risultato finale è però un po’ deludente. Da un lato non ci sono molte interazioni tra le tre sezioni: in effetti non sarebbe così facile inserirle, ma i rarissimi esempi mi sembrano più forzati che altro. Le parti che ho trovato interessanti sono state la lunga disquisizione sullo zero nell’antica India, fatta con un taglio diverso da quello che si trova in giro; nella parte fisica il passaggio verso le varie definizioni di vuoto, anche se mi sarei aspettato qualcosa in più sul vuoto quantistico; nell’ultima sezione l’inizio che tendeva ai giochi di parole e la bibliografia sterminata, anche se solo accennata. Però alla fine della lettura mi pare non mi sia rimasto nulla… e questo non è un gioco di parole.

“Impossibile aggiornare la partizione del sistema riservata”

Ho un nuovo PC di laboratorio, e sto cercando di farlo funzionare. Mi è arrivato con una licenza Windows 10 Pro… del 2015, e Windows Update dà un errore 0x80240fff che immagino sia a tutti chiarissimo. Vabbè, dico, provo a partire dal sito Microsoft. Tutto bene, parte l’update, scarica qualcosa e poi si ferma dicendo “Impossibile aggiornare la partizione del sistema riservata”. Il problema, come spiegano tanti siti, è che non c’era abbastanza spazio. Un paio di botte di un gestore di partizioni e tutto è tornato a posto. Però mi chiedo perché Microsoft non ha pensato di aggiungere quella minima riga di spiegazione in “ulteriori informazioni”. Forse perché immagina che è meglio che l’utente comune non tocchi le partizioni?

Poi naturalmente tutto questo non bastava, ed è arrivato l’errore “Modern Setup Host has stopped working”. Altro giro, altro sito. E tutto l’upgrade serviva perché il PC (un HP) non vedeva il monitor esterno (un HP vecchiotto). Secondo l’assistenza HP il monitor non era supportato; ma chissà perché mentre aggiungevo man mano i driver a un certo punto è apparsa l’immagine anche là… (risposta cattiva: perché l’assistenza sperava che io comprassi un nuovo monitor?)

La Stampa ritorna al copyright totale

Tanti anni fa La Stampa decise di pubblicare gli articoli – prima quelli di Tuttolibri dal 2006, poi dal 2015 tutti quelli del giornale online – con una licenza Creative Commons; la più restrittiva tra quelle licenze, visto che non era possibile un uso commerciale né modificare il testo, ma comunque una licenza che non si riservava tutti i diritti. Ora ha deciso di cambiare idea, come spiega Anna Masera: si ritorna al copyright classico.

La cosa non cambia per nulla la mia vita, a dire il vero, visto che non mi è mai capitato di copiare verbatim un articolo di un giornale. D’altra parte Masera lo esplicita anche: la decisione è stata presa «per uniformarsi alle altre testate del gruppo Gedi», e sapete bene come i De Benedetti siano sempre stati in prima fila nella lotta per mantenere bello stretto il controllo sulle notizie. Né si può dire che il quotidiano torinese abbia mai pensato di sfruttare l’idea di un giornale con i contenuti un po’ distribuibili. Parafrasando quanto dice il mio amico Marco Renzi, se vuoi sperimentare va bene, ma allora devi anche pensare a costruirti una comunità attorno, cosa che non si è certo vista. Insomma, la scelta di abbandonare le licenze CC merita rispetto e non c’è da alzare alti lai contro questa presunta perdita di libertà.

Quello però su cui dissento fortemente sono le motivazioni addotte. Masera non può venirci a dire che «etichetta vuole che sul web si condivida l’url e non il pdf o lo screenshot (foto dell’articolo), nel rispetto del modello di business scelto dall’editore.» La public editor della Stampa sa infatti benissimo che questo si poteva e si può fare anche con il copyright classico; anche la direttiva europea sul copyright, fin dalle sue prime bozze, ha sempre permesso l’uso del collegamento ipertestuale, con grave scorno di taluni per cui bisognerebbe pagare anche per il link. Ma credo che il massimo sia raggiunto dal caporedattore Alberto Infelise, che nel tweet in figura dimostra di non sapere affatto di che si parla. Vi consiglio di leggere il thread completo. Gli è stato educatamente spiegato che la situazione per quanto riguarda le copie di uso commerciale non cambierà né dal punto di vista legale – già prima erano vietate – né dal punto di vista tecnico – non è che scrivere “© RIPRODUZIONE RISERVATA” impedisca di fare copincolla; ma lui resta testardo sulle sue idee. Una delle mie massime di vita è di evitare di fidarmi di quanto un esperto afferma sui temi diversi da quelli da lui studiati; ma a certi livelli io comincio anche a dubitare di qualunque cosa dica…

