Archivi annuali: 2021

Humanitas e la privacy informatica

La scorsa settimana Jacopo non è stato bene, e a un certo punto ha detto che non sentiva i sapori. Inutile dire che ci siamo lanciati al volo a chiamare la pediatra che altrettanto al volo ha richiesto un tampone. Visto che la richiesta è stata fatta per telefono non siamo andati a fare il tampone all’ASL come la volta precedente ma alla clinica Pio X, che da qualche anno è stata assorbita dalla Humanitas. Beh, venerdì pomeriggio non è stato possibile fare il tampone: non per colpa loro ma perché Jacopo è stato assolutamente impossibile d atenere fermo. (Sì, stava molto meglio). Tornati a casa con il sottoscritto con un diavolo per capello, mi telefonano dalla clinica dicendo che avremmo potuto riprovare sabato mattina, anche se fuori procedura standard.

Sabato torniamo insieme ad Anna e riusciamo finalmente a fare questo tampone. (Ah, tutta la clinica sapeva cosa era successo il giorno prima). Ci danno il foglio per ritirare gli esami il lunedì successivo. (Ma anche se avessimo fatto il tampone venerdì sarebbe stata la stessa cosa). Certo, in teoria si potrebbe accedere online dopo 24 ore… solo che essendo Jacopo minorenne la cosa non è possibile, a differenza di quello che per esempio succede all’ASL. Grande attenzione ai problemi di privacy con i minori, insomma? Beh, non proprio. Ieri mattina mi sono regolarmente presentato alle 8 in punto, ho consegnato il foglio e mi è stato dato il referto. Non ho dovuto mostrare null’altro: né un documento di Jacopo né uno mio. Ecco. Qualcuno mi può spiegare perché online ci sono tutte queste pippe di sicurezza e de visu non c’è proprio nulla?

Difficoltà di traduzione

La vignetta di oggi dei Peanuts vede Snoopy scrivere a macchina “Ma la volpe col suo balzo ha raggiunto il povero Fido”. Lucy legge il testo, commenta “dovrebbe essere il quieto Fido” e Snoopy replica “È venuto il momento di ristabilire la verità storica”.

Chiunque abbia un po’ di conoscenza dell’inglese avrà capito che la frase originale di Snoopy era il classico pangramma “The quick brown fox jumped over the lazy dog”, dove Snoopy ha sostituito “lazy” con “unfortunate”. Com’è andata la traduzione? Beh, la frase di Snoopy forse si poteva accorciare un po’: ma in effetti nella versione emendata da Lucy è anch’essa un pangramma (anche d’autore, perché è presente nella traduzione di Mario Sica di Scautismo per ragazzi.) La voce di Wikipedia riporta anche una versione più breve di Daniele Petruccioli, “Fu questa volpe a ghermir d’un balzo il cane”, ma mancherebbe l’aggettivo da modificare per il cane. Insomma, i due punti fondamentali della battuta (pangramma sbagliato e verità storica snoopyana sul cane) ci sono entrambi. Poi io avrei provato con “Sì, fu la volpe a ghermir d’un balzo il quieto cane” o anche “Fu sta volpe a ghermir d’un balzo il quieto cane”, ma forse esagero…

Ultimo aggiornamento: 2021-05-25 11:45

Quizzino della domenica: Test finale

In uno dei troppi corsi online che sono costretto a seguire in ufficio, il test di apprendimento finale consiste in tre domande, di quelle “Vero o falso?”. Il test è passato se si è risposto a tutte le domande e le risposte sono tutte corrette; alla fine del test viene comunque comunicato quante (non quali, purtroppo…) sono state le risposte corrette. Io naturalmente non ho seguito il corso, perché era noiosissimo; quindi do risposte a caso, tanto posso sempre ritentare il giorno successivo sempre con le stesse domande. Se fossi davvero fortunato, imbroccherei subito tutte e tre le risposte. Ma nel caso peggiore quante volte devo ritentare il test? Ricordate che non basta sapere quali sono le risposte corrette, ma bisogna anche darle. Per esempio, se ci fosse una sola domanda e la sbagliassimo, ci vorrebbe un secondo tentativo per avere l’ok anche se dopo il primo tentativo sappiamo di sicuro in un modo o nell’altro qual è la risposta corretta.



