Per un progetto che non so se riuscirò mai a condurre in porto mi sono finalmente deciso a procurarmi il libro Wikipedia: L’enciclopedia libera e l’egemonia dell’informazione di Emanuele Mastrangelo ed Enrico Petrucci, uscito per i tipi di Bietti a fine 2013. Dopo che l’avrò finito farò come al solito la mia recensione, ma visto che buona parte dei commenti che dovrei fare non sono certo asettici, ho deciso di fare anche questo post più puntuale a proposito soprattutto delle prime due parti del libro; nel seguito gli autori entrano negli attacchi ad hominem e non vale molto la pena discutere.
Prima di entrare nel merito, però, ecco una lunga serie di disclaimer. Per prima cosa: quel libro è scritto da due persone, ma parlerò solo di Mastrangelo perché è lui che si è sempre esposto in pubblico. È possibile che certe affermazioni che metterò in bocca a Mastrangelo siano di Petrucci, insomma. In secondo luogo, io sono il portavoce di Wikimedia Italia, un admin di Wikipedia in lingua italiana, e quindi è possibile che per quanto io mi sforzi di essere oggettivo possa inserire affermazioni che non lo siano: non fidatevi ciecamente di quanto io scriva, ma guardate anche i link. Ho avuto a che fare con Mastrangelo all’interno di Wikipedia (qui), ma non ho partecipato alle discussioni che hanno portato al suo ban (qui e qui). Infine, Mastrangelo è politicamente schierato a destra, e i suoi interessi su Wikipedia sono stati prettamente storici, con particolare enfasi sulle popolazioni dell’ex Repubblica Veneta, sul Ventennio e sulla seconda guerra mondiale in Italia. E ora, via con il libro, non senza ricordare che un’analisi meno legata a Wikipedia è stata scritta da Salvatore Talia sul sito dei Wu Ming.
Partiamo con una nota positiva: la descrizione tecnica di come funziona Wikipedia, nel bene e nel male (nel senso di Wikipedia, non della descrizione!) è ben fatta. Da questo punto di vista il libro ha indubbiamente un suo valore. Peccato che la veste grafica piacevole sia rovinata da alcuni banali refusi, che mostrano poca attenzione nella rilettura delle bozze. Finché sbagliano a scrivere il mio cognome possono sempre dare la colpa a quel cattivo correttore ortografico, ma il “Larry Sgeanr” di pagina 150 magari poteva venire notato :-) Ma è un peccato ancora maggiore che nell’affannarsi a esprimere il suo punto di vista personale, con effetti a volte curiosi come vedremo in seguito, Mastrangelo si dimentichi spesso dei suoi utili consigli e di quale sarebbe il lavoro dello storico. Questo lo vediamo già nella quarta di copertina, dove Mastrangelo afferma di sé in terza persona «Nel 2011 fu espulso da Wikipedia per aver sostenuto che la storiografia italiana non è rimasta ferma agli anni Ottanta». Già non avere verificato che si era nel novembre 2010 non depone molto a suo favore, ma la discussione mostra che anche se “forzatura di fonti” (cioè far dire alle fonti quello che uno vuole) equivalesse a “sostenere che la storiografia italiana non è rimasta ferma agli anni Ottanta” l’espulsione non fu per questo ma per violazione del primo, secondo e quarto pilastro: un po’ diverso da quanto da lui affermato a pagina 228, che cioè «Sebbene bandito per “falsificazione di fonti”, l’accusa non è mai stata provata e, anzi, risultano falsificate le prove condotte contro di esso.». Un esempio minimale di fonti usate un po’ allegramente lo troviamo nell’esergo del primo capitolo, con la citazione «L’informazione è la moneta corrente della democrazia – Thomas Jefferson (attribuita)» e una pagina dedicata a raccontare di cosa Jefferson direbbe oggi, con la foglia di fico di quell'”attribuita”. Peccato che il secondo presidente degli Stati Uniti non abbia mai affermato nulla di simile: non lo dico io né Wikipedia – che in effetti non ne ha traccia – ma il sito monticello.org, il sito della The Thomas Jefferson Foundation. Tra l’altro pare che a coniare la frase sia stato il politico di sinistra radicale americano Ralph Nader… Ma anche la “citazione gramsciana” a pagina 369 del libro, a detta di Talia, non è stata pronunciata dal pensatore comunista… anche se era scritta su Wikipedia. Colpa di qualche sinistro sinistorso, indubbio.
