Per dirimere le controversie sulla temperatura interna del nostro open space, un paio di mesi fa avevo portato in ufficio un vecchio termometro digitale made in Lidl che avevo comprato e non usavo più a casa: il termometro aveva due sensori, e ne lasciavo uno sul mio lato e uno su quello opposto (generalmente più fresco di un grado).
Tornato dalle ferie non ci ho più fatto caso: poi mi è venuto in mente di controllare la temperatura e ho scoperto che il termometro non c’era più: almeno da una settimana, mi ha segnalato il collega che era convinto che me lo fossi portato a casa.
La cosa non è che mi preoccupi per il valore del termometro, che nel mio caso era virtualmente zero: però mi chiedo chi è che non vuole farci verificare quanto caldo sarà il nostro autunno!
Alitalia perde più di 200 dipendenti al mese
(la palla me l’ha alzata Carletto Darwin…) Vediamo quanta gente si vuole far fuori da Alitalia.
28 marzo 2008, il Giornale: 2.100 esuberi: 1.500 esuberi per Alitalia, 100 esuberi tra i dipendenti all’estero, e 500 esuberi tra le attività di Az Servizi di cui è prevista la reinternalizzazione
4 settembre 2008, il Giornale: Esuberi inferfiori (sic) al previsto: 3.250, ha detto il ministro del Lavoro Sacconi.
I conti sono presto fatti: se in poco più di cinque mesi il numero di licenziandi aumenta di 1150 unità, ogni mese se ne perdono più di duecento. Chissà, forse così è più chiaro per qualcuno…
(sui soldi persi, se ne parla qui: ma all’Espresso sono tutti komunisti, quindi lascerei quei numeri da parte e mi limiterei ai dati tratti dal giornale di famiglia)
daspare
Qui a fianco potete vedere il titolo della notizia appena pubblicata da Repubblica. Nel caso piuttosto probabile che non abbiate assolutamente capito di che si parli, mi affretto ad aggiungere che il Daspo è un pseudoacronimo per Divieto di Assistere a manifestazioni SPOrtive: l’acronimo DAMS era già occupato e così si sono inventati questa antipatica parola. Però c’è un limite a tutto, e questo limite è superato di botto quando non solo si crea un participio a partire dal termine, ma lo si usa in un titolo. Non è problema di lunghezza: sarebbe bastato scrivere “Daspo per quattordici tifosi”.
Quei tifosi che fanno violenza alle cose sono indubbiamente peggio di quel titolista che fa violenza alla lingua: però garantisco che gradirei stare molto lontano da tutti loro.
Aggiornamento (8 settembre): una ricerca sugli archivi di Repubblica ha portato a due occorrenze del termine “daspati”, entrambe tra virgolette e con spiegazione accanto: la prima di esse è del gennaio 2005. Il Corriere ne ha una sola, ma addirittura di settembre 2004. Insomma, prima di questa ricaduta si poteva sperare che gli anticorpi della lingua l’avessero protetta… e invece no.
indizio inequivocabile della fine del mondo
È nato l’ennesimo festival culturale italiano: stavolta tocca a Pavia, con il Festival dei saperi che si svolge in questi giorni. Ma questo di per sé non è nulla di strano.
Il sito in questione è di usabilità assolutamente nulla, con inutile javascript a manetta. Ma questo di per sé non è nulla di strano.
Il Vero Indizio Inequivocabile notare che il tema di quest’anno è “Linguaggi della creatività: matematica e musica”, guardare il programma e verificare che non è stato invitato Piergiorgio Odifreddi.
L’Italia vista dal Regno Unito
Ieri sera un dirigente Telecom (di cui non faccio il nome :-) ) mi ha mandato una mail con il link a questo articolo del Guardian della scorsa settimana, dicendomi “cerca silvio :-)” Il risultato lo potete vedere da voi: cliccando qui vi trovate anche un estratto maggiore del testo dell’articolo, che mi sono salvato a futura memoria.
A parte le scontate battute, la cosa che mi lascia più basito non è tanto che ci sia stata una talpa (italiana, immagino) che abbia corretto così il testo, quanto che in una settimana nessuno se ne sia accorto e abbia corretto l’articolo. Sarebbe interessante vedere se l’articolo era anche apparso sulla versione cartacea, e con quale testo!
Da cosa nasce cosa (libro)
Bruno Munari, oltre che bravissimo designer,viene ricordato come importante artista: non so quanto lui sarebbe d’accordo, almeno leggendo questo libro (Bruno Munari, Da cosa nasce cosa, Laterza – Economica 96, 1996 [1981], pag. 385, € 9,50, ISBN 978-88-420-5117-6) che raccoglie i suoi (frammentari, e con troppe virgole per i miei gusti) pensieri sul design. Munari non perde occasione di ripetere che l’artista può fare quel che gli pare, mentre il designer ha dei vincoli ben precisi. Materiali, perché l’oggetto da produrre non può costare più di quanto si possa far presumibilmente pagare al pubblico, ma anche pratici; quello che lui chiama styling, l’aggiungere orpelli per far vedere quanto costa l’oggetto, è anch’esso ben lontano dal design.
Il risultato finale è però un po’ deludente, almeno per uno come me che creativo non è. Il suo punto di vista, che occorre fare uno studio preliminare diviso in svariati passi, e solo alla fine si può vedere se e dove si può aggiungere la creatività, è sicuramente vincente: ma dalle pagine del libro la creatività non traspare, e si vedono solo i passi formali di partenza, tipo lista della spesa. La parte migliore a mio parere è la sezione “Compasso d’Oro a ignoto”, dove alcuni oggetti comuni vengono presi e analizzati per vedere come in effetti seguano le regole che Munari dà per un oggetto di design, compresi ovviamente i vincoli di materiale e costo, e l’evoluzione del rasoio, dalla vecchia lama da affilare ai bilama usa-e-getta. Speravo in qualcosa di più.
Anche gli ombrelloni si riducono
Ai soliti oggetti venduti dai venditori ambulanti che si trovano nelle spiagge, liguri ma immagino anche nel resto d’Italia, quest’anno se n’è aggiunto uno nuovo: l’ombrello. Ombrello. sì, non ombrellone; prezzo fisso cinque euro, manco ci fosse un cartello. Così ad occhio sono gli stessi ombrelli che si sono visti a Milano per tutto questo inverno e primavera, il che significa almeno tre cose: c’è una transumanza non solo dei vu cumprà ma anche dei loro rifornitori; questi hanno completamente sbagliato la produzione, se con tutto quello che è piovuto quest’anno non sono riusciti a farli fuori; e infine che hanno dei problemi a concepire che ombrelli e ombrelloni, per quanto simili, hanno usi ben diversi… o magari hanno pensato che con la crisi in corso la gente pensi a ridurre proprio tutto!