Scherziamo (.it)?

Ho appena eliminato un commento di spam sul blog, uno dei soliti. Il testo era «Wow! This blog looks exactly like my old one! It’s on a entirely different topic but it has pretty much the same layout and design. Wonderful choice of colors!» e dall’ultima frase sulla scelta dei colori si capisce subito che l’unica altra alternativa era che l’anonimo estensore sia daltonico.

Quello che mi stupisce non è tanto che il messaggio arrivi da un IP di Wind, quanto che il sito su cui dovrei cliccare è “scherziamo.it”. Io non sono andato a vedere il sito, se volete fatevelo voi: l’unica cosa che mi può venire in mente è che quello sia un tentativo di avere un messaggio approvato per poi spammare con calma con l’indirizzo finito nella lista dei buoni. Ma a questo punto perché non preparare anche il messaggio in italiano? Ah, questi spammer…

Test: Che tipo di inglese parli?

Da Friendfeed sono venuto a conoscenza del test Which English?, creato dall’MIT per cercare di addestrare un algoritmo a indovinare quale dialetto dell’inglese si tende a parlare. Tanto per essere specifici, il test è solo scritto e si occupa solo di grammatica, proponendo varie frasi che sono – immagino – sentite come corrette in nazioni anglofone diverse.

Premetto che io non parlo inglese, come ben sa chi mi ha sentito pronunciare frasi nella lingua di Albione: per me l’inglese è una lingua fondamentalmente scritta, anzi letta. A scuola, come in genere quelli della mia età, ho studiato l’inglese britannico; poi ho continuato a leggere più in inglese americano che in britannico, pur con notevoli eccezioni (Douglas Adams, Terry Pratchett, Ian Stewart). Direi quindi che l’algoritmo è ancora da tarare: secondo lui, infatti, i miei presunti dialetti sarebbero 1. Welsh (UK) – 2. English (UK) – 3. Singaporean (che a quanto pare è molto simile all’American English). Garantisco che non so assolutamente quali siano le caratteristiche grammaticali dell’inglese parlato nel Galles. Peggio ancora, le predizioni sulla mia lingua madre sono state 1. Spanish – 2. English – 3. Finnish. L’italiano proprio non è stato considerato, e non chiedetemi perché dovrei essere di madre lingua finnica :-) D’altra parte, i ricercatori mettono le mani avanti: «The algorithm is only just starting to be able to guess native languages other than English.» In effetti, dopo aver fatto le sue predizioni, chiede una serie di informazioni che dovrebbero servire per tarare meglio i futuri risultati; se ci saranno tanti italiani a farlo, la prossima volta magari ci prenderà meglio :-)

_La scienza dal giocattolaio_ (libro)

[Copertina] Avrei giurato che Davide Coero Borga fosse un mio coetaneo, e invece ha quasi vent’anni meno di me. Mi ero fatto questa idea non tanto per i giochi che racconta in questo libro (Davide Coero Borga, La scienza dal giocattolaio, Codice Edizioni 2012, pag. 180, € 24,90, ISBN 9788873783211) quanto per l’immaginario che si legge dietro le righe del testo. Questo libro in realtà è un oggetto di design, e lo si capisce già dalla seconda di copertina, che specifica minuziosamente che tipo di carta è stata usata per le sue pagine e la copertina stessa, e se ne è certi giungendo alla penultima pagina, che è un foglio di plastica rossa che deve essere staccato per vedere i disegni nascosti tra le varie pagine: chi ha presente la carta che avvolge le caramelle Rossana capirà quello che sto dicendo.

