Caro Bezos, ti rispondo


Jeff,
io voglio tanto bene ad Amazon. Credo di avere cominciato a comprare libri sul sito americano lo scorso millennio, quando c’erano solo libri – il che a me andava bene, qui nella periferia dell’impero non si trovava mai nulla. Ho continuato a seguirla fedele in tutti questi anni, mi faccio persino stampare i libri autoprodotti; ancora martedì mi sono arrivati gli ultimi libri che ho comprato.
Però c’è qualcosa che non mi è chiara. Perché mi hai scritto quella letterina mostrata sopra, compresa di finta credit card con allegato ologramma, per convincermi a iscrivermi ad Amazon Prime Video? Tu sai praticamente tutto di me. Mentre scrivevo questo post mi sono collegato e mi hai proposto The Ultimate Mathematical Challenge che avevo sì cercato come stringa, ma non da te né dai tuoi siti affiliati come Goodreads o BookDepository. Sai anche che passo spesso dal mio account a quello di mia moglie e in entrambi i casi pago con la stessa carta di credito. Non ti sei accorto che Anna ha Prime, quindi io di Prime Video non me ne faccio nulla perché usiamo al limite il suo account?
Ecco, però. Una cosa potresti farla, visto che ti scrivo. Negli USA dai la possibilità di avere un Prime “familiare”, con pagamenti comuni ma liste separate per persone. In Italia no, ho anche chiesto ma mi hanno risposto picche. Perché non ci vuoi bene?

Test: quanto sei populista?


Il test di oggi (via Massimo Manca) è gentilmente offerto dal Guardian. Non so quanto sia bello trovarmi praticamente sovrapposto a Macron (ma Obama è lì, giusto un pelino più populista e meno di destra), né riesco a capire quanto sia normale che tranne l’Angelona Merkel e in parte il duo di cui sopra tutti i politici scelti, di destra o di sinistra, siano tutti populisti più o meno allo stesso modo. Ma non è di questo che volevo parlarvi, quanto della parte più socialcosistica del test.

Il Guardian ha lavorato molto bene sulla parte visiva. A parte il codice (non credo sia solo Javascript, penso ci sia dell’HTML5, ma non sono così esperto da riconoscerlo) e la struttura a celle esagonali che fa tanto gioco di ruolo, la parte che mi ha colpito di più è la localizzazione dei risultati di tutti coloro che hanno preso parte al test, con gli esagoni più o meno scuri. Che il pubblico che fa i test del Guardian (una minoranza tra i lettori del giornale) sia tendenzialmente di sinistra non è una notizia, così come non è una notizia che ci siano outlier più o meno ovunque: vuoi che nessuno si metta a giocare con le risposte per vedere quanto riesce a spostarsi rispetto al centro? Mi pare però molto più interessante vedere che i cluster di risposte tendono comunque a un populismo abbastanza accentuato, cosa che non mi sarei aspettato. Certo, bisognerebbe leggere come è stato studiato il test per capire quanto questa tendenza sia naturale e quanto indotta dalle domande del sondaggio (matrimonio e adozione gay cosa hanno esattamente a che fare con il populismo?) però è una cosa che fa pensare. Purtroppo, almeno dal mio Firefox, non sono riuscito a far funzionare i pulsanti per mostrare i risultati esplosi per fasce d’età, nazione e sesso. L’ho poi fatto da Opera, ma non ho trovato grandissime differenze.

P.S.: se uno apre il codice sorgente della pagina si trova il “commento” che mostro qui sotto. In effetti ha senso scriverlo lì :-)

Donazione volontaria obbligatoria

Io sono un donatore di sangue (attualmente sospeso causa distacco retina, ma magari la prossima estate potrò riprendere). Credo che sia una delle pochissime cose, assieme al sesso anagrafico, che ho in comune con Matteo Salvini; poi non so se lui prima di fare le sue fotografatissime donazioni consegni un foglio in cui ingiunge di non dare i suoi globuli rossi a qualche negher-o-assimilato.

A parte le battute, l’idea di obbligare gli studenti (maggiorenni, quindi nemmeno tanti) a donare il sangue è una cosa che mi fa rabbrividire. Capisco che dulce et decor est pro patria sanguinem dare, ma un obbligo imposto è il modo migliore per far sì che questi ragazzi in futuro staranno ben lontani dalle autoemoteche.

Ma probabilmente sono io che come al solito non ho capito. A Salvini non gliene frega un tubo della cosa, gli basta avere avuto anche ieri i titoloni sui giornali.

Google One

Forse non sapete che Google sta lanciando il suo nuovo brand per i dati su cloud: Google One. Quello che io non avevo capito, almeno dai primi teaser, è che all’atto pratico non è molto più di un rebranding del vecchio Google Drive: le FAQ dicono «Google Drive is a storage service. Google One is a subscription plan that gives you more storage to use across Google Drive, Gmail, and Google Photos. Plus, with Google One, you get extra benefits and can share your membership with your family.»

Spero che gli esperti Google funzioneranno meglio di quanto facciano adesso (zero), e potrebbe essere interessante per una famiglia l’account familiare. Mi è anche chiaro che Google non è Babbo Natale e non è che debba dare cose gratis. L’unico mio dubbio è che una campagna come quella funzioni…

È il mercato, bellezza!

