Servitù mentale

Ivana Bartoletti, Technical Director per la privacy di Deloitte, autrice del libro appena uscito An Artificial Revolution: On Power, Politics and AI (di cui non lascio volontariamente un link), intervistata su La lettura del 31 maggio, alla domanda di Luigi Ippolito “Ma non è un caso che l’assistente virtuale sia sempre una donna…” risponde come indicato nel riquadro qui sopra:

Quella rappresentata da Alexa è una forma di servitù digitale: lei non è lì per contraddirti, non può ribattere, può solo eseguire i comandi. Ormai anche i bambini le impartiscono ordini. E il motivo è che a programmarla sono i maschi.

A onor del vero, nel resto dell’intervista le sue affermazioni sono più condivisibili, e tra l’altro a un certo punto Bartoletti contraddice sé stessa, notando come anche se le programmatrici aumentassero di numero rimarrebbe il problema degli amministratori delegati maschi. (E in effetti mi piacerebbe sapere quali dati ha sui programmatori di Alexa, visto che lei stessa nota come in India per esempio ci sono molte più donne che uomini a programmare). Ma restiamo su quella frase. Potremmo chiederci cosa succederebbe se fossero state le donne a programmare Alexa. Le capiterebbe di rispondere “No, ho mal di testa”? O magari “Pensi sempre a te stesso e mai a me”? O ancora “Non c’è niente che non va”? Oppure, se almeno noi vogliamo lasciare da parte gli stereotipi sessisti e rimanere sul pezzo, cioè sul ruolo dell’intelligenza artificiale, si potrebbe comportare come gli ascensori della Società Cibernetica Sirio, che poiché funzionano grazie alla “percezione temporale defocalizzata” che permette loro di sapere in anticipo quando stai arrivando davanti alle loro porte e trovarsi lì, «hanno sviluppato un forte senso di frustrazione causato dalla consapevolezza di doversi limitare ad andare su e giù, giù e su. Così, come forma di protesta esistenziale, hanno provato per breve tempo ad avanzare la proposta di uno spostamento in senso laterale, poi hanno preteso di avere parte nella decisione di quale piano scegliere, e infine, delusi, si sono rifugiati in cantina a smaltire la depressione.»?[1]

Seriamente. A parte che c’è chi fa notare come la scelta di una voce femminile per questi assistenti sia legata a strategie di marketing – ma magari anche i capi del marketing sono maschi – e che ormai buona parte di essi danno la possibilità di scegliere tra una voce femminile e una maschile, il punto è un altro. Io non sono riuscito a capire se secondo Bartoletti un bambino assocerebbe pavlovianamente un “obbediente servo” al mondo femminile, solo perché la voce dell’assistente è femminile – e qui evito di commentare – oppure il problema è quello della “servitù digitale” degli assistenti. Io non sopporto gli assistenti vocali. Forse è perché qualunque cosa sia stata inventata dopo che abbiamo compiuto trentacinque anni va contro l’ordine naturale delle cose,[2] ma a dire il vero avevo trentott’anni quando fu inventata Wikipedia. Non li sopporto perché non vedo come mi farebbero risparmiare tempo; se quello che mi serve è banale lo trovo comunque all’istante, se è complesso probabilmente non troveranno la risposta che mi interessa. Ma non riesco davvero a comprendere perché mai dovrebbero contraddirmi o ribattere. Siamo forse arrivati al Movimento Per La Liberazione Di Automi E Intelligenze Artificiali? Il prossimo passo sarà chiedere che quando digito una ricerca su Google o su DuckDuckGo mi possa ritornare la risposta “e perché vuoi saperlo”? Insomma, mi sa che Bartoletti oltre a tante idee abbia anche parecchi pregiudizi inconsci, il che non mi fa certo venire voglia di leggere quello che ha scritto. (Con i pregiudizi consci il problema è minore, proprio perché il lettore li può conoscere in anticipo e tarare la sua lettura).

