Dopo neanche cinque anni dalla morte del signor G, Milano ha pensato bene di rendere omaggio a quel grande con una rassegna sponsorizzata da Telecom Progetto Italia. La sponsorizzazione è significata che un mesetto fa c’è stato un concorso interno che metteva in palio cinquanta biglietti per la serata finale della rassegna. Ho preso santa Wikipedia, ho risposto alle domandine e ho vinto due biglietti… grande vincita, visto che tanto l’accesso era gratuito :-)
Solo che ieri Anna non stava ancora troppo bene, e quindi ha preferito restare a casa… così sono andato alla serata insieme a un’altra leggiadra fanciulla. Recuperati i biglietti e aspettato che i fotografi smettessero di scattare flash addosso all’Ombretta Colli dal viso più che liscissimo – no, non ho scattato nulla, anche perché prima di capire che era l’Ombretta ci ho perso mezzo minuto – siamo saliti su in piccionaia, dove Telecom ci aveva premurosamente dato il posto. Effettivamente devo dire che, anche se lassù in alto, i posti erano centrali. Molto centrali. Estremamente centrali. Erano formalmente consecutivi, ma in mezzo c’era il corridoio! (posti 26D e 27S, per la cronaca). Il guaio è che il teatro era al completo: il foyer in effetti era pieno di gente che stava più o meno tranquillamente aspettando che chi aveva prenotato il biglietto non si presentasse, per avvoltoiarsi sopra i posti liberi. L’unico lato positivo è che Anna non può ingelosirsi troppo, vista la distanza che la ria sorte ci ha riservato.
Lo spettacolo? Beh, l'”elemento di raccordo”, come ha tenuto a precisare, è stata Rossana Casale, che dopo avere iniziato lo spettacolo cantando un pezzo di Gaber – che avrebbe fatto meglio a cantare abbassato di un tono, così ad orecchio – ha preso in mano la cartelletta, spiegando che il presentatore designato, Enzino Iachetti, non aveva potuto presenziare. Diciamo che ha fatto bene a non definirsi “presentatrice”, anche perché io avrei fatto probabilmente meglio. A parte il suo preludio, lo spettacolo è stato aperto e chiuso da due vecchi sodali di Gaber: Dario Fo ed Enzo Jannacci. Entrambi hanno scelto di fare pezzi loro e non proporre materiale gaberiano, il che da loro può essere accettato. Fo come sempre straborda che è un piacere: a parte il vecchio cavallo di battaglia della risurrezione di Lazzaro, ho apprezzato molto l’inizio, dove ha raccontato della notizia della bimba rapita e subito ritrovata ieri: il rapimento era stato strillato come prima notizia nei TG del pomeriggio, ma il ritrovamento era solo la settima notizia nel sommario; Fo ha terminato con la triste ma vera constatazione che “La notizia vale solo quando è tragedia”. Jannacci? Sono sempre più convinto che abbia un principio di Alzheimer, e la cosa mi dispiace. Gli unici momenti in cui non ha biascicato sono stati quando cantava, e quando raccontava del “partito della libertà del popolo”: dopo avere detto che non capiva bene la cosa, visto che aveva girato per Milano e non aveva visto tedeschi che la occupassero, ha terminato con “un popolo libero? DA TE!” urlando il “da te” e facendo scoppiare il Piccolo (il Piccolo, sì) in un fragoroso applauso. Non sono riuscito a vedere la faccia di Ombretta, giù in prima fila.
