Martinho Lutero

Ieri a San Paolo è morto per un attacco cardiaco il maestro Martinho Lutero Galati de Oliveira. Da alcuni giorni era ricoverato in coma indotto per una polmonite, non è chiaro se dovuta al CoViD-2019. Io ebbi a che fare con Martinho per la prima volta nel 2008, quando decise che il coro che dirigeva in Italia (Cantosospeso) non gli bastava e pensò di fare un progetto davvero grande: eseguire la Nona di Beethoven con un coro di più di cento persone (e un’orchestra adeguata). Mi presentai un po’ perché quello di cantare la Nona era sempre stato uno dei miei sogni e un po’ perché mi incuriosiva vedere una persona che si chiamava Martin Lutero. Ho cantato la Nona e ho anche cantato altre opere con il Forum Corale Europeo – il nome ufficiale del progetto – quando i brani mi ispiravano, e ho così conosciuto abbastanza bene Martinho.

Una premessa. Io non ho una voce eccezionale, e soprattutto sono un pigro che non studia mai per conto suo. Però so leggere la musica e sono abbastanza bravo a seguire le voci che si rincorrono, quindi non ho grossi problemi a cantare in un coro. Ma con Martinho questo non bastava certo: i suoi cazziatoni “Alza la testa!” erano leggendari. Il fatto è che conoscere “le notine”, come amava dire, era solo il punto di partenza. Quello che poi lui voleva giustamente da noi era l’interpretazione. A parte le battute che facevamo sulla velocità della sua esecuzione, le prove erano sfiancanti ma ti accorgevi che riusciva a farci ottenere dei risultati davvero incredibili. E poi c’era tutto il contorno, quando partiva – non necessariamente per la tangente, faceva anche seminari appositi – a raccontare di cosa stava dietro i pezzi che stavamo provando. Con la musica succede come con la letteratura: puoi apprezzare qualcosa “di pancia”, ma se lo vuoi fare davvero tuo devi avere un’idea di tutto quello che stava intorno alla produzione. Se poi devi cantare o suonare, e non semplicemente ascoltare, tutto questo diventa ancora più importante. Bene, Martinho aveva una cultura eccezionale, e io personalmente pendevo dalle sue labbra quando si metteva a fare queste divagazioni.

Dopo che a dicembre avevamo cantato la parte più “natalizia” del Messia di Händel, Martinho aveva lanciato la proposta di fare la versione completa per la fine di quest’anno, e prima dell’isolamento stavamo già cominciando a provare i pezzi in più. Non so se riusciremo comunque a farlo, non foss’altro che per ricordarlo nella musica; ma non sarà sicuramente la stessa cosa.

Perché scrivo?

L’altro giorno, in un commento a un post in cui mi lamentavo perché sto solo scrivendo del coronavirus, Lele mi ha fatto queste domande.

È obbligatorio parlare di qualcosa?
Parlaci dei motivi per cui tutti i giorni devi scrivere qualcosa, vabbé che nulla dies sine linea, ma secondo te tutto ciò che scrivi (qui) ha un senso, un valore per essere condiviso con chiunque acceda alla rete?
Perché lo fai?
Perché (qui) scrivi ogni giorno? Perché scrivi ad ogni costo?

Come gli ho scritto, sono “domande intelligenti”, nel senso che non c’è una risposta facile e ho dovuto pensarci un po’ su per trovare una risposta che abbia senso e non sia buttata lì tanto per dire qualcosa. Provo quindi a esprimere il mio pensiero.

No, non è obbligatorio parlare di qualcosa. Però credo che la domanda corretta sia un’altra: non è obbligatorio dovere parlare su qualunque cosa. Come dicevo l’altro giorno, io ho tanti interessi diversi ma non è che sia davvero un tuttologo, né ci tengo ad esserlo. Il punto è che però a me piace scrivere. Meglio: mi piace mettere nero su bianco i miei pensieri. Sì, mi piace anche raccontare le cose dal vivo: ma scriverle mi aiuta a focalizzarmi e quindi comprendere meglio cosa penso. Tante volte comincio a scrivere qualcosa e dopo una decina di righe mi accorgo che quello che penso è cambiato: lo sforzo di riordinare i pensieri mi ha fatto vedere le cose in un altro modo, e mi sono accorto che l’idea originale faceva acqua da tutte le parti.