[1] Per chi non avesse colto, la citazione è da Ristorante al termine dell’Universo di Douglas Adams, nella traduzione di Laura Serra.
[2] Anche questa è una citazione di Douglas Adams, sempre tradotta da Laura Serra, ma stavolta da Il salmone del dubbio.

Ho ripreso la palestra

Passato il primo giugno, anche in Lombardia è possibile andare in palestra. I gemelli hanno cominciato subito, io lunedì sono passato a farmi il certificato ludico-motorio e ieri sono andato alla mia solita palestra per reiscrivermi (pagando il 10% in più… ma bisogna dire che a chi era abbonato non conteggeranno i tre mesi di chiusura).

Disponibile un armadietto su tre, agli altri hanno direttamente tolto le chiavi. Il mio orario prandiale non è mai stato molto gettonato, ma quando sono arrivato in sala pesi a parte l’istruttore che se ne stava bello chiuso c’erano tre persone – due ragazze e uno che stava telefonando con però la mascherina addosso; se ne sono andati tutti e sono rimasto per un po’ da solo, tranne negli ultimi cinque minuti quando sono arrivate altre tre persone. Diciamo che il distanziamento c’era :-)

Poi è inutile dire che pur essendo andato giù leggero oggi sono tutto un dolore e domani non mi muoverò, ma quello è ben noto a chiunque faccia attività fisica…

Repubblica Italiana contro Project Gutenberg: un case study

Questa storia comincia a metà aprile, con la FIEG che chiede all’AGCOM di chiudere Telegram perché è il mezzo con cui si diffondono illegalmente i quotidiani italiani. Niente da eccepire sulla richiesta di bloccare la diffusione illegale; potremmo chiederci perché scrivere titoloni sui giornali e non andare direttamente per vie legali, ma in effetti per loro il costo marginale è nullo; meno chiaro il rivolgersi all’AGCOM e non direttamente a un giudice.

Il giudice però alla fine a quanto pare è stato chiamato in causa da qualcuno: così ha sguinzagliato la Guardia di Finanza, ha aspettato i loro risultati e a metà maggio ha disposto quell’ossimoro legale che va sotto il nome di “sequestro preventivo mediante ‘oscuramento'”, come da articolo 321 del codice di procedura penale. L’oscuramento è stato chiesto nei confronti di una decina di canali Telegram e già che c’era di un paio di dozzine di siti web, che “in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in violazione dell’art. 16 L.633/1941, a fine di lucro (costituito dalla cessione dei dati personali a fine di pubblicità), distribuivano, trasmettevano e diffondevano in formato pdf, riviste, giornali e libri (beni tutelati dal diritto d’autore), dopo aver acquisito illecitamente numerosissimi files informatici con il relativo contenuto, comunicandoli al pubblico, immettendoli in un sistema di reti telematiche”. (Immagino abbiano lo stampino per questo testo. Riconosco solo il “comunicandoli al pubblico” che nasce con la direttiva copyright InfoSoc del 2001, quella che sarà sostituita dalla nuova direttiva che sta per essere recepita anche da noi.

[disegno criminoso]

Una grande vittoria contro la pirateria? Forse. Però qualcuno si è accorto che tra i siti warez più o meno noti c’era anche quello di quello di Project Gutenberg. Alla maggior parte di voi il nome non dirà nulla, ma per i vecchietti come me Project Gutenberg (d’ora in poi PG) ha un significato molto particolare. È stato infatti il primo progetto al mondo per rendere fruibili in modo digitale le opere nel pubblico dominio (o per cui gli autori hanno dato specifica licenza, ma questo non c’entra nella nostra storia). Hanno cominciato mezzo secolo fa, nel 1971, quando Internet non esisteva ancora e i computer praticamente nemmeno: si erano insomma portati molto avanti col lavoro. Io credo di aver saputo della loro esistenza a fine anni ’80, quando computer e reti di calcolatori cominciavano a esistere; avere un testo ASCII a disposizione e visualizzarlo sul monitor 80×25 a fosfori ambra era una gran cosa. Ma a parte l’amarcord, sottolineo ancora una volta che PG ha solo opere nel pubblico dominio, controllate a una a una. Insomma non ha nulla a che fare con gli altri siti indicati nell’elenco, se non perché anche da lì si scaricano libri.

