Classifiche buttate lì

L’altra settimana qualcuno ha citato il sito irpef.info (che ovviamente non ha nulla di ufficiale…) per la sua classifica dei contribuenti. In pratica tu indichi un reddito e ti viene detto in che posizione ti trovi nella classifica dei maggiori contribuenti italiani (o se preferisci in quella dei tre maggiori comuni italiani Roma Milano e Napoli… oppure a Palermo).
Vabbè, nulla di male: in fin dei conti non si danno dati personali ma si inserisce solo un numero che può o no essere quello del tuo reddito. La cosa che non mi torna è la loro spiegazione di come viene calcolata la posizione:

Il programma di calcolo utilizza i numeri ufficiali elaborandoli però con un elemento di approssimazione. Infatti mentre le statistiche del Dipartimento indicano quanti contribuenti rientrano in una certa fascia di reddito, ad esempio quella compresa tra 35 mila e 40 mila euro, il programma permette di individuare una posizione assoluta: questo è possibile perché si suppone che i redditi siano distribuiti in modo esattamente uniforme.

Rileggete bene questa frase. viene indicata una posizione assoluta partendo da dati aggregati. Occhei, è come dire misurare la distanza tra Torino e Milano in centimetri, e quindi avere un dato intrinsecamente non valutabile, ma non stiamo a sottilizzare. Il vero problema dal mio punto di vista è un altro. Approssimare “a scalini” (in realtà a piani inclinati) la distribuzione dei redditi è davvero rozzo, e lo potrei accettare giusto se dovessi fare i conti a manina. In prima approssimazione, possiamo immaginare che la distribuzione dei redditi segua più o meno una poissoniana, una curva con una salita rapida e una discesa più lenta; ma anche senza avere studiato statistica non ci vuole molto a trovare una routine che ti calcoli una spline (dalla voce di Wikipedia forse non ci ricavate molto, ma in pratica è una funzione senza angoli o bruschi cambiamenti di direzione che unisce una serie di punti).
Certo, all’atto pratico non cambia molto, è solo un giochetto: però quando uno gioca dovrebbe farlo nel miglior modo possibile.

Non sa l’italiano e le viene negata la cittadinanza

Ieri Repubblica ha pubblicato la notizia di una donna ghanese che «non sa leggere l’italiano» e a cui quindi non le è stata concessa la cittadinanza.

Io mi sarei aspettato che il giornalista avesse fatto il minimo sindacale di lavoro, e avesse provato a dare un’occhiata alla legge sulla cittadinanza. L’articolo 9.1 afferma esplicitamente al comma 1

La concessione della cittadinanza italiana ai sensi degli articoli 5 e 9 e’ subordinata al possesso, da parte dell’interessato, di un’adeguata conoscenza della lingua italiana, non inferiore al livello B1 del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER).

Quello della conoscenza decente della lingua del posto mi sembra un requisito ovvio. Perché scrivere un articolo contro quel cattivone di un sindaco (che non so assolutamente chi sia e che tendenza politica abbia) perché ha applicato la legge? È semplicemente uno dei tanti boomerang che fanno capire come mai la destra sappia fare molto meglio il suo lavoro.

tutto è dovuto

A giudicare da tutti gli screenshot che ho visto tra ieri sera e stamattina, pare che la pagina Facebook di INPS Per la famiglia sia subissata di lamentele da parte di persone che non hanno ottenuto il reddito di cittadinanza oppure hanno avuto una cifra miserrima rispetto alle loro aspettative. Fin qui nulla da raccontare, non mi sarei aspettato qualcosa di diverso: il lamentarsi è tipico, come tipico è il lamentarsi con chi non c’entra nulla, nella fattispecie il gestore della pagina Facebook. L’Inps prende il testo della legge, fa i conti e tira fuori un risultato: può darsi che i conti siano sbagliati, perché per esempio la domanda è stata compilata male e non risultano alcune condizioni che aumenterebbero il reddito percepibile; ma se tu ti fidi di quello che trovi scritto sul gruppo Facebook e non fai nemmeno una domandina al CAF o alle poste forse hai qualche problema a monte, e il reddito di cittadinanza non ti aiuterà più di tanto. (Come dice sempre Antonio Pavolini, è anche tipico il trovare poi il backslash di quelli che si lamentano di chi si lamenta…)

