Venerdì scorso Paolo Alessandrini mi chiede come ho fatto ad avere una pagina autore su Amazon.it. La mia risposta è stata “chi se lo ricorda”; poi ho guardato un po’ in giro e ho capito che avevo creato una pagina autore su amazon.com attraverso Author Central. Così ci ho rifatto un giro, ho interagito (via email) con il servizio clienti, e ho scoperto che (a) non esiste il concetto di “pagina autore” su amazon.it, ma in un certo senso quella americana percola qui da noi; (b) il fatto che ci siano miei libri dove sono indicato come “Maurizio Codogno” e altri dove sono “Codogno Maurizio” è un ostacolo insormontabile, che può essere solo superato convincendo gli editori a cambiare il modo in cui il mio nome è indicato… oppure indicando che “Codogno Maurizio” è il mio nome d’arte; (c) amazon.com importa le traduzioni in turco di Matematica in pausa pranzo e Matematica in pausa caffè, ma dice che sono state scritte dal mio traduttore. Se mi è concesso dirlo, mi sembrano un po’ cioccolatai…
Le Betula non sono le Birkenstock
Un paio di anni fa ho comprato dei sandali “Betula by Birkenstock”. Mi era abbastanza chiaro che Betula è un loro marchio economico, e quindi non mi aspettavo per esempio le cinghie in cuoio. Però non mi aspettavo nemmeno che di colpo mi cedesse una cinghia mentre stavo camminando e soprattutto senza essermi mai accorto che si stava staccando. Mi sa che non le comprerò più.
Quizzino della domenica: Cerchi e croci
Nella figura qui sotto vedete sei croci e sei cerchi. Dividetela in sei parti uguali (e sovrapponibili…) in modo che ciascuna di esse contenga una croce e un cerchio.

(un aiutino lo trovate sul mio sito, alla pagina http://xmau.com/quizzini/p392.html; la risposta verrà postata lì il prossimo mercoledì. Problema di Serhiy and Peter Grabarchuk, da WSJ Brain Games.)
_Che cosa sognano gli algoritmi_ (libro)
Ci sono alcune semplificazioni di questo libro (Dominique Cardon, Che cosa sognano gli algoritmi : Le nostre vite al tempo dei big data [À quoi rêvent les algorithmes], Mondadori 2018 [2015, 2016], pag. 114, € 15, ISBN 9788804703266, trad. Chetro De Carolis, link Amazon) che non mi trovano totalmente d’accordo, come la divisione quadripartita delle tecniche degli algoritmi di misura del web (al di sopra, al di sotto, dentro e accanto). Ma al di là dei giudizi personali, ho trovato questo libretto – ben tradotto da Chetro De Carolis – ottimo per comprendere come l’esistenza degli algoritmi cambi il comportamento degli internauti, e quindi abbiano un impatto notevole… anche se non quello che viene troppo spesso citato da chi non sa affatto di cosa stia parlando. Ogni tanto una boccata d’aria pura fa bene! Mi chiedo però se 15 euro per poco più di cento pagine (in effetti più spesse del normale, forse per non far vedere quanto il testo sia smilzo) sia un prezzo equo…
Il “biglietto salvacoda virtuale” ATM
Ieri sarei voluto passare al punto ATM a chiedere informazioni (non ce l’ho fatta per altre ragioni). Il sito afferma che con l’app ufficiale ATM è possibile prenotare il proprio turno, prendendo un biglietto virtuale. Che bello, mi sono detto, io ho giusto l’app sul mio telefono. La apro, trovo la voce giusta del menu, vedo anche indicato il numero di persone in coda a ciascuno degli ATM Point, e il punto da cliccare per prendere il numeretto. Clicco… e mi viene dato un numero d’ordine esattamente come quello che avrei preso al punto ATM.
Se prendiamo per esempio l’app delle Poste, è possibile scegliere un orario (se nessuno l’ha già prenotato…); in questo modo uno può organizzarsi tranquillamente. Così bisogna invece fare conti complicati sulla velocità di gestione dei singoli utenti, conti che naturalmente non funzioneranno mai per un corollario del famoso teorema “l’altra fila è sempre più veloce”. Non mi sembra un grande risulato…
addio, MAD
Una triste notizia: Mad Magazine dal prossimo autunno non pubblicherà più nuovi contenuti (tranne gli speciali di fine anno) ma riciclerà le vecchie cose ivi pubblicate. Oggettivamente non riesco a comprendere la logica: mi sarei aspettato una semplice chiusura, il che potrebbe avere senso visto che il mercato è quel che è, ma non una cosa del genere. Io lessi un po’ di numeri negli anni ’80, e naturalmente ho ben presente l’articolo seminale di un allora ragazzotto Donald E. Knuth.
Tutto quello che ho da dire è “What, me worry.” Con il punto fermo e non quello di domanda.