In realtà non sono stati solo Fo e Jannacci a fare pezzi loro. In mezzo c’è anche stato Giovanni Allevi, arrivato in felpa jeans e scarpe da tennis – ma sul look del nostro è molto meglio andare a leggere la descrizione che ne fa Betty – e sentito con le mie orecchie dire che “per umiltà” non avrebbe fatto nulla di Gaber, ma una sua composizione ottenuta con un “procedimento matematico” a partire da nome e cognome di Gaber (la classica sostituzione alfabetica… che non si sa perché ha definito “cromatica”). Sì, anche Jannacci (Paolo) nel suo medley ha fatto pezzi più jazzistici, ma almeno non suoi. E comunque non è un caso che non appena ha iniziato a suonare le prime note di Com’è bella la città la platea è scoppiata in un applauso. Gli altri? Morgan per me è stata una bellissima sorpresa: arrivato col suo Mac (per leggere le parole?) è anche stato l’unico ad osare fare qualcosa fuori dal Teatro-Canzone, con una Non arrossire venuta davvero bene. Buffo tra l’altro come in tanti avessero un timbro di voce simile a quello di Gaber: oltre a Morgan anche Flavio Oreglio e Gioele Dix ogni tanto mi ricordavano il nostro. Eugenio Finardi no, lui è lui e non ci si può confondere.
Le presentazioni degli sponsorre sono state fortunatamente brevi, limitandosi a Escobar, Ombretta e il responsabile Telecom di cui non sono riuscito a capire il cognome; fortunatamente l’assessore alla cultura del comune di milano (tutto minuscolo) non ha pensato che l’evento meritasse la sua presenza. Nonostante questa rapidità, la serata, che è iniziata alle 21:25, è terminata ben dopo mezzanotte: alle 0:10, mentre veniva proiettato il video finale con Gaber che cantava La libertà, siamo scappati via per prendere la metropolitana verso casa. Una sola assenza mi è sembrata assordante: come mai non c’era Sandro Luporini?
soliti quisss settimanali
Continuo a copiare Annarella, e continuo a farlo il lunedì perché la domenica non ho voglia di farlo.
In questo caso, i quiz sono assolutamente senza senso: con rispettivamente sette e sei domande a cui ci sono solo due risposte possibili, il fatto che i risultati possibili – secondo gli estensori del sito – siano rispettivamente 128 e 64 significa che a ogni combinazione possibile di risposte viene assegnato un risultato diverso. La cosa preoccupante è che il “libro che io sono” è lo stesso di Annarella… (ottima scelta, comunque).
Bando alle ciance, ed ecco i risultati e i link.
You’re the University of California, Irvine!
Your surroundings have always been spoiled and privileged to the point of being removed from reality. At the same time, you can be surprisingly down-to-earth and aren’t even above the consumption of insects. Despite being quite young, you have established yourself as one of the better researchers in your field. You love the strange phonetics of the word “zot”.
Take the University Quiz at the Blue Pyramid.
You’re Alice’s Adventures in Wonderland
by Lewis Carroll!
After stumbling down the wrong turn in life, you’ve had your mind opened to a number of strange and curious things. As life grows curiouser and curiouser, you have to ask yourself what’s real and what’s the picture of illusion. Little is coming to your aid in discerning fantasy from fact, but the line between them is so blurry that it’s starting not to matter. Be careful around rabbit holes and those who smile to much, and just avoid hat shops altogether.
Take the Book Quiz at the Blue Pyramid.
Eolo, eventualmente Ezechiele
A proposito di tecnologia che mi si rivolta contro: stamattina sono arrivato in ufficio, ho acceso il pc, e invece di vedere la solita lucina verde se n’è accesa una rossa. Sul monitor è apparsa la minacciosa scritta “Le ventole non ventolano, io mi spengo” o qualcosa del genere in inglese, ed effettivamente il pc si è spento subito dopo. Io sono un ottimista, ho riprovato ad accendere il pc, ma il risultato è stato lo stesso.
Dopo il caffè obbligatorio per far partire i miei due neuroni e prima di arrischiarmi a fare il numero verde dell’assistenza delocalizzata, ho spostato a fatica il pc e ho soffiato con forza. Risultato: è ripartito come se nulla fosse. È bello sapere di essere una persona di qualche utilità spirometrica.
Tremate! Tremate! Per le telefonate!