Più interessante, anche se a posteriori anch’esso immaginabile, è leggere di gente che tranquillamente afferma di stare lavorando in nero (l’immagine iniziale, che però non ho visto direttamente e quindi per quanto ne so potrebbe essere un fake, o magari la signora ha avuto un lampo di intelligenza e ha cancellato il post), oppure il disoccupato che percepisce già il reddito di disoccupazione e si incazza perché gli hanno dato solo i quaranta euro di differenza (l’immagine qui a destra, relativa a questo commento), o ancora tanti altri esempi che potete leggere nell’articolo del Post. Tutta gente che non solo ritiene che tutto sia loro dovuto, ma che non ha le competenze cognitive necessarie per accorgersi che sta divulgando al mondo informazioni che forse dovrebbe tenersi per conto suo. La mia sensazione è che il vero guaio di avere sistemi sempre più user friendly è che la gente li usa senza sapere cosa sta facendo. Non è una questione di elitismo: non è che ci dovrebbe essere meno gente a usare i socialcosi, ma bisognerebbe fare corsi seri di alfabetizzazione informatica che sarebbero molto meglio dei cosiddetti lavori socialmente utili.

Termino con una nota più leggera, quella del povero addetto social media della pagina – immagino e spero che ce ne sia più di uno, altrimenti è peggio che i lavori forzati – che risponde a un interlocutore che evidentemente aveva abbastanza tempo per leggersi quella pagina senza doverlo fare per lavoro. Sappi che ti capisco e non ti invidio.

BikeMI con seggiolino

BikeMI elettrica con seggiolino (da https://www.bikemi.com/it/info-servizio/info/la-bicicletta-elettrica-con-seggiolino.aspx )

Da dicembre la schermata iniziale quando uno prende una bici di BikeMI è cambiata. Non ci sono solo le possibilità di prendere una bici normale o a pedalata assistita, ma anche una (elettrica) con seggiolino per portare un bambino. In effetti mi è parso che di queste bici ce ne fossero abbastanza, anche se non so se è tutto un bieco trucco da parte di ClearChannel che le sposta rapidamente qua e là; seriamente, mi pare più preoccupante che abbia già visto almeno un paio di quelle bici senza il seggiolino.
Posso pensare che queste bici facciano parte di un progetto pagato dall’Unione Europea e quindi non risultino come costo per il servizio; ma la cosa continua a lasciarmi perplesso. Mentre la pedalata assistita ha un suo perché, come potrebbero persino averlo le minibiciclette per bambini lasciate d’estate nei parchi, voglio vedere – e in effetti non l’ho mai visto, ma questo non significa molto perché magari io mi muovo in orari non standard – un genitore che mentre è in giro con suo figlio decide improvvisamente che è meglio farsi una bella pedalata. Insomma, tanto fumo e niente arrosto…

Le auto elettriche caricate a gasolio

Nel weekend c’è stata una piccola polemica ulteriore sulla gara di Formula E che si è tenuta a Roma. A parte le solite storie per la città bloccata a causa del gran premio per le auto elettriche, ci sono state svariate foto delle colonnine per la ricarica delle auto elettriche… alimentate da generatori diesel. Se avete letto Repubblica con un minimo di attenzione, probabilmente vi sarete accorti di due cose: la prima è che c’è una citazione dell’autore della foto “presa dai social” (finalmente…); la seconda è che la linea scelta dal quotidiano è di arrampicarsi sugli specchi – in modo sbagliato, secondo me.

