BikeMi “virtuali”

La grande differenza di un servizio di biciclette condivise come BikeMi rispetto a quelli “free floating” è che la bicicletta deve essere presa e restituita in una stazione e non lasciata dove capita. Dal mio punto di vista è un vantaggio, perché non ti trovi biciclette lasciate in mezzo a un marciapiede; ma a quanto pare per tanta gente non è così. Ecco così che BikeMi ha inventato le stazioni virtuali. Nel progetto pilota sono stati creati tre spazi virtuali davanti ad altrettanti istituti superiori milanesi; le biciclette abilitate al servizio – solo elettriche, e solo un quarto dell’attuale flotta elettrica – potranno essere sbloccate e bloccate con l’app, senza doverle agganciare.

Io capisco che costruire una stazione fisica richiede tempo e soldi, ma mi pare che una soluzione del genere sia destinata al fallimento. Innanzitutto il numero di bici disponibili è piccolo, e costringe ClearChannel a spostarle dove servono. Poi passi via Apulejo che è fuori dall’area coperta, ma le altre due stazioni virtuali sono circondate da stazioni fisiche. Del resto, ieri mattina alle 9:30 ho dato un’occhiata alla mappa e ho scoperto che in nessuna di esse c’era una bicicletta, nonostante questa dovrebbe essere l’ora in cui i supposti utenti sono a scuola e quindi hanno lasciato la bicicletta…

aNobii e i libri in inglese

Io non uso più da un pezzo aNobii come libreria virtuale preferita; mi limito ad aggiungere i commenti ai libri che ho letto, perché magari possono interessare a qualcuno che non ha voglia di leggerli sul mio blog – dove escono prima – o sugli altri siti.

La banale ragione per cui non lo uso è che quello che mi serve non funziona. Ma se scrivi solo commenti, mi direte! Certo. Ma per scrivere un commento il libro deve essere presente. Ora, io spesso leggo libri di nicchia che non sono presenti nella loro base dati, o magari lo sono in un altro formato. Con Goodreads o Librarything non c’è problema: me li aggiungo. Con aNobii occorre che un “librarian” accetti la richiesta che ho inserito. Con i libri in italiano non c’è problema: tempo un giorno o due al massimo li trovo. Quelli in inglese? Una storia completamente diversa. I librarian che trattano questi libri paiono essere uno o due al massimo, a giudicare dai risultati. Il 19 settembre ho fatto una richiesta per questo libro del mio amico ed ex collega Roberto Pieraccini: libro che come vedete è tranquillamente rintracciabile oltre che acquistabile (e che vi consiglio, tra l’altro). A oggi non c’è traccia di quel libro nella base dati di aNobii. Ovviamente se provo a reinserirlo mi viene detto che è già presente nella loro base dati.

E perché non contatto direttamente aNobii, continuerete a dirmi? Perché il problema è evidentemente strutturale, e quindi lo conosceranno benissimo. Ripeto: se volete sapere cosa penso dei libri che leggo, leggete direttamente qui…

Ma Eugenio Scalfari è malato?

Ammetto di non leggere da anni gli editoriali di Scalfari che Repubblica metteva sempre in prima pagina la domenica, probabilmente per qualche clausola secretata. Dopo un po’ non mi divertivo nemmeno più. Ma ieri, sfogliando distrattamente il quotidiano dai miei suoceri, mi sono accorto che la predica scalfariana non era in prima pagina. Ho poi cercato in rete, e mi pare che il suo ultimo articolo risalga al 30 luglio. E sabato è andato in tv il documentario su di lui girato dalle figlie, si è parlato tantisimo di lui ma non lo si è visto. D’accordo, è quasi centenario. Ma sono io che vivo fuori dal mondo oppure c’è un tacito accordo per far finta di nulla?

Quizzino della domenica: Gara scolastica

Elisa, Franca e Gina partecipano alla gara scolastica di primavera. Per ciascuna materia vengono dati A punti alla prima, B punti alla seconda e C punti alla terza, con A, B, C interi positivi distinti (in ordine decrescente, ovvio). Non ci sono mai stati pari merito.
I punteggi finali sono Elisa: 20 punti, Franca: 10 punti, Gina: 9 punti. Se Franca ha vinto la prova di aritmetica, chi è arrivata seconda nella prova di spelling?

[coppa]

(trovate un aiutino sul mio sito, alla pagina http://xmau.com/quizzini/p547.html; la risposta verrà postata lì il prossimo mercoledì. Problema da Futility Closet; immagine da FreeSVG.org)


Storia e filosofia dell’analisi infinitesimale (libro)

copertina Raccolta postuma delle lezioni tenute subito dopo la seconda guerra mondiale, questo libro (Ludovico Geymonat, Storia e filosofia dell’analisi infinitesimale, Bollati Boringhieri 2008, pag. 384, € 25, ISBN 9788833919478) rivela già dal titolo la sua natura duplice: non solo una storia del calcolo infinitesimale, dove tra l’altro Geymonat spinge molto sui predecessori di Newton e Leibniz per mostrare come le idee non nascono mai dal nulla, ma anche una sua filosofia, che credo sia la parte più interessante del testo. Per esempio, tornando a Newton e Leibniz, mostra come i due approcci siano nati in modo completamente diverso (e quindi implicitamente nega il plagio del primo da parte del secondo). La terza parte, anche se ancora con buoni spunti filosofici come quello della differenza tra continuo atomistico e continuo geometrico, tende a essere molto più tecnica. Probabilmente nel 1947-48 occorreva spingere molto sui teoremi legati alla teoria dell’infinito e a quella dell’integrazione, ma mi pare che questa sia la parte più invecchiata del testo. Ad ogni modo, un libro utile a chi ha studiato questi temi all’università, e vuole vederli in modo diverso.

le “raccomandazioni” Microsoft

Mi è capitato di dover usare Microsoft Edge su questo PC (banalmente non avevo voglia di scoprire come togliere il blocco dei popup del sito della banca online su Firefox o Vivaldi). Alla partenza mi è arrivata questa finestra qui. Notate il messaggio obliquo: non chiede se vuoi avere Edge come browser di default, ma ti invita a usare “le impostazioni consigliate”, con tanto di finestrella evidenziata, contro un anodino “non aggiornare”. Ma forse è ancora meglio la schermata che si apre cercando le impostazioni di Windows (10, sono arcaico) e che vedete qui sotto.

