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matematto non praticante

Meglio non usare tutte cifre diverse per il pin

Supponete di avere un pin di quattro cifre su un telefono senza riconoscimento biometrico. Se qualcuno vi rubasse il telefono, potrebbe vedere in quali punti dello schermo ci sono più ditate e intuire che quei punti corrispondono alle cifre del pin. Partiamo quindi dall’ipotesi che un Cattivo sappia che noi abbiamo un pin di quattro cifre e sappia anche quali cifre abbiamo usato. Quante possibilità diverse ci sono? Beh, se tutte e quattro le cifre sono diverse, la risposta è semplice: sono 4!, cioè 24. Un po’ poche, conviene usare un pin più lungo. Ma attenzione: cosa succede se si ripete una cifra e quindi se ne usano solo tre? Si possono fare i conti a mano. Supponiamo che si usino le cifre 1, 2, 3 (quali siano è indifferente, il Cattivo conosce il terzetto) e che ci siano due 1. Abbiamo 12 combinazioni: 1123, 1132, 1213, 1312, 1231, 1321, 2113, 2131, 2311, 3112, 3121, 3211; in tutto 12 possibilità. Ma la cifra ripetuta potrebbe essere anche il 2 oppure il 3, e questo il Cattivo non lo può sapere; quindi in totale le combinazioni possibili sono 36. Sempre poche, ma un po’ di più. Per la cronaca: non conviene ridurre il numero di cifre: se ne usiamo due abbiamo 14 possibilità, perché ci sono 16 numeri binari di quattro cifre ma dobbiamo eliminare le combinazioni 1111 e 2222, e con una cifra sola abbiamo evidentemente una sola possibilità.

Gli iPhone ora richiedono sei caratteri come lunghezza minima di un pin; cosa conviene fare in questo caso? Con sei cifre diverse abbiamo sicuramente 6! = 720 combinazioni; con cinque cifre diverse e una ripetuta, per ciascuna cifra ripetuta abbiamo 6!/2! = 360 combinazioni, quindi in tutto ben 1800. I conti poi si fanno più complicati, ma per fortuna OEIS viene in nostro aiuto. Abbiamo così che per quattro cifre distinte le combinazioni sono 1560, mentre per 3, 2, 1 sono rispettivamente 540, 62, 1. Occhei, gli ultimi due casi erano facili come i primi due. Per curiosità, con 7 cifre conviene ripeterne due, così come con 8 e 9 cifre. Potrebbe essere interessante studiare al crescere del numero di caratteri possibili (le cifre finiscono troppo presto) qual è il numero di caratteri da ripetere per ottenere il massimo numero di combinazioni. Sono troppo pigro per mettermi a programmare (non basta excel, qui ci vogliono programmi che usino numeri interi di un numero qualunque di cifre) per ottenere una stima precisa, ma non mi stupirei più di tanto se la risposta per n caratteri fosse dalle parti di n/e …

Aulica prosa natalizia

Comunicato aziendale, sfrondato di una parte tecnica:


Care colleghe e cari colleghi,
considerando le incombenze da affrontare nel periodo natalizio e il grande traffico che generano, si è ritenuto che potesse essere fortemente apprezzata la possibilità di lavorare in agile nello stesso periodo.

Vi comunichiamo, quindi, che dal 22 al 28 dicembre 2025, le colleghe e i colleghi che hanno aderito al lavoro agile svolgeranno la propria attività in tale modalità per tutti e cinque i giorni della settimana. Non sarà necessario effettuare la pianificazione del lavoro agile sul portale dedicato.
Chi invece non ha aderito o non è abilitato allo svolgimento dell’attività in modalità agile, potrà continuare a recarsi in sede.

[…]

Un modo per accompagnare, con maggiore serenità e flessibilità, questo periodo speciale dell’anno.

Human Resources


Non riguarda me, che sono in ferie fino a fine anno, ma sono sicuro che i miei colleghi apprezzeranno che a Natale e santo Stefano potranno lavorare tranquillamente da casa. E dire che in Comunicazione interna abbiamo della gente che sa scrivere davvero bene (davvero, io sono in grado di comprendere abbastanza bene la struttura di un testo): evidentemente anche loro erano in ferie. E venerdì 2 gennaio sarò pronto a presentarmi in ufficio, una volta terminate le incombenze e il grande traffico.