Un leit motiv del libro è l’allarme contro «la deriva autoritaria che minaccia Wikipedia in italiano, portata da gruppi più o meno organizzati di wikipediani.» (pagina 7) e l’«ombra […] delle derive autoritarie che si insinuano tra i liberi e volenterosi contributori dell’enciclopedia» (pagina 8: già qui si vede come un’asciugatura del testo che togliesse le mille ripetizioni sarebbe stata opportuna). Non mi è ben chiaro quali siano i “gruppi più o meno organizzati” che portano alla deriva autoritaria e quale sia la differenza con gli altri utenti portati come esempio positivo e che nelle discussioni si trovano sempre dallo stesso punto di vista: magari è solo un problema di prospettiva. Prospettiva un po’ strana, in effetti. Gli autori affermano «Ma anche le potenziali necessità dei lettori passano in secondo piano di fronte alla natura libertaria e anarchica del progetto ; […] un Pokémon su Wikipedia potrà avere la stessa dignità e lo stesso spazio dedicato a un Nobel per la pace come Albert Schweitzer.» (pagina 19: corretto, e visto anche da loro positivamente). Ma continuano poi con «Wikipedia funziona anche da amplificatore: tesi minoritarie trattate sull’enciclopedia riprese dai media mainstream diventano esse stesse fonti per l’enciclopedia. Si crea quindi un meccanismo di retro-azione in cui più Wikipedia parla di un argomento “minoritario”, più questo ha possibilità di essere ripreso dai media, amplificato e per questo reso sempre meno di nicchia» (pagina 35). La prima parte è corretta, sulla seconda non ci giurerei troppo all’atto pratico ma soprattutto non ha un grande senso nel campo storico e storiografico, dove le fonti non dovrebbero essere tanto i media quanto gli storici; ma sicuramente utenti come Barbicone, Jose Antonio, Presbite e Theirrules, tutti citati assai positivamente nel libro – Presbite è citato a pagina 300 come «uno dei migliori contributori di Wikipedia in italiano, perseguitato su quella in inglese dalla cricca croata» – cercano di far parlare degli argomenti “minoritari”, o per meglio dire delle teorie minoritarie su argomenti che minoritari non sono, con frasi tipo “ho contattato un mio conoscente sloveno insegnante di scuola” (Presbite, pagina 167). Insomma dagli esempi “positivi” portati da Mastrangelo e Petrucci possiamo notare le «meccaniche di deduzione ed estrapolazione [che] sono il sale della ricerca accademica in ogni campo e in ogni livello, ma in una enciclopedia finiscono per inserire un’inevitabile distorsione a favore dell’opinione del compilatore.» (pagina 82). Oops, forse non erano riferite a loro. Ah, la frase che ho estrapolato è all’interno delle quattro pagine di discussione sulla famosissima battaglia di Tarnova.
[Intermezzo con due note molto pedanti da matematico: la frase «È davvero arduo fare un’analisi sociologica di una comunità dove solo lo 0,8% degli iscritti ha una qualche attività effettiva di contributo e sviluppo di Wikipedia.» di pagina 165 è assolutamente incomprensibile. Se il 99,2% degli iscritti non contribuisce né sviluppa Wikipedia, non fa parte della comunità: non vedo il problema se non il tentativo di dare una legittimazione “oggettiva” a quella che è una scelta soggettiva e cioè di non tentare un’analisi sociologica ma limitarsi a esempi tutti presi da una parte. D’altra parte, come detto a pagina 171, «Il media Wikipedia evidentemente risulta particolarmente attraente per individui caratterizzati da certi interessi, e non da altri.».
La seconda nota è sul grafico a pagina 235 dove si vede schizzare in alto la percentuale di segnalazioni chiuse contro il segnalatore stesso. Quando c’è 1 (una) segnalazione, o si ha 0% oppure 100%: ma in entrambi i casi il significato statistico è virtualmente nullo per mancanza di dati. Pensate a un sondaggio fatto su un campione di una sola persona]
Sicuramente però Mastrangelo ce l’ha molto con gli admin, segnalando a pagina 234 che la pagina per segnalare gli admin problematici non c’è più ma dimenticandosi di aggiungere che è stata unita a quella degli utenti problematici, e lamentandosi che nessun admin è mai stato deflaggato d’ufficio sempre dimenticandosi che per questo ci sono le votazioni e che un admin bloccato è automaticamente deflaggato. A pagina 268 afferma poi che in pratica gli admin si cooptano da soli, il che – visto il numero di partecipanti tipici a una votazione per un admin – implicherebbe che chi admin non è non va mai a votare; salvo poi affermare a pagina 287 che l’aumento della partecipazione (che pure aveva detto essere in calo…) ha rovinato la cricca degli admin. La sua soluzione sarebbe come minimo obbligare ogni admin a saltare un anno dopo due anni di servizio, e continuare a lavorare come semplice utente: confesso di non aver capito la ratio di una simile ipotesi, a parte ridurre di un terzo il numero degli amministratori e presumibilmente (se le ipotesi di Mastrangelo fossero vere) istituire un sistema di segnalazioni online oppure offline per avvisare chi non è al momento stato decimato su cosa “devono provvedere” a fare: un po’ come scrive a pagina 221 «un altro admin, Dry Martini, dovette provvedere a revocare l’azione di Domenico circa un’ora dopo.» (perché dovette provvedere non è dato sapere: ma forse un semplice “annullò” non sarebbe stato troppo gradnguignolesco).