Come dice il titolo, i giochi raccontati in brevi schede non sono scelti a caso, ma hanno tutti un’attinenza con la scienza in senso lato: possono essere versioni giocattolo di strumenti reali,, come la bussola, oppure avere una struttura scientifica interna, come il cubo di Rubik o i Geomag. Del gioco vero e proprio si parla relativamente poco: d’altra parte il bello del gioco è giocarci, mica discuterne! Il testo divaga invece su tutto ciò che sta dietro di esso, cosa a mio parere molto più interessante. Per esempio il Dolce Forno scaldava i cibi… con due lampadine di 100 watt, e perciò il passaggio alle lampadine a basso consumo ha costretto il produttore a ripensarlo. Infine il libro è impreziosito da immagini che riprendono i giochi e li pongono in un contesto immaginifico. Insomma un testo da sfogliare con vero piacere.

Facebook e le bolle di amicizia

Mi è capitato di leggere questo articolo di Manuel Peruzzo che fa alcune considerazioni sul perché i simpatizzanti M5S non riescono a concepire la non-vittoria elettorale alle europee. (Parlare di “sconfitta” col 21% dei voti mi pare esagerato). Concordo sul punto di base: le persone tendono a unirsi con chi la pensa come loro, e così si ha una percezione sbagliata di cosa pensa davvero la gente. Pensate, se siete abbastanza vecchi, alla “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto e capirete che la cosa non dipende affatto da Internet ma è una dinamica naturale delle interazioni umane.

Dove però non seguo Peruzzo è nel suo apprezzamento acritico del libro di Eli Parisier “The Filter Bubble”. Premessa: io non ho letto il libro e quindi non sto criticandolo: parlo solo di quanto scritto da Peruzzo al riguardo. Secondo lui, la crescente personalizzazione dei motori di ricerca fa si che la gente venga sempre più racchiusa in una bolla; la modifica degli algoritmi di visualizzazione dei post di Facebook, che ora privilegiano pochi amici e non tutti gli aggiornamenti di status di tutti, servirebbe proprio a questo. La mia esperienza personale è però diversa. Io negli ultimi mesi ho scientemente deciso di non seguire (cosa diversa dal “togliere l’amicizia”: ma io uso Facebook in maniera un po’ strana) parecchie persone. Motivo? continuavano a spedirmi inviti o scrivevano solo messaggi politici. (M5S, Tsipras, Verdi per i curiosi). Ma nella homepage continuo a trovarmi status di gente di tutte le simpatie politiche, e non certo perché io li commenti (sono troppo pigro per impelagarmi in certi tipi di “discussioni” che sono tutto fuorché discussioni). Insomma, questa bolla ci sarà anche – ma in realtà potrebbe essere anche dovuta al fatto che non tutta la gente è vociante allo stesso modo – ma mi pare parecchio permeabile. Voi che ne pensate?

Sto per spiegare…

Ogni tanto mi capitava di sbirciare l’home page di Libero, per vedere se c’era qualche spunto per le mie vignette (e sapere cosa si pensa dalle loro parti). Ora sto smettendo. Perché? Semplice. Ecco alcuni titoli che ci sono in questo momento:

  • Silvio non molla, scoppia la bufera Ecco chi vuole farlo fuori…
  • Cav: “Resto il leader”. E su Marina…
  • Lo sfogo di Minzolini: “Silvio, ti dico io cosa hai sbagliato…”
  • Una voce su FI per il nuovo leader: ecco su chi punta Berlusconi…
  • Silvio scambia la Ravetto per la Boschi e lei risponde: “Presidente guarda che io…”
  • Lo studente realizza il suo sogno: lancia la torta in testa alla prof, ma…
  • Renzi vuole estendere la “mancia”. Ecco a chi andrà ora il bonus…
  • Renzi, 2 botte ai pensionati. Poi fa Frate Indovino: “I sondaggi…”
  • TERREMOTO IN PARLAMENTO – Ecco chi vuole andare col Pd e chi rischia la poltrona…
  • Le pagellone di Feltri dopo le europee: “Il migliore tra gli uomini del Cav è…”
  • LA POLTRONA DI RE GIORGIO – Dopo le europee scatta il Toto-Colle. I nomi in corsa e i loro “sponsor”…
  • Per Befera un altro posto da “sceriffo”: Ecco dove andrà e cosa farà adesso…
  • COMANDANO LE GONNE – Le donne più potenti del mondo. Ecco chi guida la classifica…
  • Innocenzi vendica Santoro, attacco a Grillo “Lascia stare il Maalox, fatti una…”