L’edizione milanese di Repubblica lo sbatte in prima pagina, anche se stranamente il sito ATM non ne fa parola: da oggi è possibile usare il telefonino tra le stazioni Cordusio e Cairoli (circa quattrocento metri, ma si sa che quello che conta è il principio). Entro fine anno le stazioni della rossa fino a Pagano – ma non le gallerie – riceveranno il segnale, e in soli tre anni tutta la rete metropolitana non sarà più il rifugio di chi voleva stare un attimo senza il terrore dello squillo che assale.
Non che la teNNologia sia così complicata: ancora nello scorso millennio a Bruxelles il mio telefonino funzionava perfettamente. E di per sé magari potrebbe anche essere utile avere la possibilità di fare una telefonata mentre si è in banchina, sopratutto la sera. Però mi chiedo se i signori dell’ATM pensino che sia possibile parlare al telefono mentre si è sulla gialla. Quando ci salgo con Anna, lei sa che non intendo affatto dover gridare e capire un terzo di quello che mi si dice…
Aggiornamento: (19 novembre) È lunedì mattina, l’omino della comunicazione ATM è riuscito a trovare il suo ufficio, e il comunicato stampa è apparso.
Beato Antonio Rosmini
A quanto si legge, oggi Antonio Rosmini verrà beatificato. (L’articolo parte poi per la tangente, visto che alla Spinelli di Rosmini interessava poco: ma il trafiletto su Repubblica cartacea non l’ho visto sul sito online, quindi vi accontentate di questo).
La cosa più interessante è che Rosmini era stato messo all’Indice da Pio IX perché aveva osato scrivere contro la situazione della chiesa… il che non ha impedito adesso la sua beatificazione. Io che sono un ottimista non vedo nulla di strano: le cose di Dio sono diverse da quelle degli uomini :-)
La tecnologia riprende ad odiarmi
Venerdì sera Anna cerca di vedere un dvd che si era presa da Blockbuster, ma non funziona nulla. Così ad occhio si è perso il sincronismo tra lettore dvd e televisione, ma non saprei dire se il problema è sul dvd o sulla tv. Ha poi provato a vedere il film sul suo pc, ma si lamentava che ogni tanto l’immagine si bloccava. Quello almeno gliel’ho risolto: era il processo TeaTimer che non si fidava troppo dei virus all’interno del dischetto :-)
Ieri sera torno a casa, e il telecomando non mi apre la saracinesca del box. Faccio un po’ più di attenzione, e noto che il led spia si accende una sola volta: immagino che la pila si stia scaricando, e apro a mano con la chiave. Solo che poi scopro che non posso chiudere con il pulsantone dentro – la saracinesca è convinta di essere chiusa, e quindi cerca di aprirsi ancora di più. Chiudo a mano, e mi accorgo di non riuscire a bloccarla con la chiave; rimane ferma, ma leggermente aperta. Vabbè, mi giro per tornare a casa, tocco per sbaglio il telecomando… e la saracinesca sale. Fino a due terzi, ma sale. A questo punto con un po’ di contorsionismo la chiudo col pulsantone, e va tutto bene… almeno per quanto riguarda ieri.
Forse non dovrei toccare il PC.
Innovazioni
Dopo dieci giorni di riposo legato al raffreddorone (ce l’ho ancora, ma non si può esagerare!) stamattina sono andato in palestra e ho scoperto che finalmente avevano cambiato le macchine per fare i pesi, come promesso da mesi. A parte che io mi trovavo bene anche con le vecchie, la modifica dal mio punto di vista ha avuto come danno collaterale l’aggiunta di un numero incredibile di macchine per fare stepping e tutte quelle cose che non sono mai riuscito a capire perché le si fa in palestra e non camminando in giro, oltre al fatto che devo chiedere quali sono gli equivalenti di alcune delle macchine che usavo prima. Ma la cosa più divertente è che queste nuove macchine sono “designed and made in the U.S.A.” il che fa capire come il dollaro sia davvero calato di valore… e soprattutto fa sì che i pesi delle macchine in questione sono in libbre. In teoria non cambierebbe poi molto, visto che uno dovrebbe accorgersi se il peso che sta facendo è quello corretto oppure no; in pratica ho visto un bel foglio di carta appeso all’ingresso con tutte le conversioni lbs-Kg, fortunatamente arrotondate al chilogrammo.
