Stefano Cucchi

In questi giorni Repubblica sta facendo una serrata campagna a proposito del caso Cucchi contro tutti i depistaggi da parte degli alti gradi dei Carabinieri. È una scelta molto marcata, considerato come l’opinione pubblica si pone rispetto a quanto è successo allora: il giudizio tipico che sento in giro è “tanto quello era un drogato, perché ve lo siete preso così a cuore?”… il che poi non è tanto diverso dal grande plauso per la nuova legge sulla legittima difesa che sta per essere promulgata, e con la quale io comune cittadino rischierò di più perché io non terrò certo armi in casa, ma chi venisse a rubare a questo punto sì perché tanto non ci perderebbe nulla.

Il punto naturalmente non è la colpevolezza o meno di Cucchi, quanto i fatti che l’habeas corpus sarebbe un principio che esiste da secoli, che la pena deve essere proporzionata alla gravità del crimine e che le forze dell’ordine devono essere al servizio dei cittadini. Evidentemente tutto questo non è più di moda.

Suicidio assistito: qualcuno mi spiega?

Per chiarire subito le cose: in questo post non entro nel merito dell’azione di Marco Cappato che portò DJ Fabo in Svizzera in modo che potesse accedere al suicidio assistito: parlo della sentenza di ieri che dà undici mesi al Parlamento per promulgare una legge, perché «l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti».

È vero che io non sono un costituzionalista, ma non sono riuscito a capire la logica. L’articolo 580 del Codice penale non punisce solo chi istiga al suicidio, ma anche chi «ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione». Quello che avevo capito è che i giudici di Milano avevano assolto Cappato (leggasi, la sua azione non era un’agevolazione al suicidio) ma allo stesso tempo avevano sollevato un dubbio di incostituzionalità sulla legge. Ora pare che la Consulta dica “in effetti l’articolo così com’è scritto funziona male, per favore aggiustatelo in fretta”. Ma cosa succede se il Parlamento non aggiusterà (in modo costituzionalmente corretto)? Per quello che capisco io, si sarà perso un anno e saremo punto e daccapo. A questo punto non valeva la pena di esplicitare quali erano le parti non costituzionali?

Roberto Renzi

No, non era parente di Matteo, almeno a quanto mi consta. Renzi fu un fumettista che a me era noto non tanto per Akim (mai sentito…) quanto per Tiramolla. Quando ero un bimbetto e non andavo ancora a scuola, mio papà mi portava pacchi di fumetti, tra cui quelli delle edizioni Alpe. In questi, oltre a Cucciolo e Beppe che sono praticamente dei cloni dei disneyani Topolino e Pippo, c’era questo strano personaggio “figlio del caucciù e della colla” che poteva allungarsi e piegarsi a piacere. Bene: Tiramolla nasce dalla fervida mente di Renzi e mostra quella tendenza all’assurdo che fu una cifra stilistica di molti albi a fumetti degli anni ’50 e dei primi anni ’60: non credo che sia un caso che tra le nove storie di Topolino sceneggiate da Renzi quasi la metà riguardasse Eta Beta.
Purtroppo questi fumettisti “minori” non hanno la notorietà che si meriterebbero…

qualità dell’aria

Nelle giornate in cui si discute se bloccare o no i diesel Euro4 a causa della qualità dell’aria (e nelle quali mi trovo più traffico del solito, tra l’altro) scopriamo che Eataly ha pagato un sofisticatissimo sistema di filtraggio dell’aria… per il Cenacolo leonardesco. Non so voi, ma a me viene da pensare che di esseri umani ce ne sono tanti e quindi possiamo fare a meno di qualcuno di loro, mentre di Cenacolo ce n’è uno solo…

I blocchi su Facebook

Qualche settimana fa ho scoperto per caso (in uno dei gruppi che frequento c’era indicato un suo commento che non riuscivo a trovare) che una persona mi ha bloccato su Facebook. Ah: ricordo che su Facebook conosco personalmente i miei “amici”. Nel suo caso, tanto per dire, ho i suoi numeri di telefono fisso e mobile, anche se a questo punto presumo non mi risponderebbe: questo per mettere le cose nella giusta prospettiva. Visto che non ho avuto nessun sentore della cosa, immagino che il blocco sia dovuto al fatto che io abbia scritto (da me: non frequentavo la sua bacheca) qualcosa che non avrei dovuto scrivere. Ricordo però che in passato questa persona si era anche messa a separare in varie liste i suoi contatti FB e poi selezionava la lista ogni volta che scriveva qualcosa: magari ha deciso di fare un passo ancora oltre e bloccare coloro con i quali non aveva a che fare per lavoro. In ogni caso è una sua scelta.

