Piergiovanna Grossi è un’attiva wikipediana. Ma è anche una professoressa a contratto e una ricercatrice, e le è capitato di scrivere un articolo per una rivista locale di settore un articolo sull’attribuzione dell’ex Oratorio del Montirone ad Abano Terme, il tutto corredato con due foto che lei stessa aveva scattato all’archivio di Stato di Venezia. Bene: dopo aver pagato 16 euro per un preventivo, ha ancora dovuto sborsare 2 (due) euro per il privilegio di poter scattare e utilizzare due foto… oltre ad altri 32 euro di marche da bollo.
Il tutto è stato raccontato la scorsa settimana sul Corriere da Gian Antonio Stella (al quale ho un solo appunto da fare. Mi sta anche bene che “è ovvio che l’Italia ha il dovere di mettere dei paletti contro l’uso di foto del David di Michelangelo con delle sneakers ai piedi o del Bacco di Caravaggio con uno smartphone in mano”: ma per quello basta un decreto ministeriale che vieti un uso non documentale delle immagini.) La beffa ulteriore, se ci fate caso, è che dopo tutto il carteggio burocratico con la direttrice i soldi che vanno all’archivio di Stato sono appunto 2 (due) euro: il resto se l’è intascato lo Stato. Insomma, non siamo neppure alla storia del puzzle Ravensburger (che finirà con il produttore che dovrà pagare la sanzione e si guarderà bene da produrre altri puzzle con opere site in Italia, e lo stesso capiterà con tutti gli altri: ottima pubblicità per il nostro patrimonio artistico).
Il ministro Sangiuliano che ha emanato il decreto in questione è solo l’ultimo esponente di una classe politica che è convinta non solo che il patrimonio artistico sia un bancomat, ma anche appunto che si pubblicizzi da solo. Beh, non penso che l’ex Oratorio del Montirone sarà molto visitato, pubblicità o non pubblicità: ma proprio per questo è ancora più sconcertante la richiesta di un balzello…

La data originale di pubblicazione di questo libro è il 2003: sappiate dunque che non potrete trovare le “ultime notizie” sulla cosmologia, come per esempio la rilevazione di onde gravitazionali. (Non che mi pare ci sia stato molto altro: occhei, il bosone di Higgs, ma Kaku lo dava già praticamente per scontato). Kaku è siouramente innamorato della sua materia, e lo si vede quando racconta le cose. La prima parte del libro è ottima per avere uno sguardo globale sulle varie facce della cosmologia. Poi però nella seconda parte comincia a esagerare con la teoria – anzi LE teorie – delle stringhe, che per fortuna hanno perso l’appeal che avevano al tempo. La terza parte sugli universi paralleli è proprio a livello di romanzetto di fantascienza, e si può tranquillamente saltare. Non aspettatevi insomma troppo.



Rocco Dedda è un insegnante di matematica piuttosto noto per i suoi video su YouTube. In questa sua prima opera racconta la “matematica della felicità”. Che cos’è? Io l’avrei definita “la felicità nella matematica”, anche se ammetto che scritta così sarebbe diventata una via di mezzo tra il dottor Stranamore e una meditazione zen: Dedda spiega nella seconda parte del testo che per lui la differenza tra matematica della felicità e matematica dell’infelicità si vede nel modo in cui ci si approccia alle difficoltà della materia – che ci sono, non giriamoci intorno. Riuscire a trovare una via per vedere la matematica in modo sano porta alla matematica della felicità; rassegnarsi e dire “la matematica non fa per me” manda verso la china della matematica dell’infelicità.