Archivi annuali: 2017

_Ultime conversazioni_ (libro)

Peter Seewald è stato l’interlocutore preferito da Joseph Ratzinger, e quindi non è poi così strano che abbia potuto intervistare il papa emerito anche in questi ultimi anni, dopo che ha lasciato il ministero petrino. Questo libro (Benedetto XVI, Ultime conversazioni [Letzte Gespräche], Garzanti 2016, pag. 235, € 12,90, ISBN 9788811688242, trad. Chicca Galli) parte con il racconto della sua rinuncia al papato, per proseguire nella buona traduzione di Chicca Galli come una sorta di biografia. Ci sono parti più noiose almeno per me, come quelle dell’infanzia, parti che probabilmente avrebbero richiesto un respiro un po’ più ampio, come quelle sugli anni in cui è stato arcivescovo; ma in generale sono un interessante spaccato di una persona che i media hanno raffigurato in un certo modo negativo, ma ha una sua profondità ben lontana dai titoloni. Leggendo il testo, si comprende anche come mai il “teologo progressista” del Vaticano II è diventato il “cane da guardia retrivo” da capo del Sant’Uffizio e papa; in realtà la sua linea è sempre stata fondamentalmente la stessa, ed è l’apparenza che inganna. Una curiosità: le edizioni nelle altre lingue hanno in copertina il papa visto di fronte, mentre in quella italiana è raffigurato di schiena, ammesso che sia lui. Chissà come mai…

Ultimo aggiornamento: 2017-02-11 22:05

Big. Certo.

La seconda notizia sull’homepage di Repubblica stamattina, dopo la telefonata di Trump al presidente cinese, è su Sanremo. Ci sta.
Poi leggo nel polpettone di titoli “Big, eliminate le coppie Nesli-Paba e Raige-Luzi”. Ora io non ho alcuna idea di chi siano questi quattro signori (o signore). D’accordo, non sono proprio un esperto di musica – leggi: non so assolutamente nulla di quello che è accaduto nel XXI secolo – ma forse la colpa non è proprio tutta tutta mia, e il concetto di “Big” è piuttosto elastico. O no? Raccontate, raccontate.

Ultimo aggiornamento: 2017-02-10 07:32

Visite fiscali

A quanto pare, il presidente dell’Inps Tito Boeri ha chiesto che le fasce di reperibilità in casa per le visite fiscali siano equiparate tra pubblico e privato: al momento quest’ultimo settore ha solo quattro ore giornaliere di fascia, che dovrebbero salire (almeno…) a sette. In questo modo «si potrebbero ridurre le spese e gestire al meglio i medici e svolgere i controlli in modo efficiente»: si sa che il mantra “riduciamo le spese” è sempre apprezzato dai nostri governanti e boiardi di stato.

A me non è mai capitato di essere sottoposto a visita fiscale, anche perché tipicamente mi ammalo molto poco (e quando mi ammalo sto così male che non mi viene in mente di uscire di casa). Però in questa sortita di Boeri vedo un problema di base. A che serve la visita fiscale? A verificare se il malato è effettivamente malato, oppure il medico di base compiacente l’ha fatto stare a casa anche se non era affatto necessario. Perfetto. Quale sarebbe allora il problema se la visita venisse preannunciata il giorno prima, indicando la fascia (mattina o pomeriggio) in cui il medico passa? Le fasce complessive possono essere ampliate senza problemi, ma dal punto di vista del malato il tempo di arresti domiciliari è ridotto. Nel caso, si può lasciare la fascia lunga nel primo giorno di malattia, quello in cui tanto si sta sicuramente male se si è malati davvero, e permettere un controllo immediato se si pensa che qualcuno faccia il furbetto. Troppo semplice?

Ultimo aggiornamento: 2017-02-09 15:00

Trattare. Ma su cosa?

Come spero sappiate, l’azienda per cui lavoro (Telecom o Tim, chiamatela come vi pare) oltre a bloccare da due anni il rinnovo del contratto collettivo di lavoro ha anche deciso di cancellare unilateralmente il contratto integrativo (che l’azienda per cui lavoro non chiama così: in effetti tecnicamente queste sono le “norme di raccordo” ed evidentemente i raccordi non sono più di moda), creando un regolamento non si sa bene scritto da chi. Per fare un esempio volutamente stupido, secondo tale regolamento io non posso scrivere i miei libri di matematica divugativa senza previa autorizzazione aziendale: il tutto “come da CCNL”, che naturalmente dice tutt’altra cosa e cioè che non si può fare fuori dall’orario di lavoro concorrenza all’azienda, cosa che di per sé è pleonastica perché lo dice già il codice civile.