Questo blog è ormai maggiorenne: non ci ho sempre scritto ogni giorno, ma quasi. Uno dei motivi per cui lo faccio è perché penso che comunque tra tutto quello che posto ci sia anche qualcosa di utile per qualcuno che passa di qui per caso. In effetti, prima del blog c’era già il sito, il che significa che in realtà è un quarto di secolo abbondante che vi ammorbo. Non credo di essere chissà quale maître-à-penser, ma ho la presunzione di scrivere di solito vedendo le cose da un punto di vista diverso da quanto faccia la maggior parte della gente, per tutta una serie di ragioni che vanno dal mio essere matematico (non praticante, ma la forma mentis mi è rimasta) agli insegnanti che ho avuto. Però, come dicevo, lo faccio soprattutto per me. Non credo affatto che quello che scrivo sia un valore per chiunque acceda alla rete: ma se ci avete fatto caso, io non mi faccio molta pubblicità. In pratica, i miei famosi ventun lettori sono persone che in genere sono capitate per caso e hanno deciso che quello che scrivevo poteva interessare loro. Scrivere regolarmente è una scelta per non perdere l’allenamento: tanto qualcosa di interessante dal mio punto di vista lo trovo sempre, e al più il vero problema è quando ci sono troppe cose tutte assieme :-)

National Emergency Library

Probabilmente conoscete il sito archive.org per il Web Archive, dove trovate le pagine web amorevolmente salvate per ovviare a quando il sito corrispondente non si trova più… o magari ha surrettiziamente modificato la versione. Ma il sito contiene anche una biblioteca virtuale, composta da libri scansionati (vecchi e nuovi) che possono essere presi in prestito digitale per 14 giorni, protetti dal DRM Adobe. Il prestito tipicamente è fatto con la logica “una persona per volta”, quindi può capitare di finire nella lista d’attesa per un’opera molto richiesta. Bene: in questi giorni, per cercare di ovviare al problema delle librerie chiuse, gli amici dell’Internet Archive hanno lanciato l’iniziativa National Emergency Library, che sospende le liste d’attesa per oltre 1,4 milioni di libri nei loro archivi (oltre naturalmente ai 2,5 milioni di libri in pubblico dominio).

La grande maggioranza dei testi è in inglese, ma ce ne sono anche molti in italiano: magari tra quelli potete trovare qualcosa che vi interessi! (Caveat: molti affermano che Internet Archive non ha la possibilità legale di mettere a disposizione quelle scansioni, perché i detentori dei diritti non hanno mai accordato loro il permesso per la distribuzione digitale ma solo per il prestito cartaceo. Non dite che non ve l’avevo detto)

Amazon non sta vendendo libri

Ieri stavo pubblicando su Amazon alcune delle mie vecchie recensioni di libri – sono indietro di tre o quattro mesi… – e mi sono accorto di una cosa: non è possibile ordinare libri (cartacei). Solo gli ebook sono ovviamente scaricabili. Il tutto immagino legato alla frasetta «Stiamo dando la priorità ai prodotti più richiesti e alcuni articoli potrebbero essere temporaneamente non disponibili» che campeggia sull’home page del sito. Nel caso qualcuno si chiedesse se il problema sia banalmente legato alla chiusura delle fabbriche che stampano libri, la risposta è no: anche i libri in print-on-demand, che sono stampati per esempio anche in Polonia, non sono disponibili. Alcuni libri possono in effetti essere comprati in formato cartaceo, ma solo perché sono venduti e spediti da terze parti.

Io sono un cliente Amazon (USA) dallo scorso millennio. Anche se oramai non è più vero, per me Amazon significa “comprare libri”. Quello che è peggio è che – vista la quantità di lettori che abbiamo nel Bel Paese – la probabilità di rallentare le altre spedizioni per dover mandare libri mi sembra davvero infima. E allora perché?

Il coronavirus ci assorbe

C’è una cosa che forse non appare così immediata riguardo a quanto sta capitando queste settimane. Se scorrete gli ultimi miei post, vedrete che – a parte le recensioni di libri del sabato e i quizzini della domenica – sono praticamente tutti su temi legati al coronavirus. Lo stesso per le mie vignette che non fanno ridere: le eccezioni sono il ricordo di due morti per altre cause…

Il fatto è che io scrivo delle cose che leggo oppure che vedo in giro. In giro non ci posso andare, e i media parlano solo della pandemia: che altro posso fare? Beh, non avete idea di quanto questa cosa mi scocci. A me piace scrivere delle cose più disparate; questo appiattirmi su un tema mi intristisce ancora più della forzata impossibilità di uscire.