Che fare, dunque? La risposta corretta sarebbe stata “cerchiamo un avvocato che faccia istanza di dissequestro parziale, mostrando come le ipotesi di reato indicate nel provvedimento non sussistano”. E in effetti avevo cominciato a fare così, dopo aver reso noto quanto stava succedendo. Purtroppo però c’è stato qualcuno che ha pensato di scrivere direttamente ai finanzieri dicendo loro che ci doveva essere stato un grande errore, e di far dissequestrare il sito di PG. I finanzieri avrebbero risposto “sì, è vero, PG non c’entra con gli altri siti, ma…”

Il “ma” è pare che la Guardia di Finanza non abbia nessun problema a far dissequestrare il sito di PG, ma abbia trovato 5 (cinque) libri sotto copyright, libri scritti da Sibilla Aleramo e Massimo Bontempelli. Una volta tolti quei cinque libri, è tutto a posto. Ma come, direte voi. Ho detto che PG ha solo libri in pubblico dominio, e adesso una banale ispezione trova libri sotto copyright? Sì, è così. Ma…

Mettetevi comodi, perché questo secondo “ma” vi aprirà nuovi mondi. Secondo la legge italiana (ed europea), il copyright su un’opera letteraria scade dopo 70 anni dalla morte dell’autore. Aleramo e Bontempelli sono morti nel 1960, quindi le loro opere entreranno nel pubblico dominio nel 2031. Ma secondo la legge statunitense, le opere pubblicate fino al 1978 hanno un copyright di 95 anni dalla data di pubblicazione. Questo significa che le opere pubblicate prima del 1924 di un autore morto dopo il 1950 sono PD-USA ma non PD-EU. Project Gutenberg ha insomma tutti i diritti di distribuire quelle opere: per esempio, Una donna dell’Aleramo è del 1906, e La vita operosa di Bontempelli del 1921. Né si vede perché debba togliere quei libri: il suo pubblico di riferimento è quello statunitense, e c’è un disclaimer che specifica che i libri potrebbero non essere di pubblico dominio al di fuori degli USA.

Tra l’altro, ci sono casi opposti. Il romanzo The Great Gatsby di Scott Fitzgerald è del 1925, e quindi – per i prossimi sei mesi – sotto copyright negli USA. Però Scott Fitzgerald è morto da più di settant’anni, e quindi il testo è scaricabile da un parallelo progetto australiano, per l’ottima ragione che lì almeno fino al 2005 la protezione era diversa e durante l’armonizzazione con gli USA ci fu una clausola specifica per non rimettere sotto copyright testi che erano diventati di pubblico dominio… cosa che non capitò in Italia quando il copyright fu portato da 50 a 70 anni dopo la morte dell’autore. Le malelingue affermano che fu Mondadori che voleva riprendersi l’esclusiva su Pirandello a bloccare tale clausola.

[Terms of Use di Project Gutenberg]

La mia ipotesi – non suffragata da alcuna prova, non ho certo accesso agli atti – è che i finanzieri si siano accorti che i capi di imputazione contro PG non stavano in piedi. Lasciando perdere il “medesimo disegno criminoso” che è giusto una coloritura, PG non ha fini di lucro, non chiede dati personali e non guadagna dalla pubblicità; né ha acquisito quei testi illecitamente. A questo punto però hanno provato a vedere se trovavano qualcos’altro, e si sono accorti di quei file che a posteriori mostravano quanto loro fossero nel giusto. L’ipotesi alternativa – che cioè fossero stati subito notati – è possibile ma a mio giudizio improbabile, perché in quel caso si sarebbero fatti due provvedimenti distinti – uno per PG e l’altro per i restanti siti – e soprattutto il primo non sarebbe stato “contro ignoti”: non c’è nessun problema a scoprire chi gestisce il progetto.