Posso comprendere che ti segnali che non sei entrato su OneDrive (in realtà lo sono, ma con l’account aziendale). Già non vedo perché ti mi debba dire che faccio male a non aderire al programma premi di Microsoft (potrò bene non volerlo, no?). Ma la parte che riguarda il browser, con scritto “ripristino raccomandato” dove per ripristino si intende appunto “metti Edge che è tanto bello”, non è un po’ illegale in quanto scritta in modo da confondere l’utente?

Povera Torino

Il manifesto parla dello stallo delle vaccinazioni (archivio) – stallo abbastanza prevedibile, almeno nel breve termine: chi non ha intenzione di vaccinarsi probabilmente cercherà di tirare fino a capodanno sperando che finisca lo stato di emergenza e con esso il green pass. Lo fa però mettendo una foto con didascalia “Milano, fila per i tamponi”. Peccato che la foto sia di Torino. E dire che San Salvario è stato spesso agli onori della cronaca nazionale…

(Ho dato una rapida occhiata al sito Ansa: c’è un’altra foto della farmacia ma la didascalia in questo momento ha un generico “Una coda davanti ad una farmacia © ANSA”)

Fine di #PublicEditor

Anna Masera chiude la rubrica Public Editor sulla Stampa, per l’ottima ragione che va in prepensionamento (buon per lei!). Nel suo ultimo articolo tra le altre cose scrive «confido che La Stampa proporrà altri interlocutori e spazi di dialogo con il suo pubblico.» Permettetemi di dubitarne.

Come spiega Masera, «La “Public Editor” è arrivata nel 2016 quando abbiamo aderito a The Trust Project, un progetto americano per combattere la sfiducia del pubblico nel giornalismo online.» Il problema di base è che i quotidiani continuano a perdere ricavi, sia pubblicitari che di vendite, e si crea un circolo vizioso in cui i giornalisti sono sempre di meno e sono sempre più spinti ad andare sul sensazionalistico per sperare che qualcuno clicchi e mandi du’ spicci all’editore. Ma i lettori più scafati a questo punto hanno sempre meno fiducia nella qualità di quello che leggono, e quindi la fiducia è crollata.

Con Public Editor, spiega ancora Masera, «abbiamo raccolto la sfida di rispondere ai lettori non solo sugli errori, ma su tutte le questioni controverse, a costo di ripeterci perché negli anni si sono riproposte spesso.» Il problema che però io ho visto nelle risposte, anzi più correttamente nelle domande a cui lei rispondeva, è che ci si rivolgeva soprattutto allo stile degli articoli. Quando Masera scrive

Sarebbe ora che l’organizzazione del lavoro nei giornali tenesse conto che i titoli vengono condivisi anche quando gli articoli sono a pagamento, e che quindi hanno una vita propria per tutte quelle persone non abbonate che li commentano senza avere accesso ai testi che completerebbero l’informazione: servono titoli più aderenti alla realtà, meno sensazionalistici. I lettori non apprezzano gli articoli anonimi, vogliono conoscere le fonti (che – sappiatelo – negli articoli senza firma sono quasi sempre agenzie stampa)

ha perfettamente ragione (Sull’ultima parte confesso che negli anni ho imparato a scrivere i comunicati stampa in modo che le agenzie e a cascata i giornali li copincollino…) Però pensateci su un attimo: se da dipendente GEDI lei non ha avuto la possibilità di convincere la proprietà a modificare il modo di pensare di chi costruisce il giornale, perché senza di lei dovrebbero farlo?

Aggiungo un ultimo punto, molto più personale. Masera scrive che c’è «l’esigenza di redazioni più diversificate e inclusive per raccontare meglio la società che si evolve.» Ma secondo me serve anche avere delle redazioni più aperte alla riscrittura degli articoli. Avete mai sentito parlare dell'”effetto Report”? I servizi sembrano sempre molto curati… fino a che non ne capita uno su un tema che noi conosciamo bene, dove ci accorgiamo che fanno errori marchiani. In quel caso c’è chi pensa male ed è convinto che Report faccia giornalismo a tesi. Spesso però possiamo assumere la buona fede: un giornalista non può essere un tuttologo, e può scrivere qualcosa di errato perché non ha avuto la possibilità di capire bene tutti i termini di un problema. E ricordiamoci che la colpa in questi casi è condivisa da chi spiega e chi riporta :-) Ecco: a me piacerebbe una redazione che – a fronte di ri-spiegazioni educate e comprensibili – aggiornasse la versione online dei suoi articoli spiegando cosa c’era di sbagliato in quella originale. Non è una cosa così fuori dal mondo: chi è abituato a leggere la stampa anglosassone si imbatte spesso in articoli che terminano con una nota “in una versione precedente dell’articolo era stato erroneamente detto che…” Da noi è già tanto se possiamo sapere che l’articolo è stato aggiornato. Avremo mai un successore di #publiceditor dove si potranno inviare queste correzioni e vederle inserite negli articoli?