Venerdì scorso il Corsera ha pubblicato un’intervista a Giorgio Palù: «un’autorità indiscussa nel campo della virologia, professore emerito dell’Università di Padova e past-president della Società italiana ed europea di Virologia.» (tradotto: un pensionato.) Palù comincia affermando «Ecco, parliamo di “casi”, intendendo le persone positive al tampone. Fra questi, il 95 per cento non ha sintomi e quindi non si può definire malato, punto primo.»
Bene. Come scrive per esempio su Twitter Lorenzo Ruffino, basta andare a prendere il rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità al 13 ottobre (PDF) e a pagina 21 si legge che a quella data gli asintomatici erano il 55,9%. Non esattamente il 95%, nemmeno sommando i paucisintomatici (che non capisco perché separare da quelli con i sintomi lievi), che sono il 15,7%. È comprensibile che a Palù mancasse il frisson dell’intervista, e quindi si sia subito fiondato a rispondere. È deprecabile che non abbia neppure controllato i dati reali prima di parlare. Ma è inaccettabile che una giornalista del principale quotidiano italiano non abbia pensato di verificare i dati prima di pubblicare l’intervista, dati che per l’appunto non erano poi così difficili da trovare. Ed è inammissibile che a questo momento – e ormai direi in saecula saeculorum – la versione web dell’articolo non abbia una nota in cui si avvisi l’incauto lettore che i dati ivi riportati non corrispondono a verità, nonostante la polemica sia divampata su Twitter. Sì, è anche vero che non è affatto detto che chi ha davvero potere al Corsera legga Twitter, o gliene importi alcunché. Però capite anche voi che non è che si possa piangere per il giornalismo morente quando abbiamo già gli zombie…