(trovate un aiutino sul mio sito, alla pagina http://xmau.com/quizzini/p520.html; la risposta verrà postata lì il prossimo mercoledì. Problema originale; immagine da FreeSVG)


Ultimo aggiornamento: 2021-05-24 10:17

Universal Language (ebook)

[Disclaimer: Ho ricevuto il libro grazie al programma Early Reviewer di LibraryThing] Indubbiamente questo libro (Tim Major, Universal Language : The Airlocked Room Mystery, NewCon Press 2021, pag. 160, Lst 9,99, ISBN 978-1-912950-85-0) parte bene. A parte gli echi asimoviani, che possono piacere o non piacere, ho molto apprezzato la capacità dell’autore di aggiungere man mano informazioni su Abbey Oma, un metro e novanta di protagonista. Purtroppo però andando avanti nella lettura ho cominciato a perdermi in una trama che per me è sconclusionata. Ci sono personaggi che rimangono per così dire appesi come la nipote della vittima, Hazel Ferrer; addirittura non vengono trovati gli assassini, con Oma che si limita a indicare chi è stato il mandante. Non parliamo poi del titolo, che ogni tanto pare essere la chiave di volta (e forse lo è anche), ma viene lasciato cadere… Secondo me il libro è un’occasione sprecata.

Ah, le traduzioni delle notizie…

Io ricevo la rassegna stampa di Radio3Mondo. Non tanto per il podcast, che non ho mai voglia di ascoltare, quanto per i link alla stampa estera che mi permettono di essere un po’ meno provinciale. Devo però dire che la traduzione dei titoli lascia spesso un po’ a desiderare.

Oggi per esempio uno degli articoli era preso da Le Monde e parlava della distruzione di una libreria palestinese a causa dei bombardamenti israeliani. Magari voi vi chiedereste che diavolo sia un “pilotaggio”: in realtà l’occhiello dell’articolo parlava di “pillonage”, appunto bombardamenti. Ma quello che è balzato subito ai miei occhi è la distruzione – pardon, la “messa in fumo” – di decine di milioni di libri, manco fosse la Library of Congress. In effetti l’articolo parla di “dizaines de milliers”, che anche senza sapere troppo francese è chiaramente “dozzine di migliaia”. (Nota a lato: rendere “dizaines” con “decine” non è un problema, visto che non stiamo parlando di cifre esatte ma ci limitiamo a dare un ordine di grandezza. Confondere migliaia con milioni lo è, anche se una persona che tiene acceso il cervello dovrebbe comunque accorgersi dell’errore).

Non trovate che ci potrebbe essere un po’ più di attenzione, soprattutto in un tempo in cui una passata di Google Translate non la si nega a nessuno? (Pare che gli articoli giornalistici siano tra quelli meglio traducibili dalle intelligenze artificiali, perché usano un linguaggio senza troppi voli pindarici)

Ultimo aggiornamento: 2021-05-21 17:45

I’d Like to Teach the World to Sing (In Perfect Harmony)

fotogramma dallo spot originale del 1971

Chi ha la mia età, e forse anche molti di quelli più giovani di me, si ricorderanno della pubblicità della Coca-Cola con la canzone “Vorrei cantare insieme a voi, in magica armonia…” (per la cronaca, il testo italiano è di Cristiano Minellono, che ha anche scritto testi come Il tempo se ne va e Soli per Celentano, Mamma Maria e Voulez vous danser per i Ricchi e Poveri, Felicità per Al Bano e Romina Power, ma soprattutto lo Zecchino d’Oro 2004). Ma la storia dietro quel brano è ancora più incredibile.

Tutto nasce con un volo intercontinentale dagli USA a Londra che dovette fare scalo in Irlanda, a Shannon, per lo smog che copriva Heathrow. In quel volo c’erano alcuni manager di una società di pubblicità, la McCann Erickson, che aveva tra i suoi clienti la Coca-Cola e che stavano andando in Gran Bretagna per discutere uno spot per la casa di Atlanta: c’era già un’idea di musica, scritta dai britannici Roger Cook e Roger Greenaway, ma mancava ancora il testo. Inutile dire che i passeggeri non erano così contenti di dover passare la notte là in attesa che le condizioni meteo migliorassero, ma dopo qualche ora in molti se ne fecero una ragione e rimasero a chiacchierare amabilmente… con davanti bottigliette di Coke. Bill Backer, con i colleghi Roger Cook e Billy Davis, vide la scena e pensò che poteva venirci fuori un’idea per uno spot: “I’d like to buy the world a Coke”, mi piacerebbe comprare al mondo una Coca.