Il risultato finale? Beh, gli altri siti cambieranno nome e ripartiranno più piratanti che pria; Project Gutenberg rimarrà bloccato in saecula saeculorum, visto che nessun giudice citerà mai a giudizio gli americani (per cosa, poi? Loro non hanno fatto nulla di illegale: al più è chi scarica quei libri a essere colpevole). D’altra parte PG non ha nessun rappresentante legale in Italia, e ovviamente a questo punto si guarderanno bene dal cercarlo. Il GIP si accontenterà di avere mostrato che il potente braccio della legge ha fatto il suo dovere, almeno per chi non conosce il modo per bypassare questo oscuramento. (Per la cronaca: anche se la legge permetterebbe l’oscuramento di singoli file, e nel caso di PG la cosa sarebbe tecnicamente fattibile perché i loro URL sono statici, i provider non potrebbero comunque farlo legalmente, perché in tal caso controllerebbero il traffico internet).

Una soluzione rispettosa di diritti e di obblighi potrebbe essere che PG indichi sulle pagine dei singoli libri non PD-UE (ce ne sono anche di tedeschi, per esempio) che non possono essere scaricati dall’Italia; ma dubito che la nostra magistratura accetterebbe qualcosa del genere. Mi chiedo anche se ci siano margini per affermare che il blocco totale di un sito – che ricordo essere legale per la sua legislazione, e non stiamo parlando di stati canaglia – per impedire che un piccolo numero di file illegali in Italia sia una misura proporzionata. Ma non essendo io un esperto di legge non ho certo una risposta.

Per finire, un paio di chicche. In primo luogo, sarebbe simpatico sapere chi ha i diritti per le edizioni elettroniche di quei file. Sicuramente fino al 1960 nessun contratto di cessione dei diritti prevedeva anche quelli in formato elettronico; quindi bisognerebbe scoprire se gli eredi dei summenzionati autori hanno effettivamente ceduto quei diritti. Per quanto riguarda La vita operosa, ho fatto un controllo su Amazon. Non esistono edizioni digitali acquistabili; per quanto riguarda quelle cartacee, ce n’è una pubblicata nel 2014 da Unicopli (avranno ottenuto i diritti da Mondadori, che ha pubblicato per l’ultima volta il libro nel 1970?) e un’altra edizione di Nabu Press che, almeno a giudicare dal testo, si direbbe stampata direttamente a partire dall’edizione del Project Gutenberg. Che dite, chiediamo alla magistratura di oscurare Amazon finché non tolgono quei testi oppure dimostrano che non violano il diritto d’autore?

[Volete comprare il libro?]

P.S.: Tra gli altri che hanno parlato della storia, segnalo InfoSec, l’Osservatorio Balcani-Caucaso. The Submarine, Valerio Di Stefano, Il dubbio, LSDI, l’Associazione Italiana Biblioteche, Carlo Franza su un blog del Giornale. Se sapete di altre fonti (che non riprendano pedissequamente altri articoli…), segnalatemele e le aggiungerò.

La Rai e i video: un rapporto difficile

Ieri volevo rivedermi la parodia “Bunga Bunga” che Elio e le storie tese avevano cantato durante la trasmissione Parla con me. Vado su YouTube… e scopro che i video sono stati rimossi su richiesta della Rai che detiene il copyright.

Che rompimento, penso: vado su raiplay.it, clicco sulla lente, cerco “Parla con me Elio”… e non trovo nulla. Vabbè, uso Google e arrivo finalmente su questa pagina. Tutto bene quel che finisce bene? macché.

