Avremo davvero un pillolo?

Lo Scientific American riporta che un contraccettivo maschile non ormonale è stato definito sicuro per l’uso umano. La strada per produrre un pillolo è ancora molto lunga: il farmaco deve essere testato su larga scala (il trial aveva solo 16 partecipanti) e soprattutto bisogna anche provare che non solo non fa male, ma funziona effettivamente come contraccettivo (i volontari avevano fatto in passato una vasectomia, quindi comunque non avrebbero potuto fare figli) prima di essere approvato dalla FDA.

La cosa davvero interessante, almeno per un profano come me, è il modo in cui il farmaco funzionerebbe. Invece che aggiungere ormoni, cosa che non è mai il massimo della vita, la pillola YCT-529 blocca un metabolita della vitamina A che non può più legarsi al suo ricettore nei testicoli, e quindi previene la catena di geni che fa partire il processo di formazione dello sperma. Ancora qualche decennio fa qualcosa del genere sarebbe stato impensabile; la medicina “costruttiva” (ma forse dovrei chiamarla “anticostruttiva”, visto che fa impedire al nostro organismo di fare qualcosa) è una tecnica che apre enormi possibilità. Certo, non è per nulla economica: per dire, il Lixiana che devo prendere io, che è un inibitore del fattore Xa e quindi blocca la coagulazione, costa 96 euro per una confezione da 28 pastiglie (confezione passatami dal SSN). Potete insomma immaginare quanto le case farmaceutiche siano interessate alla cosa…

Idee opposte

Ve lo ricordate quando Umberto Eco disse “I social network sono un fenomeno positivo ma danno diritto di parola anche a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Ora questi imbecilli hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel”? Probabilmente sì, perché i miei ventun lettori non sono anzyani come me ma hanno comunque una certa qual esperienza in rete.

Ieri Massimo Mantellini (di nuovo: i miei ventun lettori, ecc. ecc.) ha scritto un lungo post in cui afferma di aver cambiato idea su quel giudizio: al temo era d’accordo con Eco, ora pensa che il semiologo avesse torto. Più precisamente, Mantellini dice

Ciò che Eco non poteva immaginare è un fenomeno che si è sviluppato compiutamente qualche anno dopo la sua morte e cioè che gli imbecilli nelle loro varie estensioni sono diventati un format comunicativo dei grandi media: il rischio paventato dal semiologo si è in parte concretizzato non per colpa di Internet ma per colpa dei media mainstream nel momento in cui ci si è resi conto che l’idiota faceva più ascolti dell’esperto.

Ma soprattutto,

Il professore intendeva dire altro e cioè che le reti digitali offrono uguale visibilità alle parole di un ubriaco e a quelle di una persona molto autorevole. Questo ovviamente, anche volendola considerare un’iperbole seduttiva, non è vero. Non è vero oggi e non è mai stato vero, nemmeno nel momento in cui la tempesta dei social network interessava più direttamente la società italiana. Nelle reti digitali l’imbecille per la prima volta ha potuto costruirsi una sua piccola audience, numericamente superiore a quella degli avventori del bar ma – in genere – non tanto più ampia.

La cosa divertente è che io compiuto esattamente il percorso opposto. Dieci anni fa pensavo che le parole buttate al vento, anche se visibili a tutti, non avevano poi chissà quanta rilevanza, ma ormai sono convinto che invece siano rilevanti. Certo, gli imbecilli sono diventati un format comunicativo dei media: me ne accorgo anch’io che i media li seguo ben poco. Ma il punto di partenza restano sempre i social network, e non tanto le discussioni quanto il seguito di coloro che scrivono apposta per attirare gli imbecilli di cui sopra, che subito ripetono quanto letto per mostrare che loro sì che sanno essere fuori dal coro. Poi, essendo appunto io anzyano, ho perso da un pezzo ogni speranza che le cose cambino, e non ci tento nemmeno.

(Poi vabbè, un’altra cosa che non mi accomuna con Massimo è che io sono troppo pigro per scrivere più di una dozzina di righe :-) )

Quizzino della domenica: Cornice coi regoli

757 – algebretta

Se avete sottomano i regoli che si usano all’inizio delle elementari per imparare a usare i numeri, potete prenderne uno ciascuno lungo da 1 a 8 unità e formare una cornice 11×11 senza i quadretti d’angolo, come mostrato in figura qui sotto che ha come lati (1,8), (4,5), (7,2), (3,6). Qual è il numero minore successivo di regoli che ci permette di nuovo di costruire un quadrato?

Un quadrato con i regoli
(trovate un aiutino sul mio sito, alla pagina https://xmau.com/quizzini/p757.html; la risposta verrà postata lì il prossimo mercoledì. Problema adattato dalla Maths Newsletter di Chris Smith.)

