In questo suo vecchio libro (Umberto Bottazzini, Va’ Pensiero : Immagini della matematica nell’Italia dell’Ottocento, Il Mulino 1994, pag. 316, ISBN 978-88-15-04574-4) Umberto Bottazzini ha raccolto una serie di saggi che aveva scritto negli anni sulla storia della matematica, e dei matematici, italiani tra l’Ottocento e l’inizio del Novecento. Una delle cose più strane, vedendo da fuori la situazione, è stato il nuovo rinascimento della matematica italiana dopo i fasti del sedicesimo secolo e poi il successivo declino: alla fine del secolo la scuola italiana era alla pari della francese e della tedesca, al tempo le migliori al mondo. Poi si è perso di nuovo tutto, per ragioni non chiare: la famigerata polemica tra Enriques da un lato e Croce e Gentile dall’altra ha aiutato, ma forse c’è anche stata l’incapacità dei grandi a cavallo tra i due secoli di portare avanti i campi di cui sono stati precursori. Tra l’altro i matemaatici italiani, a differenza degli altri scienziati, hanno avuto anche una parte importante nella storia politica dell’Unità, ruolo cui si accenna senza però entrare nel merito.
Il testo risulta però disuguale. I capitoli su Peano ed Enriques sono molto interessanti, la storia dei congressi matematici pre-Quarantotto un po’ ripetitiva, e il capitolo su Betti piuttosto pesante. Il risultato è un’opera importante ma solo per specialisti.
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I grandi vantaggi degli ebook
Quando a Mondadori si accorgeranno che nel loro ebook sui grandi personaggi della storia (se cliccate sulla miniatura si vede meglio – per sicurezza c’è la copia su archive.is) si parla di Alfred Einstein, non dovranno buttare via tutta la tiratura ma semplicemente rifare il JPG. Un bel risparmio.
Tra l’altro, Alfred Einstein ha una sua certa notorietà, almeno per me che da ragazzo zappavo al piano qualche sonata di Mozart: oltre al più noto catalogo K per le opere del salisburghese, ce n’è anche uno E che è stato redatto da lui. Quello che non sapevo è che era il cugino di Albert. Si impara anche dagli errori!
(h/t Francesco Abitante)
Aggiornamento: Francesco mi fa notare che esiste anche l’edizione cartacea. Il titolo di questo post è corretto, il resto un po’ meno…
La tessera elettorale piena
In questi giorni sulle radio milanesi viene trasmesso uno spot del comune di Milano che invita a verificare se la tessera elettorale ha finito i posti a disposizione e in caso affermativo di andare in anagrafe a farsene dare un’altra oppure andare su una pagina del sito del comune e compilare il relativo modulo.
Ho verificato: ho ancora uno spazio che verrà riempito quando andrò a votare per il referendum del 17 aprile (di cui devo ancora capire il significato… ma c’è tempo), e quindi dovrò rifarla prima delle comunali. Però lo spot è fuorviante. Io sono andato sul sito. Il modulo lo posso scaricare, compilare… e portare all’anagrafe assieme alla mia tessera. L’unico vantaggio per me è che risparmio i due minuti davanti allo sportello, ma tanto ci devo andare lo stesso. Pensavo sarebbe stato più semplice che quando in un’elezione il segretario di seggio vede che sta mettendo l’ultimo timbro possibile segnalasse la cosa all’anagrafe, ma a quanto pare non può essere così.
Ovvio che per l’anagrafe conviene che io arrivi col modulo già compilato: ma allora perché non dire nello spot “potete già preparare il modulo scaricandolo dal sito”? Paura che non lo faccia nessuno?
Oggi è un giorno triste
Wikipedia in lingua italiana aveva una voce su Teomondo Scrofalo. Oggi quella voce non c’è più. Dieci anni dopo la decisione originale di mantenere la voce in questione, una seconda procedura di cancellazione ha fatto sì che se adesso uno digita http://it.wikipedia.org/wiki/Teomondo_Scrofalo viene rimandato alla voce su Ezio Greggio – cosa che tra l’altro è assolutamente idiota: se redirect aveva da essere, il posto logico doveva essere la voce su Drive In. Non importa che nel 2004 Sgarbi usò un quadro dell’esimio pittore nel suo spot per Ideal Standard. Non importa che su eBay si vendano degli autentici Teomondo Scrofalo. Non importa che una ricerca su Teomondo Scrofalo dia migliaia e migliaia di risultati, con gente che su TripAdvisor mette la foto che ritrae l’opera principale del pittore, mentre “A Romance of the Cliff Dwellers” mi ritorna “circa 21 risultati”. Il povero Teomondo Scrofalo non merita di avere un angolino tutto suo e deve ridursi a essere una nota a pie’ di pagina.
Sappiatelo: avevate ragione quando dicevate che c’è una cricca che gestisce Wikipedia in italiano a suo modo.