Gli scioperi e le manifestazioni non sono serviti a nulla, e d’altra parte l’azienda per cui lavoro l’anno scorso ha avuto un margine operativo lordo di soli 8 miliardi su 19 di fatturato, quindi evidentemente è in crisi e deve tagliare.

Ieri però Fistel-Cisl (il mio sindacato) ha deciso di chiedere «un incontro alla Direzione TIM per fornire alcune considerazioni sul Regolamento Aziendale». Ora io sono un democristiano dentro, e trovo assolutamente normale il concetto che è inutile fare scioperi su scioperi e basta. (Sono anche dell’idea che se uno dei punti chiave è l’abolizione dei cinque euro e mezzo di indennità giornaliera per i tecnici che non rientrano in sede per pranzo, la risposta non è scioperare ma fermare il lavoro alle 12:30, rientrare in sede, pranzare, riprendere l’auto e continuare il lavoro; ma non è un caso che io non sia un sindacalista). Il punto è che è assolutamente pernicioso fare un incontro se non si ha una controproposta da fare, e la controproposta non può essere semplicemente al ribasso (“accettiamo X e Y se si rimettono Z e W come prima”) ma deve essere migliorativa da qualche altra parte. Altrimenti non si discute ma si fa gli zerbini. Le considerazioni sul Regolamento Aziendale si possono fare pubblicamente; se proprio si vuole un momento formale non si chiede un incontro ma un momento di presentazione e poi si va via.

Davvero, non capisco proprio questa mossa.

Ma i commenti servono davvero?

Così anche IMDB, la base dati di tutti i film, elimina i commenti dalla piattaforma, perché “non forniscono più un’esperienza utile e positiva per la grande maggioranza dei nostri 250 milioni di utenti mensili in tutto il mondo”. Non sono i primi e mi sa non saranno gli ultimi. Eppure luoghi come Facebook vivono di commenti. Come mai c’è questa dicotomia?

Secondo me la ragione è semplice, ancorché duplice. A Facebook del contenuto dei post non può importare di meno, tanto non lo mette lui; Zuckerberg guarda solo alla quantità delle interazioni, e quindi più commenti ci sono più tempo la gente sta attaccata alla piattaforma. Questo era anche quanto pensavano inizialmente tutti i fornitori di contenuti; solo che dopo un po’ qualcuno ha cominciato ad accorgersi che più commentatori ci sono più la qualità dei commenti scende, in modo molto più che lineare (nel senso che raddoppiando i commentatori la qualità diventa un quarto se non un decimo), e alla fine tutto questo si ripercuote contro il fornitore stesso. È vero che tecnicamente IMDB è compilato dagli utenti stessi, ma resta il fatto che è percepito come un fornitore di contenuti terzo. Si può scegliere se moderare i commenti, il che significa però dedicare risorse al controllo dei post, oppure bloccarli e basta.

In realtà non succede sempre così. Per esempio io non ho mai avuto soverchi problemi con i commenti, né qui né sul Post (che pure ha deciso da vari anni di moderare i commenti al sito generale: per i blog lascia la scelta ai singoli autori, e io li lascio liberi). Ma posso permettermelo solo perché io sono estremamente di nicchia: ho solo i miei famosi ventun lettori, e soprattutto è molto raro che qualcuno arrivi ai miei blog da una ricerca web. In pratica dunque ci si conosce tutti: i commentatori possono starsi reciprocamente sulle palle, ma accettano la mia autorevolezza (hahaha) e si comportano generalmente bene senza che debba ricordarglielo troppo spesso. È però chiaro che questo metodo non è scalabile; aspettatevi quindi un mondo in rete sempre più diviso tra i commenti senza contenuti e i contenuti senza commenti.

