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matematto non praticante

concorsi


Milanesi! C`è qualcuno interessato a comprare un iPhone7 ancora incellofanato?

(per la cronaca: mentre stavamo facendo la spesa ho sentito la musichetta “in questo punto vendita è stato appena vinto un iPhone 7!” La casualità permette anche cluster come questi)

Le procedure s’hanno da rispettare

Ricordate la mia segnalazione al servizio clienti Lidl, con conseguente mail in cui mi venivano chiesti numero di telefono e indirizzo? Ordunque, mi è appena arrivata una chiamata dal servizio clienti Lidl (a cui avevo dato il numero di telefono) nella quale mi è stato chiesto il mio indirizzo. A quanto pare, senza sapere dove abito è impossibile dare corso alla mia richiesta (che poi era semplicemente “si può comprare una nuova batteria ricaricabile per il mio regolacapelli”: sicuramente tra me e loro abbiamo già speso molti più soldi di quanti me ne servirebbero per prenderne uno vuoto, ma notoriamente io sono un tipo che non vuole buttare via cose se non proprio quando non funzionano più.

Resta sin dall’inizio un mio dubbio esistenziale. Evidentemente Lidl non concepisce il pensiero di una segnalazione nella quale il cliente si identifica solo con la sua email; ci vuole il telefono e l’indirizzo. Amen. Ma allora perché non li metti obbligatori nel modulo di segnalazione? Semplificheremo la vita a tutti. Invece no. Perché?

nuove professioni

Una volta sui treni trovavi solo il tipo che ti chiedeva l’euro che gli mancava per fare il biglietto. Ora mi sono trovato la signorina di Italo che ha cercato di venderci una carta di credito.

_Sotto Tiberio_ (libro)

Gaio Fulvio Falconio era il ghostwriter di Tiberio, ma quando le crisi di pazzia dell’imperatore crebbero e Seiano divenne il suo facente funzione cadde in disgrazia e fu esiliato in Palestina. Ma anziché presentarsi al legato di Roma, tale Ponzio Pilato, notando come la popolazione locale stesse aspettando un messia gli venne un’idea. Prese un ladruncolo che però aveva uno sguardo penetrante e gli propose un affare: gli avrebbe scritto i discorsi da pronunciare al popolo per ottenere così tante offerte da tornare entrambi a Roma da nababbi. E così… In questo libro (Nick Tosches, Sotto Tiberio, Mondadori 2016 [2015], pag. 322, € 22, ISBN 9788804664192, trad. Stefano Tettamanti) Nick Tosches prende in giro i vangeli e la religione con virtuosismi estremi; dal discorso iniziale con il monsignore della curia vaticana che per caso trova il manoscritto di cui il romanzo sarebbe la traduzione dal latino, alla pomposa prosa iniziale che deve aver fatto impazzire l’ottimo Stefano Tettamanti. I testi evangelici sono in buona parte presenti nel testo, anche se in un ordine un po’ strano, ma la loro genesi è del tutto diversa, come potete immaginare. Le avventure del duo e della crescente congrega di discepoli sono sicuramente spigliate; quello che lascia un po’ perplessi è come Tosches fa terminare la storia. Non tanto per il tradimento, anche se i traditori non sono chi pensate (o no?) quanto per le aspirazioni messianiche, e per l’anticlimax finale.

ciao mamma, sono in tivvù

Occhei, non tv ma webtv, però di Repubblica. Oggi c’era la giornata conclusiva del secondo progetto #WikiTIM, e visto che era al Politecnico di Milano ho preso il cappellino di portavoce di Wikimedia Italia e sono andato a portare il verbo dell’enciclopedia libera. Qui (dal minuto 2:15) potete vedere il vostro affezionato tenutario in mise sgarrupata come sempre, però con un’aria molto più seria dell’usuale.

Vero e falso in rete

Lunedì scorso è apparso su Internazionale un bell’articolo di Annamaria Testa, che in circa 1200 parole riesce a condensare e organizzare una serie di fatti sulla rete che dovrebbero essere di dominio pubblico ma che mi sa siano più o meno compresi solo da una piccola parte degli internettari, e anche i pochi che ne capiscono di solito non riescono a unire tutti i puntini. Perlomeno io non l’avevo fatto, poi magari voi siete più bravi di me.

Tutto parte dal concetto di vero o falso, o se preferite della post-verità (post-truth) che come mi ha spiegato il mio amico Paolo Artuso vede oramai una gara a postare tutto quello che arriva e al limite segnalare in seguito che non era vero. L’unico punto su cui sono in disaccordo con Testa è che quando c’erano Loro (televisione e giornali) testate e giornalisti si facevano carico della responsabilità di distinguere il vero dal falso. Sono abbastanza vecchio da ricordarmi di smentite relegate in trafiletti di cronaca. Insomma la mia esperienza – a posteriori, mi tocca dire, perché da ragazzo e anche da giovane ero molto più naïf – è che questo delegare non è mai stato davvero ottimale.

