La scorsa settimana Elon Musk ha messo un limite (temporaneo?) al numero di tweet che possono essere letti in un periodo prefissato di tempo. Nel frattempo Reddit ha messo le proprie API a pagamento, suscitando proteste immani da parte degli utenti (mi sa che le proteste siano rientrate). I due casi sono diversi: per esempio, oltre a limitare quanto si può vedere, Twitter ora non permette di leggere tweet se non si è loggati, probabilmente perché i costi di connessione erano troppo alti; Reddit deve invece dimostrare di fare soldi per l’ingresso in borsa. Ma una cosa in comune ce l’hanno: il voler bloccare le API.
Facciamo un passo indietro. Le API (Application Programming Interfaces) sono funzioni che un programma può usare per interagire con un altro programma. Per esempio Twitter mette a disposizione API per scrivere un tweet oppure per recuperare tutti i tweet che hanno al loro interno un certo hashtag. Ma questo lo fa già l’app di Twitter, direte! Certo, ma usando le API uno può scriversi una nuova app che faccia le cose in modo diverso: chessò, con un’interfaccia grafica migliore, con feature che non sono state pensate da chi ha scritto l’app ufficiale, eliminando i messaggi pubblicitari che inframmezzano il contenuto da scaricare, o radunando in un unico posto contenuti da diversi siti.
Tutto questo è bellissimo se si stanno usando programmi amatoriali: ma se qualcuno ha un servizio da cui vuole tirarci fuori dei soldi è una iattura unica. (E tra l’altro da quello che ho capito l’app ufficiale di Reddit fa schifo). Quello che succede in pratica è dunque che tutti questi servizi, non appena raggiungono una massa critica, fanno in modo che sia sempre più difficile se non del tutto impossibile recuperare i dati che si tengono in pancia e che sono il vero loro asset.
L’altra faccia della medaglia? Servizi davvero liberi, come per esempio Mastodon, non avranno mai le risorse per raggiungere la massa critica. Quindi o si sceglie esplicitamente di restare a livello amatoriale, come nel mio socialino di nicchia preferito (che comunque non ha API per non sbagliarsi…) o nulla. Viviamo in un mondo difficile.
Andrea Monti è un amico della generazione di internettari della prima ora, quando a usare la rete eravamo pochissimi – non c’erano ancora i grandi provider – e pensavamo che sazrebbe stata una cosa bellissima e utilissima. Sono passati trent’anni e le speranze di allora sono tristemente morte: ma forse non potevamo aspettarci che un’isola elitaria come quella di un tempo sarebbe sopravvissuta all’arrivo in massa di chi voleva fare i soldi, le Big Tech.

A giudicare dalle recensioni in rete, il fatto che con questo libro Joshua Cohen ha vinto il Pulitzer 2022 ha fatto rosicare tanta gente. Non c’è dubbio, è un testo politicamente molto pesante e decisamente schierato. Sì, come spiegato nel capitolo finale il libro è liberamente (molto liberamente, mi sa…) ispirato a un aneddoto che Harold Bloom raccontò a Cohen poco tempo prima di morire. Sì, la famiglia Netanyahu non ci fa certo una bella figura: non tanto Bibi quanto padre madre e fratello maggiore, l’eroe ucciso a Entebbe. Ma la storia reggerebbe anche se la famiglia in questione si fosse chiamata chessò Friedman. Come sempre, Cohen mette tanta, tanta roba nel suo libro, dalle scenette di una famiglia ebrea anche se non molto osservante ai discorsi politici sulla diaspora e la nascita dello stato di Israele visti dall’estrema destra, dalla vita nel 1950 in una cittadina universitaria di Upstate New York ai primi segni del consumismo che sarebbe arrivato. Rispetto alle sue opere precedenti però il testo scorre molto più omogeneo, e il lettore non fa fatica a passare dalle risate amare sul direttore di dipartimento ai tentativi della figlia Judy di convincere i genitori a farle rifare il naso. Io mi sono divertito a leggerlo, nella come al solito ottima traduzione di Claudia Durastant, e ho imparato un po’ di cose nuove, che in un’opera di narrativa non è certo scontato.
Sto (con calma) leggendo Mondi paralleli di Michio Kaku. Lo so, è uscito quasi vent’anni fa, ma tanto io di cosmologia so così poco che mi sta già bene partire da lì. Arrivato alla fine del secondo capitolo mi sono trovato un esempio mal scritto: sono andato a verificare nella versione originale, ed era già così. (Occhei, io sono della scuola “correggi silenziosamente in traduzione”, ma temo di essere in minoranza). 
Rispetto al suo precedente Il mistero del suono senza numero direi che Ubaldini è sicuramente migliorato: la storia dietro la parte filosofica e matematica scorre molto meglio, probabilmente perché, come scrive nell’introduzione, «I personaggi storici o i cui nomi compaiono in documenti storici sono trasfigurati dallo sguardo del narratore.» Il libro è in un certo senso il seguito del precedente Il mistero del suono senza numero, come si vede nella parte finale che a mio parere è l’unica che non è riuscita molto bene: sono molto più interessanti i tentativi di Zenone di superare il maestro Parmenide e trovare finalmente una risposta ai paradossi, a partire da quello di Achille e della tartaruga, che hanno fatto ammattire per millenni i matematici e i filosofi.