Vi siete accorti del pattern (che non è il contenuto politico delle notizie, che è ovvio)? Proprio così. La maggior parte dei titoli non sono informativi, ma sono dei teaser, resi coi puntini perché nessuno abbia difficoltà a capire che deve cliccare sul link per sapere tutto. Ovviamente questo significa un’altra impression per Libero e altri introiti diretti (pubblicità che appaiono) e indiretti (scalata delle classifiche Audiweb).

Nulla di illegale, intendiamoci. Qualcuno potrebbe anche dire che il modello classico del quotidiano (titolo che dà la notizia, catenaccio che dà qualche informazione di contorno, articolo che spiega con dovizia di particolari e/o aggiunge il commento del giornalista) è morto, ed è giusto provare nuove vie. Bene: le provi pure. Io passerò a sbirciare Il Giornale, che per il momento lascia ancora le notizie nei titoli.

Clima aziendale

Come capita ogni anno o due (l’ultima volta deve essere stata nel 2012, se non erro), la mia azienda ha mandato a me e ad altre cinquantamila persone il link al questionario sulla rilevazione del clima aziendale; questionario che se non ho capito male è stato preparato dalla Bocconi ed è comune anche ad altre aziende, il che significa che molte domande sono ancora più rarefatte di quelle che si trovano in questionari simili e tendono ad avere la stessa relazione con la realtà degli oroscopi.

Qualche miglioramento rispetto al passato c’è stato: come sempre, il questionario ha un codice personale ma questa volta è stato esplicitato che l’azienda si impegna a non vedere chi ha scritto cosa. Resta però un problema di base: mi sono arrivate quattro mail (e un SMS o due) che mi invitavano ad affrettarmi a compilare il questionario, e per ben due volte la data di scadenza per la compilazione del questionario è stata spostata in avanti, tipici segni che indicano una scarsa partecipazione. Chissà se anche questo verrà preso in considerazione nel misurare il clima.

Leggere le avvertenze

Leggo sul sito della BBC questo articolo, che ha come catenaccio «Uno studio rivela che l’enciclopedia online Wikipedia contiene errori in nove voci su dieci riguardanti la salute, e dovrebbe essere usata con cautela». Toh, chi l’avrebbe mai detto…

Considerando che ci sono buone probabilità che qualche italico quotidiano tradurrà l’articolo nella nostra bella lingua, e che in tal caso – a differenza di quanto fatto dalla BBC – le probabilità che venga intervistato qualcuno di Wikimedia Italia (in teoria io, visto che sono l’addetto stampa) sono nulle, mi porto avanti col lavoro e ricordo che in tutte le voci che riguardano temi medici c’è un disclaimer bello grande che afferma «Avvertenza: Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze.»

disclaimer-medico

Del resto, io non mi fiderei di nessuna voce di Wikipedia, se non per verificare se quello che ricordo è corretto e per usarla come punto di partenza di ricerche serie; ma se per questo non mi fiderei nemmeno di un’enciclopedia medica vera e propria. Questo dovrebbe essere così ovvio da non doversi nemmeno rimarcare: ma a quanto pare non è così. L’articolo citato dalla BBC dice infatti che «tra il 47% e il 70% di medici e studenti in medicina affermano di usare Wikipedia come fonte di informazioni mediche». Ecco: questo sì che è un dato preoccupante. Io posso cercare su Wikipedia l’enunciato esatto di un teorema matematico; ma posso verificare che il teorema sia vero. Come fa a farlo un medico?

Aggiornamento: (28 maggio). Come volevasi dimostrare, l’articolo è apparso, come banale traduzione.