Leggo sulla Stampa che la Grande G ha minacciato di chiudere il suo servizio Google News se nella direttiva sul copyright nel mercato digitale resterà la formulazione dell’articolo 11 votata dall’Europarlamento, e cioè che occorrerà chiedere una licenza ai produttori media se oltre al link viene usata più di una parola (il testo votato recita «I diritti di cui al paragrafo 1 non si estendono ai semplici collegamenti ipertestuali accompagnati da singole parole.»)

Onestamente non capisco tutti questi pianti sulla snippet tax (“tassa sulle citazioni”, se vogliamo dirla in italiano: chi aveva coniato l’espressione “link tax” avrà avuto le migliori intenzioni del mondo, ma non ha pensato che sarebbe stato facile mostrare che tecnicamente quel nome era errato e chiudere così il confronto sui veri temi). Premessa: copiare integralmente o in buona parte un articolo era ed è una violazione di copyright, e su questo penso siamo tutti d’accordo, anche chi è per principio contro il concetto di copyright. Parliamo ora della citazione di un articolo – dove per “citazione” basta anche solo il titolo, ricordo: non sono poi molti i titoli formati da singole parole. Gli editori ritengono che la citazione abbia un valore commerciale e quindi chiedono di poter essere ricompensati per il suo uso; Google ritiene che il valore commerciale dal proprio punto di vista sia zero, e quindi non intende fare alcun accordo che abbia un costo maggiore di zero. Vivaddio, non siamo in regime di monopolio: se ci sarà qualcuno che invece ritiene che fare una raccolta di citazioni abbia un valore commerciale, costui non avrà nessun problema a ottenere la licenza necessaria. Con una battuta: «Non capisco, Google. Perché non vuoi pagarci per il piacere di permettere alla gente di arrivare sui nostri siti?» Certo, sarebbe stato molto meglio avere una direttiva che dicesse chessò che un certo numero di caratteri fosse permesso, in modo che il visitatore avesse un teaser che lo convincesse ad andare a leggere tutto l’articolo sul sito del giornale, ma a quanto pare quest’idea non è venuta in mente a nessuno.

Se siete curiosi di sapere come Wikipedia sarà impattata da questo articolo della direttiva, lo sono anch’io :-) Non facendo parte di Wikimedia Foundation posso solo presumere che cosa succederà. La mia ipotesi è che WMF chiederà licenze gratuite per l’uso dei titoli degli articoli di giornale, visto che per il resto il lavoro dei volontari è sempre fatto manualmente e non ci vuole molto a riformulare il testo per non incorrere nelle ire del legislatore. In caso di diniego, rimarranno i link e i metadati (testata, data, autore) ma verranno eliminati i titoli. I fruitori dell’enciclopedia libera ci perderanno qualcosa, ma se è l’Europa che lo vuole… Dal mio punto di vista sono più preoccupato di cosa potrebbe succedere ad archive.org, se devo dirla tutta.

Tutti gli “ismi” di Armando Testa (mostra)

Poster della mostra

Ieri mattina mi è capitata una cosa curiosa: fare il turista solitario a Torino. Anna era a seguire un corso della scuola Holden, io l’ho accompagnata, ma non avevo nessun amico da andare a trovare e quindi sono rimasto a gironzolare per il centro: visto che faceva anche freddo, ho pensato di andare a vedere la mostra su Armando Testa, già presentata al MART.

Prima osservazione: 12 euro sono davvero tanti. Probabilmente avrei dovuto spenderne 20 e andare anche a Palazzo Reale, soprattutto se avessi potuto vedere la cupola del Guarini appena restaurata. Ho il sospetto che la tessera Torino Musei abbia rovinato il mercato, nel senso che il turista occasionale viene spremuto ben più del dovuto. La mostra in sé non era brutta: un mix televisivo e pittorico. Nella prima parte c’erano video di caroselli anni ’60 (Papalla, Carmencita e Lines me li ricordavo, altri come La tradizione più antica e quelli della Saiwa Il treno e con Ritz non si è mai soli mi erano ignoti) e spezzoni di interviste dove Testa parlava delle sue opere; nella parte figurativa erano interessanti i manifesti pubblicitari ancora futuristi del primo Testa. Avrei però preferito vedere anche altri suoi video pubblicitari – ne ha creati davvero tanti e un po’ più di spiegazioni nelle sale.

Quizzino della domenica: Cartello

Qualche tempo fa, mentre ero in gita con la mia famiglia, mi sono imbattuto in un curioso cartello. Esso conteneva tre parole, una per riga: “Territorio Falassa MCMXCV”. Il cartello, o meglio le parole in esso scritte, ha una caratteristica particolare. Riuscite a scoprire qual è?


(un aiutino lo trovate sul mio sito, alla pagina http://xmau.com/quizzini/p349.html; la risposta verrà postata lì il prossimo mercoledì. Problema mio.)


posti prioritari

Qualcuno mi sa spiegare perché su un treno (Italo) dove si sale praticamente solo con prenotazione esistano “posti prioritari”, che del resto nel mio caso sono stati assegnati in fase di prenotazione senza che nessuno mi chiedesse se appartengo a una categoria protetta?