Il punto fondamentale, però, è che non saper distinguere il vero dal falso porta a tutti e tre i guai attuali dell’informazione in rete, ufficiale e no. Oltre alle stanze dell’eco e alle bolle di filtraggio che io appunto credo essere una costante della storia dell’umanità e che non sono altro che un delegare a qualcun altro la ricerca del vero, troviamo la propagazione di bufale da gente che non ha gli strumenti per distinguere il vero dal falso e soprattutto il complottismo, che Testa definisce come il risutato di un atteggiamento nichilista: se tutto potrebbe essere falso, significa che ci deve essere una verità per pochi iniziati.

Ovvia conclusione è che per cercare di risolvere tutti questi problemi in un colpo solo bisognerebbe riuscire a spiegare come distinguere il vero dal falso (anche se non basta, aggiungo io: bisogna anche convincere la gente a seguire queste linee guida, e visto che per farlo bisogna fare fatica non saranno comunque in molti a decidersi). Il guaio è che non ci sono regole ferree, ma bisogna seguire una serie di euristiche, anche perché mentre il falso può spesso lasciare chiare tracce sono convinto che la verità sia di solito elusiva e mai completa al 100%, come ben sa chi contribuisce seriamente a Wikipedia. Io uso spesso il rasoio di Occam e per quanto possibile cerco opinioni opposte, ma ammetto di avere un pregiudizio a favore di quelle argomentate meglio e con più fonti e contro quelle circondate da troppa pubblicità: nessuna delle due cose è di per sé garanzia assoluta di verità. Ad ogni modo, a proposito di fonti, leggete l’articolo di Annamaria Testa, perché è pieno di collegamenti a suoi altri articoli dove amplia il punto di vista. Ci vorrà un po’ di tempo, ma credo sarà ben speso.

Cronaca di una manifestazione

Stamattina a Milano la minima era di tre gradi sotto lo zero. Eppure eravamo in duemila a manifestare contro TIM, che ha unilateralmente deciso di disdire il contratto di secondo livello per proporne uno che definire punitivo è dire poco. Per chi è giovane, forse è meglio aggiungere qualche informazione in più: la lascio però in fondo perché è un po’ un pippone.

Devo dire che di manifestazioni sindacali ne ho fatte un po’, ma non mi ricordo davvero tutta questa partecipazione, tra l’altro a tutti i livelli, comprese funzioni aziendali che uno non si aspetterebbe affatto di vedere. Non ero il solo quadro (a volte mi è capitato…); questa cosa, unita al vedere tanta gente per nulla iscritta ai sindacati, mi ha fatto piacere. A proposito di sindacati: a parte la Triplice e l’UGL, sdoganata ormai da un decennio, c’erano anche gli autonomi dello Snater, cosa che ho apprezzato proprio perché segno di un’unità almeno questa volta. Brillava per assenza solamente USB, ma la cosa non mi stupisce affatto: dal mio punto di vista non sono un sindacato ma un gruppo antagonista.

TIM ha sbarrato l’ingresso alla sua sede, non si capisce bene per paura di cosa: tanto per dire, quelli della Borsa non si sono nemmeno preoccupati di far scendere dagli scalini di Palazzo Mezzanotte le tute rosse che aspettavano durante il concentramento, e anche l’ampio spiegamento di forze dell’ordine in assetto antisommossa (carabinieri a un estremo e polizia all’altro per non mischiarli, con un po’ di Digos immagino in mezzo perché s’ha da fare così) era parecchio rilassato. D’altra parte siamo ormai tutti vecchietti, non avremmo la forza di fare sfondamenti… Più seriamente, non ricordo nessuna manifestazione di telefonici che sia trascesa, anche per l’ottima ragione che noi vogliamo solo fare sapere il nostro punto di vista, e non fare danni in giro.

Peccato che mentre sto scrivendo l’unico quotidiano che ha parlato è stato Il Giorno: do il beneficio del dubbio al Giornale che da quanto ho capito aggiorna la pagina milanese solo all’inizio della giornata, ma Repubblica ha preferito parlare dell’appello sui dossier Telecom e il Corriere non è pervenuto. Vediamo domattina :-)

Nella passeggiata del corteo per le vie del centro mi sono stati raccontati anche alcuni aneddoti su cosa sta succedendo, ma non essendo io Dagospia quelli non ve li dico :-); trovate infine qualche foto qui.

P.S.: Ecco le informazioni. Fino al 2000, esisteva il contratto “dei telefonici”, in pratica della SIP poi Telecom Italia. Le altre aziende di telefonia usavano altri contratti, da quello metalmeccanico – storicamente il default – a quello del commercio. Ci fu chiesto di avere un unico contratto di settore per avere “forte innovatività e grande equilibrio tra esigenze di flessibilità delle imprese e tutela dei lavoratori”, e il 28 giugno 2000 fu firmato il nuovo contratto, dove l’equilibrio come potete immaginare è stato posto il più in basso possibile. Contestualmente la parte del contratto Telecom che era migliorativa è stata spostata in questo contratto di secondo livello, che non è stato ritoccato se non in minima parte negli anni: se non ricordo male, sul telelavoro e sul valore del ticket (che non faceva comunque parte del CCNL). Potete trovare qualche informazione qui, mentre se volete studiare le differenze qui trovate l’accordo disdetto e qui (manco a farlo apposta, sul sito del CNEL…) la versione “di armonizzazione” del 2000.