Maledetta fisica!

Grazie a VonAusterliz ho scoperto questo articolo di Shanaka Anslem Perera che vede la bolla AI dal punto di vista di un analista finanziario che guarda al di là della finanza vera e propria. O meglio: c’è un punto puramente finanziario, il crollo del valore delle azioni di Oracle dopo che nel report trimestrale ha indicato il valore totale di contratti non ancora incassati a 523 miliardi di dollari (il 438% in più dell’anno scorso); ma c’è un altro punto che hanno segnalato in pochi. In Texas le richieste di future connessioni alla rete elettrica sono per un totale di 230 gigawatt. L’anno scorso erano 63. Il numero da solo non dice molto, ma per fare un confronto la potenza capacità totale negli USA l’anno scorso era 1200 gigawatt. In pratica il solo Texas aumenterebbe la produzione del 20%: e per cosa? Ovvio, per i datacenter AI.

Il problema non è solo il calore generato da questi data center con chip sempre più energivori, con le ben note conseguenze sul riscaldamento. (Anche se la quantità di energia dal sole sta aumentando tantissimo persino negli USA nonostante Trump, si pensa di ricorrere soprattutto all’energia nucleare: ricordo che Microsoft ha fatto un contratto per far ripartire la centrale di Three Mile Island, per esempio). Il problema è la termodinamica. Secondo Anslem Perera, superando i 20-30 kilowatt per rack non è più fisicamente possibile usare la convezione per raffreddarli con l’aria, e occorre passare ai liquidi refrigeranti con tutti i problemi del caso. Certo, continua, a settembre Microsoft ha annunciato un sistema per inserire i tubi di raffreddamento direttamente nel silicio, triplicando la capacità refrigerante: ma come lui nota «questo non è un miglioramento incrementale. Si tratta di un’innovazione dettata dalla disperazione, dal riconoscere che la fisica dei calcoli necessari per l’IA sta raggiungendo i propri limiti fondamentali.» E non è detto che la disperazione porti sempre ai risultati cercati.

Anslem Perera non è del tutto pessimista sulla bolla. Guardando gli esempi passati, come le ferrovie negli anni 1840 in Inghilterra e la bolla delle telecomunicazioni degli anni 1990 – per fortuna ci ha risparmiato la bolla dei bulbi di tulipano… – nota infatti una differenza fondamentale. I grandi player, con l’eccezione appunto di Oracle, stanno mettendo soldi veri del loro cashflow nello sviluppo di AI, e infatti i mercati considerano il rischio di Microsoft, Google, Amazon, e Meta minore. E indubbiamente il mondo enterprise si è già mosso verso l’uso dell’intelligenza artificiale. Quello che lui vede però è un sistema in equilibrio instabile, e che non ci permette di prevedere con sicurezza da che parte si muoverà. Ma soprattutto, come dicevo sopra, stiamo cominciando a fare i conti con le leggi fisiche molto prima che ce lo aspettassimo: con la legge di Moore siamo andati avanti per decenni, ma qui non avremo tutto questo tempo. L’ho sempre detto io: la fisica è una brutta bestia.

Danni collaterali delle IA: la RAM

Vi sarete forse accorti che il costo della memoria dei computer è più che raddoppiato in questi mesi, e anche i dischi SSD sono aumentati di prezzo.. Oscillazioni dei prezzi della RAM sono abbastanza comuni, ma questa volta il problema pare maggiore, come lo dimostra la notizia pubblicata un paio di settimane fa: Micron, uno dei maggiori produttori mondiali, ha affermato che da febbraio non venderà più al mercato consumer le sue memorie e SSD con il marchio Crucial. Come mai? Semplice: la richiesta da parte dei data center delle aziende IA è così alta che la produzione è accaparrata da loro. E se le scorte sono ridotte, si guadagna comunque di più con relativamente pochi grandi ordini che mandando i prodotti nella filiera commerciale, senza contare che la produzione si è spostata dalle DDR4 verso le più costose DDR5.