Perplexing Paradoxes (ebook)

copertina
Io ci avevo anche provato a prendere in prestito da MLOL la traduzione italiana (I paradossi del nostro tempo, Apogeo 2025, traduttore non indicato nella versione ebook). Ma dopo un’introduzione che già mi aveva lasciato perplesso, nel primo paradosso raccontato da Szpiro mi sono trovato scritto “Solo chi aveva più di 780 amici aveva una rete di contatti mediamente più piccola rispetto a quella dei propri amici.” che è esattamente l’opposto del testo originale “Only those with more than 780 friends had friends who, on average, had smaller networks than their own.”, al che ho deciso di passare alla versione originale.

Il testo, concepito durante il lockdown per il Covid, presenta una sessantina di paradossi di vari tip. Ciascuno di essi viene presentato, poi viene sviscerato – il testo usa il termine francese “dénouement” – e infine c’è una sezione “more…” con alcuni commenti finali. Alcuni dei paradossi per me non lo sono affatto, e ho qualche dubbio su come sono stati trattati alcuni di quelli matematici: però ho trovato interesanti quelli legati alla politica o al sistema legale, probabilmente perché non ne so nulla. Diciamo che questo è uno di quei libri dove ognuno trova qualcosa di diverso.

George G. Szpiro, Perplexing Paradoxes : Unraveling Enigmas in the World Around Us, Columbia University Press 2024, pag. 336, € 26,25 (cartaceo: 35), ISBN 978-0-231-56001-6, – come Affiliato Amazon, se acquistate il libro dal link qualche centesimo va a me

Voto: 3/5

Font populista

Il font populista Non dite che non avete mai visto nessuna vetrina con un’insegna faidatè composta usando queste lettere, appiccicate alla bell’e meglio. Nessuno sa chi abbia ideato questo alfabeto, composto da sole lettere maiuscole alte e strette. Il grafico Alessandro Strickner ha però deciso di vettorizzare queste lettere e creare un font, da lui chiamato “Font populista” perché, come spiega, “la provenienza popolare ma anche e soprattutto l’incosciente attitudine fai-da-te con pessimi risultati, la scarsa raffinatezza del carattere e i suoi strilli di sole maiuscole, restituisce dunque la massima espressione del populismo applicato alla tipografia.”
Potete scaricare il font dall’apposito sito. Strickner ne ha preparato due versioni: quello regular e quello “storto” in omaggio all’uso pratico che se ne è sempre fatto…

Spam librario

Io continuo per abitudine a inserire le recensioni dei miei libri anche su aNobii, pur non seguendolo più. (Poi d’accordo, in questi giorni ho aggiunto delle recensioni che avevo scritto l’anno scorso… non sono molto veloce). Orbene, l’altro giorno, dopo avere appunto aggiunto alcune recensioni, mi sono trovato questi due messaggi.

“Gina Alberto” scrive «Ciao amico mio, lavoro in Libri Mondadori, voglio impiegarti in un lavoro di libro che puoi fare online e ricevere pagamenti, se puoi chiamare la videochiamate, inizierai il lavoro ora, fammi sapere se vuoi il lavoro». “Annacosta” invece scrive «Ciao amico, puoi insegnarmi come parlare italiano molto bene la videochiamata, posso pagarti se vuoi.» Paradossalmente quest’ultimo account è quasi sensato (per quanto possa esserlo un phishing): ma come può una persona scrivere su un social network dedicato ai libri in modo così sgrammaticato e pensare che qualcuno possa rispondere?

Lucio Russo

Lo confesso: con Russo, morto sabato scorso senza che la stampa generalista ne parlasse (ma questo è purtroppo normale) ci ho litigato. Mentre accetto senza troppi problemi la tesi che difese nel suo libro La rivoluzione dimenticata, scrissi esplicitamente che le conclusioni di L’America dimenticata non mi convincevano per nulla. Ma torniamo un attimo indietro.

In La rivoluzione dimenticata Russo sosteneva che “il rinascimento scientifico ellenistico” non fosse per nulla un rinascimento, nel senso che il pensiero classico greco aveva continuato a svilupparsi nei secoli successivi ai grandi filosofi e matematici dell’antichità: noi non lo sappiamo perché abbiamo perso la stragrande maggioranza dei documenti del tempo per colpa dei Romani a cui tutte queste cose non potevano interessare di meno. Quello che sappiamo di Erone e compagni è insomma solo la punta di un iceberg. Anche se io non sono un classicista e so a malapena leggere le lettere dell’alfabeto greco, la cosa mi torna abbastanza. Dove metto una linea netta è però la tesi secondo cui non solo l’America era stata raggiunta dai cartaginesi (non implausibile) ma che ci fossero stati degli scambi culturali durati decenni se non secoli, tutti obliterati da quei cattivacci dei Romani. Ricordo che Russo era napoletano e quindi di una civiltà dalle origini greche e non latine. Una delle prove da lui portate era la presenza dello zero nei Maya: secondo lui lo zero era stato “inventato” una sola volta nella storia dell’umanità e si era lentamente diffuso, anche se lo zero babilonese, quello maya e quello sino-indiano sono in effetti diversi. Ma soprattutto, nel caso di uno scambio molto lungo tra le due coste dell’Atlantico avremmo dovuto comunque avere non solo più manufatti ma anche una contaminazion di piante e animali che non c’è invece stata.