Già la frase

«Di certo questa colonnina che viaggia a gasolio – almeno questo… – non ha ricaricato le monoposto da corsa: quelle hanno bisogno di ricariche più potenti e l’organizzatore garantisce che usino solo energia elettrica ricavata da fonti rinnovabili.»

mi sa tanto di excusatio non petita: la rete elettrica è un tutt’uno, quindi quello che fai in pratica è scegliere (e pagare) un fornitore che ti garantisca di usare fonti rinnovabili, ma non puoi sapere come è stata generata l’energia che usi. Il punto è che comunque questi gran premi sono baracconi pubblicitari come e più i GP di Formula 1: in pratica stai promuovendo un’idea, un concetto, non qualcosa che può davvero venire usato oggi. Questo non solo perché quelle auto non sarebbero usabili nella guida di tutti i giorni, ma anche perché non esiste una rete di ricarica permanente, nemmeno notturna nei box di casa. Se quindi fai un evento una volta l’anno non è poi così importante la fonte dell’elettricità: è più che altro un proof of concept che fai con l’equivalente dello scotch.

Quello che ho trovato peggio è stato leggere che quelle colonnine servivano per «diverse vetture che corrono nei campionati monomarca e altre che hanno funzione demo nel paddock.» Se fosse vero, questo significa che l’organizzazione non è stata in grado di calcolare esattamente il suo fabbisogno energetico, e allora tanto valeva lasciare tutto con i generatori diesel: almeno non prendevano in giro la gente e istituzionalizzavano che almeno per ora è tutto un cine.

I veri problemi della scuola

La scuola dei miei bambini è di nuovo agli onori delle cronache. Stavolta però tal Roberto (Colombo, per completezza, come hanno scoperto su Facebook) ha segnalato la scorsa settimana a MilanoToday un gravissimo problema: «sono ancora esposte alle finestre le decorazioni natalizie», con tanto di foto.

Evidentemente il signor Roberto è uno che guarda verso l’alto, e quindi non si accorge dello stato in cui generalmente versa il marciapiede davanti all’ingresso della scuola: ho perso il conto delle volte in cui noi genitori abbiamo segnalato all’AMSA i cocci di vetro rimasti a terra per giorni e giorni. E probabilmente deve avere qualche problema con le festività: a me personalmente gli alberi e i pupazzi di neve fanno solo allegria, e se devo dirla tutta il pensiero di avere gli “addobbi stagionali” mi fa più che altro venire in mente un supermercato. Quegli addobbi non sarebbero un problema nemmeno se tutto il resto andasse alla perfezione: figuriamoci nella situazione attuale.

Ma c’è un punto che non mi è davvero chiaro: l’ultima frase del signor Roberto. «Inoltre, agli studenti bisogna insegnare a rimettere a posto le cose dopo averle usate e non lasciarle in giro in maniera disordinata». Immagina forse che ci sia davvero un armadio con tutti i fantomatici addobbi stagionali, e che quei disordinati dei bambini si siano dimenticati di rimettere a posto quelli natalizi? O più banalmente ha dei figli disordinati come i miei ma ritiene che sia compito della scuola e non dei genitori insegnare loro queste cose? Purtroppo non ci è dato di saperlo. Però a leggere un articolo così a me viene subito in mente quando Johnny Stecchino spiega qual è il vero problema di Palermo: “il traffico”.

No, non è la BBC

Venerdì pomeriggio sono stato in corso Sempione alla Rai a registrare un intervento: sessanta secondi che prima o poi trasmetteranno all’una e mezzo di notte, dopo aver montato il tutto… mi ero preparato per due minuti, e ho dovuto improvvisare. Ma non è dell’intervento che voglio parlarvi.
Per arrivare nello studio di registrazione ho dovuto percorrere un po’ di corridoi interni. La sede sarà anche dei primi anni ’50, ma vi assicuro che lo stile è puro anni ’60. Un tuffo nel passato remoto. (Ovvio che le apparecchiature sono moderne…)

Carnevale della matematica #128: GOTO MaddMaths!

Per un consapevole matematico (ma anche informatico…) 128 è interessante perché è una potenza di 2. Ma aprile è anche il mese della consapevolezza matematica (ma anche statistica…) e quindi, come d’abitudine, il Carnevale della matematica è stato ospitato da MaddMaths!. Attenzione, perché questo mese c’è davvero tanta roba!