Perché allora i produttori non aumentano la capacità? Non è così semplice. Ci vuole un paio d’anni per costruire nuove linee produttive, e come perfidamente dice David Gerard i produttori mica si fidano che la bolla IA non scoppi prima. Quindi la produzione aumenterà sì, ma non di molto. Io sono un po’ meno pessimista e ritengo che lo scoppio della bolla non porterà a un crollo della domanda ma a una semplice stagnazione – nonostante i progressi di Gemini 3 non credo sia vicino a noi un nuovo breakthrough – e quindi la situazione si stabilizzerà. Però è probabile che almeno per tutto il 2026 non converrà comprare nuovi PC o nuovi furbofoni, a meno di avere davvero tanti soldi da spendere. Non ce lo aspettavammo questo danno collaterale dovuto all’intelligenza artificiale, vero?

Centolettori (ebook)

copertina L’idea di questo libro è bellissima: mostrare alcune delle “schede di lettura” degli archivi Einaudi dove molti illustri personaggi danno il loro giudizio su un libro (spesso in lingua straniera, ma ci sono anche testi in italiano), valutando se e come vale la pena di pubblicarlo per la casa editrice. La cosa più bella è probabilmente la lettura tra le righe: negli anni ’50 Einaudi era rigorosamente marxista, e quindi i testi venivano anche letti con quella lente. Quello che però non funziona bene sono le note dopo le recensioni. Tommaso Munari si limita quasi solo a dire se il libro è stato poi pubblicato in Italia e da chi – non è detto che l’editore sia Einaudi: soprattutto Feltrinelli pescava nello stesso bacino. LE note su chi sono i lettori sono limitate a pochissime righe, costringendomi spesso a vedere se per caso Wikipedia parlasse di loro: un conto sono scrittori come Lucentini, Calvino e Primo Levi, o critici come Massimo Mila; ma altri nomi sono davvero sconosciuti se non si è esperti del tema del libro. Un peccato, perché una raccolta così è un tuffo nella storia non solo letteraria dell’Italia del dopoguerra.

Tommaso Munari (ed.), Centolettori : I pareri di lettura dei consulenti Einaudi 1941-1991, Einaudi 2015, pag. 468, € 9,99 (cartaceo 26), ISBN 9788858417591 – come Affiliato Amazon, se acquistate il libro dal link Bezos mi dà qualche centesimo dei suoi utili
Voto: 3/5

Punirne migliaia per correggerne qualcuno

Ieri la mia azienda mi ha mandato una mail dicendo «Ti informiamo che, a partire dal 15 dicembre 2025, sarà necessario presentare la certificazione medica anche in caso di assenze per malattia di durata pari o inferiore a un giorno.»

A me la cosa non cambia molto: non credo che negli ultimi dieci anni se non di più sia mai stato a casa per malattia un singolo giorno, e se devo fare una visita ospedaliera mi faccio sempre indicare le ore della visita. A pensare male questa è una ritorsione aziendale perché nel nuovo contratto collettivo di lavoro (che dovrebbe essere stato approvato, anche se non c’è ancora l’ufficialità mentre scrivo) non è passata la norma che prevedeva un taglio del pagamento dopo la prima assenza dell’anno, e pensano che magari in questo modo qualcuno mugugnerà e prenderà permessi anziché chiedere malattia. Ma pensiamo bene: l’azienda si è accorta che ci sono molti furbetti della malattia e ha scelto questo modo per stanarli. Quello che mi domando è: se è davvero così, perché l’azienda non si è limitata a dire che si riservava il diritto di cominciare a chiedere a un dipendente la certificazione per un singolo giorno di malattia? Questo sarebbe stato sufficiente a stroncare gli abusi e non avrebbe dato un segno di mancanza di fiducia nei nostri confronti, che si aggiunge a quello degli scorsi giorni per cui – al momento a Roma, ma mi immagino presto anche da noi – non sarà possibile entrare in una sede aziendale diversa dalla propria e anche nella propria nelle giornate non previste senza previo permesso del capo. Poi uno si chiede perché l’attaccamento ai valori aziendali è sceso sotto terra.

Ah sì, in questi giorni è partita l’Indagine di Clima Aziendale, iniziativa talmente volontaria che il nostro capo ci ha già detto che continuerà a romperci le palle per ricordarci di farla. Indagine ovviamente pseudonimizzata e a cui ovviamente non parteciperò nemmeno quest’anno, ritenendola assolutamente inutile. (L’alternativa sarebbe mettere tutti voti “2”, sperando che le domande siano studiate in modo da fare controlli incrociati alto-basso e quindi farsi invalidare il mio risultato: non riuscirei comunque a inquinarlo, perché siamo in troppi)