Omicidio stradale
E così il DDL sull'”omicidio stradale” è stato approvato al Senato, dopo che il PresConsMin ha fatto mettere la fiducia. Detto in altro modo, Renzi ritiene che quella legge sia una parte fondamentale del percorso del proprio governo.
Beh, io continuo a pensare che invece sia un’idiozia mediatica. Per quanto mi riguarda, i morti sono morti, e non ne voglio vedere di serie A e di serie B. Questo non significa che gli omicidi siano tutti uguali: non per nulla nel nostro ordinamento giudiziario ci sono le circostante attenuanti e aggravanti che modificano il calcolo della pena. Se la nuova legge avesse semplicemente detto “hai investito uno mentre guidavi in stato di ebbrezza? La pena di viene aumentata di tot”, sarei stato perfettamente d’accordo. Avrei capito anche se casi come questo venissero considerati dolo e non colpa: dovresti saperlo bene che un’automobile è una tonnellata di roba, mica bruscolini. Ma evidentemente queste modifiche non sarebbero per l’appunto state abbastanza mediatiche, e quindi si sono dovuti introdurre nuovi articoli nel codice penale. Ditela come volete, ma la cosa a me non piace per nulla.
La fusione Repubblica-Stampa
La storia si ripete. Nel 1998, in un periodo di fusioni bancarie, il San Paolo si fuse (o meglio, assorbì…) l’IMI; nel 2007 il Sanpaolo-IMI si fuse (o meglio, venne assorbito…) dal gruppo Intesa. Stavolta il primo passo non è stato romano ma ligure, con la Stampa che meno di due anni fa si fuse (o meglio, assorbì…) il Secolo XIX mettendo le azioni in mano a Itedi, e il secondo passo non è stato lombardo ma romano, con Itedi che si fonde (o meglio, viene assorbita…) dall’editoriale l’Espresso.
Intendiamoci: in tutto il mondo la carta stampata va male, e in Italia va peggio. È notizia della scorsa settimana che l’Espresso non esiste più, o se preferite viene venduto solo la domenica in abbinamento a Repubblica a un prezzo complessivo di due euro: insomma, è diventato un supplemento dove si può mettere su carta patinata quel poco di pubblicità residua che ancora arriva. E anche senza leggere l’editoriale di Ezio Mauro, che poi prima di essere stato direttore di Repubblica lo era della Stampa esattamente come Mario Calabresi, è ben noto che le firme del quotidiano torinese passavano spesso e volentieri a quello romano. Pensate a Barbara Spinelli: oppure, nel mio piccolo di amante delle rubriche di giochi, prima a Giampaolo Dossena poi a Stefano Bartezzaghi. Insomma, dal punto di vista strettamente giornalistico e da quello industriale l’accorpamento ha senso.
Quello che io almeno trovo strano è che La Stampa sia finita con Repubblica e non con il Corriere, di cui FCA da metà 2013 deteneva la quota azionaria maggiore con il 20% del capitale. La famiglia Agnelli ce l’ha almeno da quarant’anni con Carlo De Benedetti (che nel 1976 è stato AD della Fiat…), e l’unica ragione che vedo in questa completa dismissione dalle attività editoriali italiane – anche la quota in RCS viene infatti passata ai vari azionisti FCA – è che a John Elkann, a differenza del nonno Giuanin Lamiera, dell’italica stampa interessi meno che zero. D’altra parte Fiat è appunto FCA, e quindi non ha più tutto quel bisogno di spiegare agli italiani perché Fiat è brava bella e buona. Molto meglio l’Economist. Il risultato finale, nonostante le testate manterranno formalmente la loro indipendenza, sarà inevitabilmente il declino della testata piemontese che diventerà poco più del dorso torinese di Repubblica. Noi piemontesi affezionati alla Busiarda non la prenderemo troppo bene, mi sa.
Divisioni sul caffè
Stefano mi segnala questo post della Stampa (qui la copia di backup) a proposito del possibile ingresso di Starbucks in Italia, dove secondo la FIPE «Ogni bar, ogni giorno, serve 175 tazzine per un incasso di 184 euro, con un prezzo medio di 0,96 euro a tazzina.» Secondo Stefano hanno scambiato dividendo e divisore, oltre ad avere sbagliato l’arrotondamento (175/184 è circa 0,951). La mia sensazione è diversa. Andando a cercare la fonte originaria possiamo vedere che si parla di 175 caffè e cappuccini serviti al giorno, il che fa capire perché il costo medio supera l’euro nonostante sia raro trovare un caffè che costi più di un euro. Se devo fare un’ipotesi, Giuseppe Bottero non abbia notato “cappuccini”, si sia chiesto come mai un caffè potesse costare più di un euro, e ha fatto tornare i conti. (Non mi preoccupo nemmeno dell’arrotondamento per eccesso, fossero quelli i problemi…)
Una nota non matematica: Gianluca, davvero adesso “experience” nel senso di “fare le cose come noi pensiamo dobbiate farle” (che già non sopporto in inglese) viene usato in italiano come “esperienza”?