Si dice sempre che la musica è matematica. Ma è proprio vero? In questo libro (Eli Maor, La musica dai numeri : Musica e matematica da Pitagora a Schoenberg [Music by the Numbers], Codice Edizioni 2018 [2018], pag. 207, € 21, ISBN 9788875787707, trad. Daniele Gewurz, link Amazon) Eli Maor prova a dare una risposta vedendo quello che è successo con i matematici che si occuparono di musica, a partire da Pitagora per arrivare a Schönberg (o Schoenberg, come preferì farsi chiamare dopo che ottenne la cittadinanza statunitense). Spero di non fare uno spoiler se vi dico che la risposta è negativa: i matematici hanno trovato tante regole matematiche che i musicisti hanno bellamente ignorato. Non è poi così strano: non tutte le strutture matematiche si applicano allo stesso modo, e soprattutto l’orecchio vuole anche una metastruttura, il che può spiegare perché la musica dodecafonica – che Maor ritiene “locale”, con connessioni temporali limitate – non ha mai preso davvero piede nemmeno tra i musicisti. Ma anche Bach ha avuto un periodo di un secolo di oblio proprio perché “troppo matematico”… insomma bisogna trovare un equilibrio che dipende anche dal tempo. Purtroppo la parte più strettamente musicale è molto meno approfondita: mi sono per esempio stupito della mancanza di un capitolo sui vari temperamenti che sono solo stati accennati (e con l’usuale errore di pensare che il Clavicembalo ben temperato fosse pensato per il temperamento equabile e non per uno dei Werckmeister). Un’ultima nota per chi musicista non è: i si diesis delle pagine 152-154 sono in realtà bemolli.
Archivi annuali: 2019
I terroristi di Christchurch
Il viaggio di nozze con Anna partì da Christchurch. Occhei, non mi ricordo molto della città perché ero fuso dal fuso. Quel poco che ricordo era una cittadina che – nonostante fosse pomposamente denominata la capitale dell’Isola del Sud – era sonnacchiosa. Ma stiamo parlando di una nazione dove ci sono dieci pecore per abitante e in cui un terzo della scarsissima popolazione vive nella conurbazione di Auckland.
Sono passati 15 anni, d’accordo, però leggere della strage terroristica contro due moschee mi fa accaponare la pelle. Non è solo l’odio per “l’altro” che si vede: è proprio la volontà di dimostrare di essere loro la maggioranza, cooptando tutti i “resistenti per la libertà” – a parte il Luca Traini de noantri, nomi come quelli di Sebastiano Venier e Novak Vujošević (della battaglia di Fundina), per non parlare di Carlo Martello (che ritorna dalla battaglia di Poitiers). Non fossero i musulmani sarebbe qualcun altro.
Ultimo aggiornamento: 2019-03-15 11:37
Chi viene a sentirmi stasera?
Questo weekend alla Fabbrica del Vapore a Milano ci sarà Bookpride, la fiera nazionale dell’editoria indipendente. Tra le presentazioni che ci saranno, troverete anche me che stasera alle 19 in sala Melville parlerò di Numeralia. Il valore aggiunto della presentazione è la presenza con me dell’ottimo giocologo Aldo Spinelli, con cui intratterremo i presenti. Non so ancora su quali parti del libro esattamente: è più divertente andare allo sbaraglio. Ma «Having been some days in preparation / A splendid time is guaranteed for all»!
Carnevale della matematica #127: GOTO DropSea
Essendo marzo, si può essere abbastanza sicuri che il Carnevale della matematica si troverà dalle parti di Gianluigi Filippelli. E infatti eccolo qua :-)
Ultimo aggiornamento: 2019-03-14 13:42
Non ci sono più i BSOD di una volta
C’era una volta il Blue Screen of Death, o BSOD per gli amici. Ogni tanto (no, ogni poco) Windows si piantava improvvisamente, e appariva una schemata azzurra con un testo scritto in font monospaziato che indicava che c’era stato un errore, con un codice che era un’accozzaglia di cifre esadecimali secondo me buttate fuori a caso.
Sono passati tanti anni, e Windows non si pianta (quasi) più. La scorsa settimana mi è però successo, ed ecco qua il BSOD 2.0. Caratteri più user friendly, codice di errore quasi comprensibile, persino un QR-Code (che però porta a una pagina generica, non esageriamo): ma il blu è rimasto.
(In compenso, il sistema è poi ripartito da solo)
quando il catrame serve
L’altro giorno, pedalando per via Veglia, ho visto che finalmente hanno coperto le “strisce sbagliate” all’incrocio con via Budua.