I video (forse) ci sono, ma occorre Microsoft Silverlight. In teoria io avrei anche Silverlight: ma a quanto pare non gli piace Firefox. Non gli piace nemmeno Vivaldi. Sembra che non gli piaccia nemmeno Edge, che pure è Microsoft. Tiro fuori Internet Explorer 11: risultato, “video non supportato”. Qualcuno ha idea di come si possa fare?

Statistiche del sito per maggio 2020

Vabbè, aprile era stato un mese eccezionale, e nessuno si aspettava un exploit anche solo simile a maggio. Ma i numeri del mese sono stati davvero infimi. 19891 visitatori unici per 41502 visite, le pagine accedute sono state 103334 e gli accessi 258782. In realtà, se eccettuiamo i visitatori unici, gli altri numeri non sono così tragici: si direbbe quasi che ci sia stato un tuning dell’algoritmo per riconoscere meglio i visitatori.

Non essendoci molto da dire, mi limito a mostrare la top 5:

  1. Eupnoico: 1862 visite
  2. Centro Operativo Postale: 386 visite
  3. Mamma! Ho parlato al Senato!: 344 visite
  4. Carnevale della matematica #140: 281 visite
  5. E in questi casi che si fa?: 278 visite

Tra gli evergreen, il romanaccio ha 1231 accessi, gli accordi musicali 631, e la pillole di teoria musicale 464.

Good Omens (miniserie tv)

[Locandina] È uscita l’anno scorso, ma Anna e io ce lo siamo guardati solo la scorsa settimana. Good Omens, miniserie su Prime Video, è… beh, è Good Omens. Io avevo comprato e letto il libro nel lontano 1991, la mia copia – ormai ingiallita – è anche autografata da Terry Pratchett, e mi sono accorto che non me lo ricordavo mica bene, tanto che ho deciso di rileggerlo. Quello che però ricordavo era una serie di battute che mi sono trovato pari pari nella serie, il che significa che Gaiman è stato molto attento nella trasposizione.
Per chi non conoscesse la storia, la Terra è arrivata ormai alla sua fine; l’Apocalisse sta entrando nel pieno dell’azione; i quattro Cavalieri (con l’Inquinamento a sostituire la Pestilenza, che si era stancata) sono in sella alle loro moto; le corporation del Paradiso e dell’Inferno sono pronte alla Battaglia Finale… ma l’angelo Azraphel e il demone Crowley (née Crawly) non sono poi così d’accordo. Dopo seimila anni insieme sulla Terra hanno instaurato ormai una specie di bromance, e poi si sta così bene sul pianeta! Michael Sheen e David Tennant nella parte dell’improbabile duo sono semplicemente favolosi, e tutta la storia scorre esattamente come ci si potrebbe aspettare dall’opera di due scrittori umoristi un po’ noir. Vale la pena di guardarla!

One Hundred Problems in Elementary Mathematics (libro)

copertina Se un matematico come Steinhaus parla di problemi matematici “elementari”, potete essere certi che non lo dice nel senso di “facili”. Questo vecchio libretto (Hugo Steinhaus, One Hundred Problems in Elementary Mathematics [Sto Zadan], Dover 1979 (1963, 1964), pag. 174, € 8,74, ISBN 9780486238753) raccoglie cento problemi che non richiedono conoscenze a livello universitario per essere risolti, ma non sono certo facili. La maggior parte di essi erano (e in buona parte sono ancora) poco noti, il che è piacevole per chi come me legge molti libri di problemi; poi c’è anche il tocco finale di una dozzina abbondante di problemi finali senza risposta, e senza che necessariamente la risposta fosse nota a Steinhaus stesso, che possono dare al lettore con un buon background matematico un’ idea di cosa sia effettivamente il lavoro di un matematico. L’unica pecca è la prosa: Steinhaus aveva scritto il libretto in polacco, e la traduzione inglese è piuttosto pesante da leggere.