Ultimo aggiornamento: 2017-02-08 16:22

_Contro la decrescita_ (libro)

Quello della decrescita felice è un tema caro a molta gente. che ripete certe parole chiave quasi fossero un mantra. Luca Simonetti è un avvocato, il che significa che è abituato a cercare contraddizioni nelle affermazioni dei guru che sugli adepti ci marciano (e ci guadagnano). Ecco così che in questo libro (Luca Simonetti, Contro la decrescita, Longanesi 2014, pag. 272, € 9,99, ISBN 9788830441897) si è messo a spulciare e rintuzzare a uno a uno i falsi miti legati alla decrescita felice, a partire dalla disamina dei concetti di base che a una lettura appena un poco attenta si rivelano incoerenti prima ancora che fallaci. Simonetti se la prende per esempio con il PIL, o per meglio dire fa notare che non c’è scritto da nessuna parte che le transazioni non monetarie non debbano concorrere alla sua formazione, basta volerlo fare (e in effetti se ormai ci mettiamo anche la parte prodotta dalla criminalità non vedo perché non si possa aggiungere quella dell’equo scambio). Il tutto con una pletora di note e citazioni, tratte dalle opere dei maestri della decrescita felice e immediatamente seguiti da un controllo di realtà sul significato pratico delle loro affermazioni, oltreché sulla coerenza interna spesso mancante. Se posso fare un appunto, avrei asciugato un poco il testo, perché soprattutto la parte centrale ripete spesso argomentazioni simili, dato che sotto sotto i decrescenti hanno la stessa matrice. La conclusione, che mostra come i temi della decrescita felice hanno una specifica origine politica ma negli ultimi anni si è spostata, è davvero illuminante e secondo me vale da sola l’acquisto del libro.

Ultimo aggiornamento: 2017-02-07 13:03

Virginia e Romeo

Più che fake news e verità alternative, quello che mi pare stia succedendo nei media (italici ma non solo) è l’alluvione di dati (non li chiamerei nemmeno notizie) senza un sia pur minimo discrimine, che impedisce di separare il grano dal loglio.
Per dire, nella vicenda Romeo-Raggi io ho capito che ci sono questi fatti: (se non sono fatti ma opinioni, o se non sono fatti perché non veri, per favore avvisatemi)
– Romeo ha fatto negli anni passati varie polizze di assicurazione (assicurazione vita? piano di accumulo con controassicurazione?)
– Una di queste polizze ha avuto da un certo punto in poi (prima delle comunarie M5S) come beneficiaria Virginia Raggi
– Virginia Raggi, una volta diventata sindaca, aveva promosso il dipendente comunale Romeo, più che raddoppiandogli lo stipendio, anche se poi ha dovuto abbassarglielo un po’ per una serie di rilievi che le sono stati mossi.

Io non so come funzionano le polizze assicurative (se non che una polizza con un massimale così piccolo è tipicamente una fregatura dal punto di vista matematico per chi la fa, ma questa è una storia indipendente), e mi piacerebbe sapere come funziona esattamente quella polizza. Poi mi piacerebbe sapere a chi sono state intestate le altre polizze (non mi interessano nomi e cognomi che tanto non riconoscerei, ma le posizioni delle altre persone sì). Infine mi piacerebbe sapere le ragioni ufficiali della promozione di Romeo, e quello dovrebbe essere un atto pubblico. Poi ognuno unirà i puntini come vuole, a parte i giudici che dovranno farlo solo con prove certe. Chiedo troppo?

Ultimo aggiornamento: 2017-02-06 12:33

Statistiche del blog per gennaio 2017

È un po’ che uso awstats, ma non vi ho mai ammorbato con le statistiche. Oggi vi tocca :-)

A gennaio il sito ha avuto 23.915 visitatori unici per un totale di 51.816 visite: le pagine visitate sono state 133.508. Il bot che ha ciucciato più roba è stato quello di Bing, (36399 link e 1,14 GB), seguito da WebMeUp (26.656 hit, 700 MB); sappiate che Istella esiste ancora. L’84,6% delle visite dura meno di 30 secondi :-)

La top 5 dei post più letti:
Saviano peggio delle pentole: 888 visite
No, Calabresi, il giudice non è il lettore: 708 visite
Scilipoti e la Nato: 683 visite
Centro Operativo Postale: 661 visite
Quizzino della domenica: 2017: 658 visite.
(ci sono altri quattro post con più di 500 visite, se la cosa vi interessa)