Quello che trovo più interessante, al di là del singolo caso, è la teoria generale dietro ai blocchi. Da un lato ci sono le “sospensioni a tempo” comminate da Facebook se mostri un capezzolo femminile oppure scrivi “negri” o ancora finisci bullizzato da un gruppone di persone che si coalizzano per segnalarti. (Ho sempre pensato che un sistema più intelligente, se gli umani annullano la cancellazione automatica, dovrebbe pesare di meno le successive segnalazioni di quelle persone: ma non credo che a Zuckerberg interessino queste minuzie). Ma ci sono sempre più possibilità per non avere a che fare con qualcuno. Il blocco dal mio punto di vista è una misura estrema: se c’è qualcuno che continua a romperci le palle commentando sulla nostra bacheca e scrivendo idiozie se non peggio, allora gli si chiude la porta in faccia. Ma io sarò stato fortunato, e non mi sono mai capitati casi come questi. Ci sono però alcune persone che riempiono la loro bacheca di roba politica, scopiazzata o no, che alla lunga mi hanno stufato. (Per la cronaca, queste persone che non leggo più sono simpatizzanti di partiti diversi; è proprio l’essere fan sfegatati e acritici che mi infastidisce). In questi casi ho trovato molto più semplice non seguirli più: continuano a essere nei miei contatti, possono leggere e rispondere ai miei post – qualcuno di loro lo fa anche – ma io non mi trovo davanti quello che scrivono. È nascondere la testa nella sabbia? Forse. Ma tanto mi passa lo stesso davanti tanta roba fuori dalla mia bolla. Quello che è sicuro è che vivo molto più sereno.

E voi come fate su Facebook?

Belle cose

Mercoledì scorso i quotidiani locali veneti, a partire dall’Arena, hanno scritto che “il sindaco di Terrazzo [un comune del veronese] era il serial killer Gianfranco Stevanin”. Il tutto perché “Google dice che lo dice Wikipedia”. Come l’ho saputo? Perché un giornalista del Corriere del Veneto ci ha scritto chiedendo maggiori informazioni, visto che sulla pagina di Wikipedia non c’era traccia del nome. Io gli ho risposto spiegandogli cosa è probabilmente successo: a metà luglio qualche buontempone aveva cambiato il nome, il primo settembre era stato rimesso a posto, ma nel frattempo i crawler di Google erano passati e avevano preso il nome sbagliato. Il giorno dopo il Corriere del Veneto riporta i fatti con la mia spiegazione.

Tutto questo sarebbe assolutamente normale nel mondo anglosassone, ma mi lascia (favorevolmente!) stupito qui da noi. Grazie ad Alessio Corazza (che mi aveva scritto per chiedere informazioni) e a Matteo Sorio (che ha firmato l’articolo) per ricordarci come dovrebbe funzionare il giornalismo!

Quizzino della domenica: chi sei?

Nell’isola dei Valenti e dei Furfanti, i membri della tribù dei valenti dicono sempre la verità mentre quelli della tribù dei furfanti mentono sempre: però non è possibile distinguere a vista un valente da un furfante. Un giorno mi trovavo nell’isola e incontrai un indigeno: sapevo che il suo nome era o Paolo o Saulo, ma non mi ricordavo quale dei due fosse. Gli chiesi così come si chiamasse, e mi rispose “Saulo”.
Con solo questo dato non mi è possibile essere certo di quale sia la tribù di appartenenza del mio interlocutore; però posso presumerlo con buona probabilità. Qual è quasi certamente la sua tribù?

chi è?

(un aiutino lo trovate sul mio sito, alla pagina http://xmau.com/quizzini/p345.html; la risposta verrà postata lì il prossimo mercoledì. Problema di Raymond Smullyan, citato da Futility Closet: immagine di GDJ, da OpenClipArt)

_Algoritmi di libertà_ (libro)

La tesi che Michele Mezza esprime in questo suo libro (Michele Mezza, Algoritmi di libertà : La potenza del calcolo tra dominio e conflitto, Donzelli 2018, pag. 277, € 18, ISBN 9788868437619, link Amazon) si può riassumere così: mentre prima c’era un controllo umano sulle notizie che ci arrivavano, ora gli Over-The-Top (OTT) hanno un potere molto maggiore, perché possono permettersi il lusso di preparare notizie personalizzate per ciascuno di noi, e quindi spingerci verso quello che loro vogliono semplicemente usando la potenza degli algoritmi. Concordo con questa tesi e trovo interessante, anche se non del tutto convincente, l’ipotesi che si può far nascere questa deriva dalle contestazioni giovanili americane negli anni ’60 che dalla politica si sono spostate alla tecnologia, con Richard Stallman in prima fila. Non credo però che la soluzione ipotizzata da Mezza, vale a dire obbligare gli OTT a rendere pubblici i loro algoritmi, possa funzionare. Tralasciamo per il momento le implicazioni pratiche per qualcosa che è l’equivalente logico di chiedere alla Coca-Cola di divulgare la sua formula. Limitandoci alla parte matematica sulla quale io sono più ferrato vedo due ordini di problemi. Il primo è che l’affermazione di Mezza secondo la quale un algoritmo è puramente deterministico e quindi arriva sempre allo stesso risultato è monca, perché non tiene conto che anche i dati di partenza devono essere identici: gli algoritmi moderni come quelli genetici, per esempio, introducono appositamente un elemento casuale per arrivare a una risposta volutamente impredicibile a priori. Il secondo è un corollario: gli algoritmi attuali sono così intricati che nemmeno gli sviluppatori sanno come funzionano, e quindi anche sapere come sono fatti non porta conoscenza. Insomma, leggere il libro è utile e i sintomi indicati sono corretti, ma la cura non funzionerebbe. Due ultime note: è carina l’idea di mettere a margine delle pagine i QRCode per gli articoli e i siti citati nel testo: un bell’esempio di multimedialità. Purtroppo però la fretta di stampare il testo (è stato completato dopo le elezioni di marzo…) è andata a scapito di un’ultima rilettura per evitare ripetizioni: per fare un esempio, le prime righe di pagina 156 e le ultime di pagina 157 sono praticamente identiche.