_Forever People_ (ebook)
[Disclaimer: Ho ricevuto il libro grazie al programma Early Reviewer di LibraryThing]
Che cosa potrà mai andare male se un gruppo di scienziati sviluppa un modo per caricare la consapevolezza delle persone in un universo digitale, in modo che alla tua morte – se ti trovi in una zona “connessa”… potrai vivere per sempre? Beh, per esempio la gente potrebbe decidere di suicidarsi per arrivare prima nell’aldilà. Ecco così che gli sviluppatori, anzi i Fondatori, hanno contestualmente creato un complicato sistema di “Node points” che saranno usati dopo la morte per comprare le varie cose che potranno servire. Inutile dire che nessuno può essere certo al cento per cento che il paradiso (o i Campi Elisi, o qualunque altro luogo post mortem) esista davvero, visto che non c’è comunicazione; ma nel frattempo la gente continua ad accumulare e scambiarsi punti, perché non si sa mai… eccetto un gruppo di rivoluzionari che sta cercando di hackerare l’oltretomba – in questo caso occorre necessariamente essere un attentatore suicida! = per cancellare tutti i punti. Ecco in breve la cornice di questo libro (Alison Lyke, Forever People, Black Rose Writing 2019, pag. 217, $7, ISBN 9781684332403 (cartaceo), link Amazon), in cui la protagonista Camille riuscirà a fare un viaggio nell’aldilà (ritornando in vita), e scoprire che le cose non sono proprio così come vengono raccontate.
Nell’opera ci sono alcuni thread che si perdono, e il finale è buttato giù un po’ troppo in fretta: ma complessivamente è una lettura molto piacevole per chi ama le storie avventurose con un po’ di “what if”. Almeno a me è piaciuto :-)
Larry Sanger e lo sciopero dai social media
Probabilmente avete letto della proposta di “sciopero dai social network” lanciata da Larry Sanger: sciopero che naturalmente non c’entra nulla con Wikipedia come riesce a scrivere Repubblica. Sanger si definisce “co-fondatore di Wikipedia”. Di per sé la sua autoattribuzione è questionabile, nel senso che probabilmente l’idea di un sito wiki per scrivere definizioni enciclopediche è stata in effetti sua, ma la sua idea non aveva nulla a che fare con i concetti alla base di Wikipedia, cioè qualcosa che si crea senza un controllo da parte degli esperti. Ma tanto nemmeno lo sciopero ha a che fare con Wikipedia, se non in un senso molto collaterale.
Sanger infatti propone il suo sciopero con uno scopo ben preciso, esplicato nella sua Dichiarazione di indipendenza digitale: chiedere una decentralizzazione dei social media, in modo che ciascuno di noi sia in grado di gestire i propri diritti sui propri dati e sulla privacy personale, e che i grandi e piccoli social network siano interoperabili: vale a dire che sia facile scrivere del software che permetta ad essi di “parlare tra di loro” e quindi inviare i contenuti che noi utenti procediamo dall’uno all’altro social senza doverli copiare e quindi dispedere eventuali commenti.
Dal punto di vista degli utenti una soluzione del genere sarebbe ottima: a parte il controllo sui propri dati, sarebbe possibile creare un nuovo social con caratteristiche tecniche migliori senza farlo partire da zero come contenuti, e quindi dandogli una chance di riuscire a entrare nell’arena senza essere schiacciato in partenza. Per dire, nemmeno Google ci è riuscita con la buonanima di Google+… Ma proprio per questa ragione Facebook fa di tutto per rinchiudere i suoi utenti nel suo orticello – occhei, “fazenda” o “latifondo” forse sono termini più corretti – impedendo in ogni modo la condivisione. Tanto per dire, l’anno scorso Facebook ha cambiato le sue API (le specifiche per connettersi da parte di un programma) per impedire di postare automaticamente i tweet e non solo quelli. Chi glielo fa fare a Zuckerberg di tagliare il bel ramo frondoso su cui ormai è piazzato?
Insomma, la proposta di Sanger è bella ma velleitaria. Certo, qualcuno potrebbe ribattere che anche Wikipedia era qualcosa di velleitario che pure è riuscita ad avere un successo planetario: ma c’è una differenza di base. Wikipedia è potuta nascere e crescere perché un piccolo numero di persone ci si è dedicato con tanta passione e cura; ancora adesso i contributori sono una minima parte degli utenti del sito. Uno sciopero dei social media funzionerebbe solo se ci fosse davvero una maggioranza di utenti che non producono contenuti: ma se pensate anche solo ai vostri conoscenti vi accorgerete subito che alla stragrande maggioranza di loro tutti questi ragionamenti non importano un fico secco; tutto quello che vogliono è postare foto di gattyni oppure litigare furiosamente di calcio politica e quant’altro, cosa per cui Facebook funziona più che bene. D’altra parte qualcuno di voi si ricorda ancora di Google Wave, un sistema “federato” di collaborazione remota sotto forma di social network? E pensate che – a parte i miei ventun lettori – qualcuno abbia mai sentito parlare di Diaspora, che pure è vivo o almeno vegeto? (No, Diaspora non lo uso neppure io, tanto per dire :-) )