Detto questo, la cultura di Russo era indubbiamente amplissima, proprio come la sua vis polemica. Russo era uno dei pochi matematici in grado di leggere i testi originali greci, e quindi univa le competenze linguistiche a quelle matematiche. Vale assolutamente la pena di leggere i suoi libri di storia della scienza. A parte quelli già citati, segnalo Ingegni minuti (qui il mio link di Affiliato Amazon), una storia della scienza in Italia dove la tesi fondamentale è che siamo stati bravi o almeno bravini fino a che non c’era bisogno di tanti soldi per fare esperimenti. La sua morte è una grande perdita per la storia della scienza in Italia.

L’alacre castoro

Non so se avete mai visto il nome scritto in italiano – credo ci fosse nelle traduzioni dei giochi matematici di Martin Gardner – ma se avete un po’ di dimestichezza con l’informatica teorica dovreste sapere che cos’è il Busy Beaver. O meglio non dovreste essere sicuri di saperlo, perché ci sono due diverse definizioni. Quella originale, proposta da Tibor Rado come funzione Sigma, rappresenta il massimo numero di 1 che una macchina di Turing a n stati con due simboli (0 e 1) che termina la sua computazione può stampare. Rapido ripasso: una macchina di Turing è composta da un nastro infinito, una testina che può leggere un simbolo per volta, e un insieme di stati che sono il suo programma, perché dicono cosa può fare (scrivere un simbolo, eventualmente cancellarlo anche se nel nostro caso si suppone che il nastro contenga infiniti 0, spostarsi a sinistra o a destra ed entrare in un nuovo stato). Ci sono macchine di Turing che non terminano mai la computazione: per esempio se partiamo con un nastro pieno di zeri e abbiamo lo stato “se trovi scritto 0, scrivi 1 e vai a destra” avremo un nastro che si riempirà di 1 dal punto di partenza a destra verso l’infinito. Queste macchine non sono così interessanti, quindi per il Busy Beaver si richiede che la macchina termini l’elaborazione. La seconda definizione, indicata come BB(n), non conta gli uni scritti ma il numero massimo di passi che una macchina di Turing con n stati può compiere prima di fermarsi: anche in questo caso si richiede che la macchina effettivamente si fermi.

Possiamo trovare i primi valori di queste funzioni, come al solito, su OEIS. Per quanto riguarda la funzione Sigma, abbiamo

$$\Sigma(1) = 1; \Sigma(2) = 4; \Sigma(3) = 6; \Sigma(4) = 13; \Sigma(5) = 4098.$$

I primi valori di BB() sono invece i seguenti:

$$ BB(1) = 1; BB(2) = 6; BB(3) = 21; BB(4) = 107; BB(5) = 47176870.$$

Il valore di BB(5) è stato congetturato nel 1990 e dimostrato nel 2024: per verificarlo si sono dovute studiare 88664064 macchine di Turing e decidere se si fermano oppure no. La macchina “vincente” ha questa definizione:

         0       1
A       1RB 	1LC
B 	1RC 	1RB
C 	1RD 	0LE
D 	1LA 	1LD
E 	--- 	0LA

La tabella si legge in questo modo: la colonna di sinistra indica in che stato si trova la macchina, la colonna centrale cosa succede se c’è scritto 0 sotto la testina e quella di destra cosa succede se c’è scritto 1; le triplette di caratteri dicono cosa scrivere (0 oppure 1), se andare a destra (R) o sinistra (L), e infine in quale stato posizionarsi. Non è mai possibile arrivare nello stato E e vedere uno 0, quindi quella casella è vuota.

E quali sono i valori successivi delle due successioni? Non solo non lo si sa ma non lo si potrà nemmeno sapere. Nel caso di Σ, sappiamo che Σ(6) > 10^^15. La notazione con doppio cappello, indicata a volte con l’esponente a sinistra ( 1510 ), è la tetrazione, la generalizzazione di moltiplicazione ed elevamento a potenza. Come 3×5 = 3+3+3+3+3 e 3^5 = 3×3×3×3×3×, 3^^5 = 3^(3^(3^(3^3)))). 10^^15 è insomma un numero così grande che è praticamente inconcepibile. Ma BB(6) è molto, molto, molto più grande: Scott Aaronson riporta che BB(6) > 2^^^5, dove il triplo cappelletto indica la pentazione, cioè il passo successivo alla tetrazione. Questo risultato surclassa il vecchio limite che era “solo” 10^^10000000. Quanto è grande quel numero? Aaronson spiega che se avessimo 10^^10000000 granelli di sabbia potremmo riempire 10^^10000000 copie dell’universo osservabile. Sì, lo stesso numero, tanto il valore è così grande che non ci si accorge della differenza. Numeri oltre ogni comprensione umana, insomma!