Il jingle venne finalmente composto e a febbraio 1971 cominciò a essere trasmesso. Il successo fu incredibile: ai DJ veniva chiesto di metterlo in onda neanche fosse l’ultimo hit. Coca-Cola e McCann Erickson decisero allora di girare uno spot, radunando diverse centinaia di giovani di tutte le nazionalità ciascuno con la sua bottiglietta locale di Coke e facendoli cantare in playback il brano. Il video si sarebbe dovuto girare sulle bianche scogliere di Dover. Dopo tre giorni di pioggia continua, si decise di cambiare location e si scelse una località vicino a Roma, a Manziana, reclutando nuove comparse… e piovve anche lì. Alla fine riuscirono a girare le scene, ma si accorsero che i partecipanti avevano un’aria molto fradicia. Il budget di 100.000 dollari fu di gran lunga superato, arrivando a un totale di 250.000 dollari: si girò di nuovo la scena, con “solo” cinquecento comparse, e finalmente si ebbe il risultato finale, con qualche postproduzione in studio. Furono soldi sicuramente ben spesi. Il video terminava con questo testo in sovraimpressione:

On a hilltop in Italy
We assembled young people
From all over the world
To bring you this message
from Coca-Cola Bottlers
All over the world.
It’s the real thing. Coke.

La frase “It’s the real thing” era al tempo lo slogan della Coca-Cola, naturalmente.

Ma la cosa forse ancora più incredibile è che visto il successo del brano si decise di “depubblicizzarlo” e creare un brano musicale vero e proprio, aggiungendo nuovo testo e togliendo i riferimenti alla bevanda. Solo che i New Seekers, che erano la scelta iniziale non erano disponibili, così venne formato un gruppo musicale apposta con musicisti di studio, gruppo che prese il nome “The Hillside Singers” per rimarcare il riferimento allo spot. Dopo un paio di settimane però si riuscì a farla registrare anche ai New Seekers; così uscirono contemporaneamente la versione degli Hillside Singers e quella dei New Seekers che giunse in testa alle classifiche britanniche e toccò il quinto posto in quella Billboard. Niente male per una pubblicità, no?

Stiamo venendo a patti con Brexit

Dopo che a gennaio mi ci è voluto quasi un mese per ricevere un libro spedito da TheBookDepository, quindi dalla Gran Bretagna, stavolta una spedizione fatta il 10 maggio mi è arrivata ieri. Nove giorni era più o meno la media precedente Brexit: forse i giorni erano tipicamente otto, ma non stiamo a sindacare troppo.
Devo però dire che la dichiarazione doganale sulla busta del libro fa un certo qual effetto. (E sì, non mi è chiaro perché non possa arrivare in quattro giorni a tenersi larghi: due di viaggio, uno di smistamento e uno di consegna).

Peanuts: Charlie Brown, Snoopy e il senso della vita (ebook)

Non mi è molto chiara la logica di un libro (Andrew Blauner (ed.), Peanuts : Charlie Brown, Snoopy e il senso della vita [The Peanuts Papers], La nave di Teseo 2021 [2019], pag. 416, € 9,99 (cartaceo: 20,90), ISBN 978-88-9395-595-9, trad. Tiziana Lo Porto e Chiara Baffa) che raccoglie un paio di dozzine di interventi su Schulz e Peanuts che dicono quasi tutte le stesse cose: il periodo d’oro sono stati gli anni ’60, Schulz era depresso e lo si vede chiaramente, Charlie Brown è il perdente che sa di esserlo, e via discorrendo. Salvo giusto gli interventi di Elissa Schappell (“Je suis Sally Brown”) e Jonathan Franzen (“Due pony”) che si sono finalmente allontanati dai soliti triti cliché. L’edizione epub che ho letto io, a parte avere un errore nel titolo (“Peantus”?) ha poi problemi di impaginazione: ogni tanto si apre un capoverso a caso, e vi assicuro che leggere un libro così è snervante. Anche la traduzione di Tiziana Lo Porto e Chiara Baffa non mi pare al top, con frasi tipo «Quando la tua classe aumenta di numero da sedici a ventuno bambine in tutto, la maggior parte delle quali sta buona per dodici anni, non hai scampo.» (in originale «When your entire grade ranges in size from sixteen to twenty-one girls, most of whom stay put for twelve years, no breaks are given.») oppure «Charlie Brown decide che Schroeder è completamente privo di senso dell’umorismo perché non ride a una sua battuta su Händel: “Un musicista chiede a un altro se gli va di suonare il coro dell’Hallelujah, e quello risponde: ‘Certo, lo brahm-avo!’.”» con una nota del traduttore «Reso nell’edizione italiana come Brahms.» Occhei, la traduzione originale italiana era senza senso (l’Alleluja è il brano händeliano eponimo, se cambi compositore rendi incomprensibile la battuta); ma quella NdT non è nemmeno una foglia di fico. Insomma, non ve lo consiglio.