Il “genio matematico” e l’insipienza dei media

Non avrei avuto proprio voglia di parlare della “scoperta matematica” di Chika Ofili, ragazzino dodicenne che è finito sui giornali di mezzo mondo. Non certo per invidia, ma perché il suo criterio di divisibilità per 7 è noto più o meno da sempre: basta prendere Wikipedia in italiano e spulciare la cronologia della voce “criteri di divisibilità” per trovarla. Stamattina ho perso un po’ di tempo a cercare quando è stata fatta la prima modifica alla voce con quel criterio, e ho scoperto che il 26 settembre 2006 – quando il ragazzino non era ancora nato… – era stato aggiunto anche quel criterio, come post scriptum al criterio simile prendendo le cifre da sinistra a destra e moltiplicandole per 3 anziché per 5. Provate a indovinare chi aveva fatto quell’aggiunta :-)

Ma la cosa più interessante è che i media – italiani e non solo, immagino che i nostri abbiano direttamente tradotto – affermano che Ofili abbia vinto il Trulittle Academic Hero Award 2019. Beh, no. Era un Nominee, come si può vedere dalla cache di Google, ma il premio è poi andato a un altro ragazzino. Tutto questo per dire quanta attenzione viene data a controllare le fonti. A parte questo banale particolare, io notoriamente penso male: ma sono abbastanza convinto che la notizia acchiappaclic abbia avuto più copertura delle usuali 12 ore solo perché si parlava di complicatisime operazioni numeriche, e poter scrivere che un undicenne avesse scoperto qualcosa sfuggito alle grandi menti matematiche deve aver dato un frisson agli estensori degli articoli… e ai lettori, naturalmente.

Un’ultima considerazione. Non c’è nulla da togliere a Ofili: è possibile che abbia letto del criterio da qualche parte, ma è più probabile che se lo sia scoperto per conto proprio, e questa è una cosa davvero importante anche se esso era già noto presumo da un paio di millenni. La cosa bella della matematica è manipolare degli oggetti (reali o immaginari non importa) e vedere che miracolosamente tutto torna a posto. La gioia è nella scoperta. Poi c’è sempre tempo per scoprire qualcosa di nuovo!

Ultimo aggiornamento: 2019-11-21 13:57

WT:social

Hanno anche dei problemi con la lingua inglese, a quanto pare

Probabilmente non avete mai sentito parlare di WikiTribune, un tentativo di Jimmy Wales (sì, quello di Wikipedia) di creare un social network “che lotti contro le fake news”. In un tentativo di guadagnare nuovi adepti, Wales ha spostato il sito a WT:social. Lo scorso weekend ci deve essere stato un passaparola, visto che il numero di utenti è triplicato (da 80.000 a 240.000, non credete chissà cosa).

Nelle migliori tradizioni wikipediani, gli utenti sono caldamente invitati a pagare per avere un sistema libero da pubblicità e affini, altrimenti resti in “lista d’attesa”. In realtà se partite da un link altrui – il mio per gli amici per esempio è questo, e poi aprite il vostro link corrispondente in un’altra scheda pare che si riesca a entrare.

Per il resto, che dire? Quello che vedo in questi giorni è molto palloso, il che di per sé ha senso. È però possibile creare dei subwiki su argomenti specifici, tipo WT in italiano o Italia Newsroom. Più interessante secondo me la possibilità di creare post collaborativi – in fin dei conti siamo sempre in una wiki – anche se ho dei forti dubbi sulla scalabilità di un sistema simile. In definitiva mi sa che non funzionerà; o meglio, potrebbe sopravvivere come social network di nicchia – ma allora la sostenibilità finanziaria potrebbe essere complicata – ma non ce la farà a raggiungere una massa critica, e se lo facesse non vedo grandi meccanismi di autodifesa. (Wikipedia di solito ce la fa perché non è un social :-) )

Per i curiosi, ho ovviamente creato il subwiki Dewdney. Gli amici di Fidonet sanno bene il perché.