Se guardate l’immagine di Google StreetMap, noterete che ci sono due attraversamenti pedonali, uno a sinistra praticamente invisibile e uno a destra. Originariamente c’era solo quello di destra; poi il Comune decise di modificare l’attraversamento, considerando che la maggioranza delle auto gira a destra. Così spostò le strisce a sinistra, rifece l’incrocio e abbassò anche lo scalino del marciapiede per permettere un attraversamento più semplice. Peccato però che le “nuove” strisce siano state fatte con una vernice meno resistente della precedente, quindi gli agenti atmosferici le hanno cancellate e la gente quindi attraversava su quelle vecchie.
Diciamo che ci sono voluti un paio d’anni perché qualcuno trovasse una soluzione…
Ultimo aggiornamento: 2019-03-13 16:50
Boccie
Termino il mio resoconto torinese con questa foto di una in bassorilievo su un palazzo – in via Cigna angolo strada del Fortino – che ai tempi era un bocciodromo, a giudicare dal testo: “GIUOCO BOCCIE”. La U in “giuoco” magari non vi è neppure troppo ignota: per dire, la FIGC è la Federazione Italiana Giuoco Calcio. Ma chi è che ha scritto “boccie” con la I? Non sapeva che in italiano il plurale delle parole in -cia e -gia perde la i se l’ultima sillaba è preceduta da una consonante? Si sono appaltati i lavori di restauro a qualche ditta che ha impiegato – magari anche in nero – qualche extracomunitario?
La risposta naturalmente è molto più banale. Fino a settant’anni fa il plurale di boccia era boccie, perché la regola per il plurale era un’altra. Facciamo un passo indietro. Checché ci insegnino a scuola, l’italiano non si legge come si scrive, anche se rispetto a lingue come l’inglese e il francese (ma non il tedesco o lo sloveno, per esempio) siamo messi molto meglio. Anche tralasciando l’impossibilità di sapere dove va l’accento tonico, ci sono alcuni grafemi che hanno un significato contestuale: per esempio la i nel gruppo cia/gia serve per indicare che la c si deve pronunciare dolce e non dura. Ma al plurale, visto che la c è seguita da una e, si pronuncia dolce in ogni caso. Dunque, la si deve tenere oppure no? La risposta era: se la i era presente già nella forma latina della parola allora al plurale restava, mentre se non c’era allora non la si metteva. Così provincia, -ae in italiano faceva “provincie”, come nella Cariplo che era la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde; la ciliegia, che era ceresa, -ae, faceva “ciliege” come nel libro postumo di Oriana Fallaci Un cappello pieno di ciliege (secondo me in Rizzoli temevano che il fantasma della scrittrice toscana sarebbe tornato a tormentarli se avessero osato regolarizzare il plurale), e la bottia, -ae che è la probabile etimologia di boccia lasciava la i al plurale. Fu il grande linguista Bruno Migliorini che nel 1949 propose l’attuale regola per il plurale, come raccontato nel sito della Crusca, partendo dalla considerazione che non possiamo dire che una regola per una lingua (l’italiano) dipende da un’altra lingua (il latino). Ci furono parecchie discussioni, ma dopo una quindicina d’anni la nuova regola venne accettata più o meno da tutti, con l’eccezione immagino della Fallaci.
Detto tra noi, questo è un caso davvero eccezionale per l’italiano: a differenza per esempio dei francesi o peggio ancora dei tedeschi, che alla fine del secolo scorso hanno codificato per legge la riforma dell’ortografia della loro lingua, in Italia non c’è nessuno che abbia un’autorità prescrittiva per la nostra lingua, e le regole sono stabilite dall’uso. Abbiamo così il pronome “lei” che da solo oggetto è anche diventato soggetto soppiantando “ella”; prima o poi scriveremo (purtroppo) “qual’è” e la forma “qual è” sarà marcata come errore, e non si riesce a convincere la gente che è molto più logivo scrivere “sé stesso” con l’accento. Il tutto senza nemmeno considerare gli scempi da autocompletamento che stanno davvero rovinando l’ortografia. Morale: non facciamo (troppo) i grammarnazi, perché non abbiamo agenti di polizia lessicale da chiamare in nostro aiuto.
Tanto era obsoleto
È passato giusto un anno da quando scrissi questo post sul sito “redditodicittadinanza2018.it”, apparso dopo la vittoria dei pentastellati alle ultime elezioni. Oggi scopro su Facebook che il sito è “sotto sequestro preventivo”.
Eppure non riesco proprio a capire come qualcuno possa cascarci. C’è scritto nel nome che è per il reddito di cittadinanza 2018 e ora siamo nel 2019…
Ultimo aggiornamento: 2019-03-12 12:54