A questo punto lancio la palla ai miei ventun lettori, o almeno tra quelli di loro che mi conoscono abbastanza. Di che cosa vi piacerebbe che io vi parlassi? Magari mi viene voglia di scrviere qualcosa di diverso :-)

Dopo l’inno di Mameli


È l’ora delle bandiere italiane alla finestra. (La foto l’ho scattata venerdì mattina, ma sono pigro e la posto solo ora)

Grandi comunicatori aziendali

Ho scoperto solo ieri il motivo per cui i supermercati Coop avrebbero chiuso la domenica. Cito:

Secondo i vertici Coop si tratta di «una misura doverosa» perché «in questo modo contribuiamo a limitare le presenze per strada diluendo gli acquisti delle famiglie durante i giorni feriali della settimana e impedendone la concentrazione durante la domenica»

Siamo tutti chiusi in casa tutta la settimana. Quale può essere stato il pensiero che ha portato la direzione comunicazione di Coop a pensare che la gente pertanto uscirebbe la domenica per andare a fare la spesa? (il tutto senza considerare che minori sono gli orari di apertura maggiore sarà la concentrazione, ovvio). E ancora:

nello stesso tempo «veniamo incontro alle necessità dei colleghi che operano nei punti vendita e che tanto stanno facendo per garantire un servizio essenziale alle persone; sarà utile per avere una pausa in più in grado di attenuare la tensione delle scorse settimane.

State cercando di dirci che i dipendenti in questo periodo devono lavorare sette giorni su sette? Oppure state cercando di dirci che li mettete in ferie forzate “per avere una pausa in più”? Se non riescono nemmeno a inventarsi una scusa come “Sfrutteremo la domenica per un’ulteriore sanitizzazione dei supermercati”, sono messi davvero male…

Come non detto

Dieci giorni fa avevo apprezzato il discorso di Giuseppe Conte. Purtroppo sono stato troppo ottimista: a quanto pare Casalino è tornato in auge. Abbiamo una comunicazione fatta via diretta Facebook, come Trump che fa le comunicazioni via Twitter. Una stretta non meglio definita, visto che non esiste ancora a questo momento la lista di quali produzioni saranno permesse e quali no, ma solo elenchi ufficiosi: e qua credo che il motivo sia la fila di delegazioni industriali che spinge per far considerare essenziali i loro prodotti; non per nulla il blocco partirà domani. L’unica cosa che sembra a prima vista diversa da quello che c’era in precedenza è il blocco delle scommesse online, il che è un segno preoccupante (perché vuol dire che la gente continuava a perdere soldi in un momento in cui non ce n’è bisogno).

Che avrei fatto io al posto di Conte? Beh, innanzitutto io non ci sono, e in secondo luogo non ho la possibilità di chiedere consiglio agli esperti. La mia idea naif sarebbe stata dire la scorsa settimana “tra sette giorni chiudiamo tutto, tranne le filiere per cui le associazioni di settore mi mostreranno che i loro prodotti sono necessari. Inoltre anche in quei settori occorrerà bloccare i prodotti non necessari e convertire nel caso la produzione, oltre che naturalmente applicare il distanziamento sociale”. Esempio banale, scritto dal fratello di un mio amico: «Uno dei consumabili venduti dalla mia azienda è un rotolo di tessuto filtrante usato nelle macchine utensili. Il caso vuole che lo stesso tessuto filtrante venga utilizzato per produrre le mascherine, più di un’azienda in queste settimane ci ha ordinato quei rotoli per produrle. Da domani la mia azienda chiude e alcuni produttori di mascherine telefoneranno in cerca del tessuto e nessuno risponderà.» Esempio meno banale: le telecomunicazioni sono sicuramente un asset strategico. Il mio lavoro nelle tlc non è così strategico, anche se recentemente siamo diventati “operativi”, ma tanto lo posso fare da casa e quindi il problema non si pone. Ma i call center outbound, cioè quelli che ci chiamano a tutte l’ore (gli inbound sono quelli che noi chiamiamo quando qualcosa non va), di strategico non hanno nulla. Alla fine sarebbe sempre il governo ad avere l’ultima parola, ma almeno ci sarebbe un’assunzione di responsabilità e non il solito scaricabarile.

Ripeto: è possibilissimo che la mia idea abbia buchi grossi come una casa. Ma come dicevo io non sono al comando (per fortuna) e non ho la possibilità di chiedere a chi potrebbe saperne più di me. Conte ha entrambe le possibilità: se non le usa è un problema suo. (Per quanto riguarda Fontana, lì è un semplice calcolo politico)