In una notizia scorrelata, stasera mentre passavo all’Esselunga ho scoperto che non ci vuole più una moneta da 2 euro per prendere il carrello, ma una da un euro. Anche qua, grandi cartelloni in giro che diffondono la notizia. Capisco che sia più facile avere in tasca o nel borsellino una moneta da un euro che una da due, ma mi chiedo il perché di una simile spesa per rifare tutti i blocchi dei carrelli, e non fare come quegli altri supermercati che sono molto più liberali e ti lasciano usare i 50 centesimi, l’euro o i due euri… Ma forse questo è un modo per dire “noi non solo blocchiamo i prezzi dei cibi, ma abbassiamo anche quello dei carrelli!”
MiFID: tutela sì, ma di chi?
Il primo novembre è entrato in vigore la direttiva MiFID (dalla wikipedia inglese, mi spiace ma nessuno l’ha tradotta in italiano. Per chi odia la lingua d’Albione, qua si trova qualcosa). In teoria la MiFID dovrebbe aumentare la concorrenza (e dàgli!) e tutelare il consumatore, evitandogli di trovarsi nella situazione in cui una banca, per sbolognargli ad esempio delle obbligazioni Parmalat, gli dice “prenda queste! Sono un investimento sicuro!”. Questa la teoria.
La pratica? Mercoledì mi è stato consegnato un malloppo di 25 (venticinque) pagine scritte in corpo 7, e intitolato “Contratto relativo al servizio di collocamento e consulenza in materia di investimenti di [NOME BANCA]”. Il plico è bucato, e in un buco è stata messa una di quelle fascette di plastica che una volta chiuse non si possono aprire: fascetta con un numero di serie. La copia che ho firmato per la banca ha una fascetta simile, con un numero di serie diverso (sennò era troppo facile).
Lascio immaginare ai miei ventun lettori [*] la trasparenza che si può avere in un contratto di 25 (venticinque) pagine scritte in corpo 7 con frasi tipo
«Condizioni particolari di illiquidità del mercato nonché l’applicazione di talune regole vigenti su alcuni mercati (quali le sospensioni derivanti da movimenti di prezzo anomali c.d. circuit breakers), possono accrescere il rischio di perdite rendendo impossibile effettuare operazioni o liquidare o neutralizzare le posizioni.»
e non entro neppure nei dettagli grammaticali: faccio solo notare che sulle 44 parole prima del punto finale c’è un unico segno di interpunzione, una povera e raminga virgola che tra l’altro si trova dove non dovrebbe stare.
Ma non è finita qua. Ho dovuto ricompilare il questionario abbinato a tutta questa documentazione, dove oltre a chiedere quanto ne so di finanza – fin qua passi – e qual è il mio titolo di studio – e già qua avrei a che dire: il fatto di essere laureato fa sì che sia meno colpa della banca se mi spenna? – riesce a chiedere qual è il mio reddito annuo. Che te ne importa? se sono più ricco posso perdere più soldi? Naturalmente, in ossequio alla praivasi, ho la gentile concessione di rifiutarmi di rispondere a una o più di queste domande. Ma attenzione! Se appena uno si azzarda a rispondere una sola volta “non so”, scatta il piano B. Per fare un qualunque investimento, occorre firmare un ulteriore foglio con una frase che una volta tradotta in italiano suona tipo “per quanto riguarda questo investimento, so che non è affatto detto che la banca abbia controllato tutto attentamente; e mi sta bene così”. Perfetta tutela, non c’è che dire. Solo che forse la tutela non è esattamente verso il piccolo risparmiatore.
[*] sì, avevo sempre contato ventitré miei lettori. Ma dopo che ho scoperto che la frase era usata da Giovannino Guareschi mi sembra giusto non peccare in superbia e ridurre le mie pretese.