Tralascio il capitolo 3.6 che spiega con dovizia di particolari le tecniche di guerra e guerriglia «non certo per spingere i contributori onesti a farne uso» (pagina 334): in fin dei conti anche Gesù nei vangeli esorta i discepoli dicendo loro “siate avveduti come i serpenti” e in effetti «alla fine della fiera, l’unico gruppo che in Wikipedia sia riuscito a sfidare in qualche misura l’egemonia culturale è quello cattolico, con risultati alterni e non del tutto soddisfacenti.» (pagina 379). Tralascio anche il Manifesto dove l’invito a togliere la burocrazia è associato a un nuovo insieme di regole e regolette. Mi preme invece segnalare che è vero che «Oggi, invece, i territori vergini da colonizzare sono sempre più ristretti, sia per quanto riguarda le voci da scrivere ex novo, sia per quelle da approfondire.» (pagina 347), ma è anche vero che dopo la prima colonizzazione esiste la sistematizzazione, e sicuramente di lavoro da fare ce n’è molto, anche se spesso umile. Termino invece con due citazioni che in un certo senso riprendono quanto scrissi all’inizio, e che fanno parte di una divagazione nel capitolo 4.3, “L’ennesimo esempio di partita persa (a tavolino) per le culture non post-marxiste in Italia”: quello insomma con la citazione gramsciana farlocca. A pagina 373: «Il politicamente corretto, insomma, sta lentamente succhiando via il midollo a quei caratteri nazionali così antichi che si erano mantenuti come un filo rosso dai fescennini ancestrali.» che termina un paragrafo iniziato con «Per un dirigente della Sinistra contemporanea sarebbe impensabile spendere parole di apprezzamento in una recensione di un film come Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda, in cui Veltroni, per la Fenech, arrivò a scomodare persino Truffaut.»
Ma forse è meglio la citazione di pagina 377, che parte dalla nascita del termine “veline” ai tempi del MinCulPop e prosegue così: «Nel 1988 la trasmissione di Canale5 Striscia la notizia affibbiò alle soubrette che entravano in scena con abiti sexy-littori e canzoncina simil-fascista il nome di “veline”, perché inizialmente portavano ai conduttori delle finte notizie che dovevano rappresentare la “voce del padrone”. […] Se il regista Antonio Ricci nel 1989 poteva fare uno stacchetto comico in TV prendendo in giro il Fascismo, oggi un’iniziativa simile, in un’egemonia del politically correct, verrebbe accolta da cori di indignati che griderebbero allo scandalo e alla mancanza di rispetto per le “vittime del deprecato regime”.» È stato davvero così? Mah. La notizia dell’origine del termine è presente in Wikipedia, è stata aggiunta nel marzo 2006 e non riporta alcuna fonte a suo sostegno. Quanto agli abiti sexy-littori, qui c’è una foto delle prime veline: decidete pure voi.
In definitiva, leggete pure il libro di Mastrangelo e Petrucci, sfruttate gli utili spunti presenti, ma non prendete come oro colato gli esempi “in positivo” che porta, se non come corroborazioni dei guai di chi scrive pensando alle sue idee e non al progetto.
Post Scriptum: Per il caldo mi sono dimenticato di aggiungere un altro esempio pratico di bispensiero che potete leggere nel libro. Pagine e pagine sono dedicate alla voce di Wikipedia sull’attentato di via Rasella, con i cattivi sinistri che non volevano assolutamente usare quel termine e preferendo un asettico “Fatti di via Rasella”. Dopo un duecentocinquanta pagine di lettura (o semplicemente andando a consultare Wikipedia) si scopre che… toh, la voce si chiama Attentato e non Fatti: modifica effettuata nel 2012, “come da consenso emerso in discussione”. Ma come? Non c’era la cricca degli admin di sinistra che bloccava tutto? C’è stata una grande vittoria di Mastrangelo e dei suoi amici che circondati da preponderanti forze nemiche hanno tenuto alta la bandiera della verità? O forse – molto più banalmente – la cosiddetta cricca prima di criccheggiare si attiene ai fatti e al consenso?
Ultimo aggiornamento: 2015-07-13 09:28